Odiano il conflitto, amano la guerra
IN MARCIA - Se Ghandi fosse ancora in mezzo a noi e manifestasse in Italia rischierebbe l’arresto. Sul campo di battaglia non è ammesso il dubbio, il pensiero va intruppato come un plotone
DI NICO PIRO
Negli anni sono stati sponsor di battaglie (vinte da loro, perse dagli italiani) contro la mano pubblica, la redistribuzione del reddito, le politiche anti-povertà, a favore di privatizzazioni selvagge quanto fallimentari, per la demolizione dei diritti dei lavoratori, per camuffare da “flessibilità” lo sfruttamento.
Dal 24 febbraio del 2022 hanno trovato nel bellicismo il cavallo di troia per catalizzare il loro furore ideologico, mascherato da neutro “decisionismo” e tecnica “competenza”, accelerando la trasformazione della nostra società in un luogo dove il dissenso, cioè il conflitto, non abbia diritto di cittadinanza. Questa convergenza tra neo-autoritarismo e bellicismo è apparsa evidente con i decreti sicurezza che non sono però solo una colpa delle destre al governo e dei loro supporter neoliberisti (sparsi un po’ di qua, un po’ di là), vanno considerati anche come il fallimento di chi oggi contesta (o pare farlo) quelle norme ma ha sposato la guerra come strumento – anticostituzionale – di risoluzione dei problemi. Se Ghandi fosse ancora in mezzo a noi e manifestasse in Italia rischierebbe l’arresto solo per aver attuato i suoi metodi di lotta non violenta. A voler proiettare nel recente passato i cosiddetti decreti sicurezza, le carceri italiane sarebbero piene di operaie e operai che protestano contro la chiusura della loro fabbrica, ragazze e ragazzi che vogliono impedire la distruzione del paesaggio per costruire una “grande” opera, disoccupati che bloccano una strada chiedendo lavoro, cittadine e cittadini che difendono dai tagli il loro ospedale.
Incapaci di prendere le distanze dalle proteste a mano armata nella Milano anni ’70 dei giovani fratelli La Russa ma ossessionate da quelle pacifiche di “Ultima Generazione”, le destre neofasciste e separatiste hanno costruito norme liberticide che, in realtà, dovrebbero in primis applicarsi a trattoristi e “forconi” cioè a quei movimenti che hanno sempre considerato parte della propria base. Cosa accadrà quando mezzi agricoli torneranno a bloccare le autostrade, visto che nulla è cambiato in termini reali in quel settore produttivo? Verranno invocate eccezioni di necessità come quando si condona l’abusivismo edilizio o l’evasione fiscale? Si prenderà a modello quel Trump “legge e ordine” che giustifica l’orda armata che prende d’assalto il campidoglio a Washington? Ma le contraddizioni non riguardano solo le destre al governo e la loro mania di egemonizzare il “pensiero”, persino nella scelta di cosa ai cittadini debba o meno piacere. Ci sono forze (partiti come opinionisti e intellettuali) d’opposizione al governo che hanno scelto la guerra sulla diplomazia, dopo l’invasione russa dell’Ucraina. La loro posizione coincide con quella delle destre. Sono le stesse forze che da quasi tre anni non prendono atto del fatto che la guerra non ha liberato i territori occupati ma ha solo peggiorato la posizione dell’Ucraina e le condizioni materiali degli europei, favorendo in Germania quanto in Austria l’ascesa di partiti neonazisti. Le stesse forze che hanno consentito, a volte assistendovi in silenzio, altre partecipandovi attivamente, la cancellazione dei pacifisti dal dibattito politico e mediatico, la loro emarginazione con accuse gravissime che vanno dal putinismo all’antisemitismo, senza dimenticare quella di sostegno a una mai chiarita disinformazione straniera. Dove starebbe la contraddizione? Non è possibile essere bellicisti e contrari a una deriva autoritaria come quella in atto nel nostro Paese? Formalmente sì ma solo se rifiuta di decodificare il quadro attuale dove la guerra è diventata l’antidoto al conflitto quindi al dissenso. Come? La guerra non è mai solo contro un nemico esterno, prevede sempre la caccia al complotto interno, alle spie, ai fiancheggiatori del nemico, a chi indebolisce la nazione, a chi getta discredito sulle forze armate (accadde a sindacalisti negli Usa a ridosso della Prima guerra mondiale, come sta accadendo oggi a tanti russi). La guerra, con i suoi morti e i suoi alti e bassi sul campo di battaglia, prevede necessariamente il supporto granitico dell’opinione pubblica. Non è ammesso il dubbio, il pensiero va intruppato come un plotone, il dissenso azzerato: è la militarizzazione della società trasformata in caserma dove l’ubbidienza è normale e necessaria.
La guerra, inoltre, non si combatte per salvare un bosco, per tenere aperto un ospedale o una fabbrica, per arginare la povertà o fermare l’inquinamento. La guerra viene combattuta per un obiettivo superiore che, all’apparenza, li ricomprende tutti: per la Patria, per la Nazione. Si tratta di figure retoriche che lubrificano la penetrazione sociale di quel grande imbroglio chiamato guerra, durante la quale i ricchi lo diventano di più mentre i poveri vengono mandati a evitare la morte, uccidendo altri poveri. Una truffa retorica che se è utile a sostenere la guerra tra le fila dell’opinione pubblica, serve anche ad azzerare il conflitto, quello sociale, quello politico, quello economico (una volta si sarebbe detto di classe). Obiettivo indispensabile a quei potenti che la guerra la vogliono anche se mai andranno in trincea. I partiti, gli opinionisti, gli intellettuali che hanno detto sì alla guerra ma paiono dire no ai decreti sicurezza, hanno indirettamente agevolato il percorso che ci ha portato a queste norme. Si appellano al liberalismo (la stessa ideologia che favorì prima la “Grande” guerra poi l’ascesa del fascismo) per mascherare le loro contraddizioni, ma serve a poco. Sono parte del problema che ci ha condotto sin qui, sul baratro del neo-autoritarismo, esattamente come le destre che quelle norme hanno voluto. Dai decreti sicurezza, non ci salveranno un emendamento o un sit-in. È necessario invece rimettere al centro dell’identità politica dei progressisti (se la parola fa paura, si può usare “opposizioni”) la contrarietà alla guerra. Fino a pochi anni fa la pace veniva vista tutto sommato come un accessorio perché ce l’avevamo, era cosa scontata. Oggi è invece il valore chiave che ricomprende i pilastri del progresso sociale: la redistribuzione del reddito e il benessere (frenato dalle spese militari che sottraggono soldi a sanità, scuola, servizi sociali, trasporti pubblici…), il pluralismo (sacrificato impedendo al dissenso di esprimersi e irreggimentando il dibattito politico-mediatico), la vera sicurezza (si pensi alle guerre post 11/9 come fattore di destabilizzazione geopolitica con i loro quasi 5 milioni di morti). Per tutti questi motivi agli italici progressisti-bellicisti, a poco serve anche richiamarsi all’antifascismo per distanziarsi dal governo delle destre, (che spesso scavalcano a destra in quanto a bellicismo, vedasi per esempio l’uso delle armi occidentali per colpire in Russia). Perché la guerra è la forma suprema di fascismo quanto lo stato di perenne preparazione alla guerra che ci stanno imponendo. Se non si rimette al centro la pace, le destre resteranno al potere per anni. E mentre si adora la guerra ma si azzera il conflitto, di certo non si argina la svolta securitaria e autoritaria.
Nessun commento:
Posta un commento