Mostri di fame
di Roberto Casalini
Tre mucchi di mattoncini Lego. Ci puoi costruire il grattacielo, la reggia ol’allegra fattoria. Versailles e il mulino bianco. Detto così suona gioioso e
sembra che sia tu l’architetto. I mattoncini sono zucchero, grassi e sale: gli
ingredienti principali di preparazioni che non sono più cibo ma combinazioni
di composti. Big Food li sposta per noi, ingegnerizzando il cibo –
grasso incolore inodore insapore che si mimetizza, zucchero e sale che
modificano la struttura diventando impalpabili per invadere meglio gli
alimenti da colonizzare – dalla barretta che sostituisce il pasto ai cereali
per la colazione, dalla bevanda gasata alla pizza surgelata, dallo snack al
panzerotto alla patatina, dalla lasagna alla caramella. Poi varia le proporzioni,
un po’ più di zucchero e un po’ meno di sale o viceversa; guarnisce
di composti chimici, emulsiona, addensa, solidifica o ammorbidisce. Il gioco
è fatto, i prodotti sembrano diversi ma sono più o meno tutti uguali nella
struttura.
“PIU ZUCCHERO, ANCORA PIU ZUCCHERO”
Si chiamano cibi ultraprocessati, sono il vanto e la fonte quasi esclusiva di profitti immensi
per i giganti mondiali del pronto all’istante, dello “stacca, lecca e inzuppa”, del “ne voglio
ancora, ne voglio di più”. Negli Stati Uniti otto alimenti su dieci sono fatti così e forniscono il
60% dell’apporto calorico medio quotidiano alla popolazione, il 70% nel caso degli adolescenti.
In Italia siamo ancora lontani da quegli abissi, secondo un recente rapporto della
Fondazione Aletheia soltanto il 14% delle calorie quotidiane arriva dai cibi Frankenstein, ma
nei grandi centri urbani, tra i single indaffarati e imbranati ai fornelli e tra gli anziani soli con
pochi soldi e scarsa voglia di spignattare la percentuale aumenta. «Negli ultimi dieci anni la
situazione è peggiorata dovunque, l’obesità e le altre conseguenze nefaste per la salute che
una dieta a base di cibi processati porta con sé si sono impennate da quando le grandi aziende
hanno esteso il loro dominio sul mondo» mi dice Michael Moss, reporter del New York Times
che con le sue inchieste ha vinto il premio Pulitzer (la sua requisitoria Grassi, dolci, salati.
Come l’industria alimentare ci ha ingannato e continua a farlo in Italia è stata pubblicato da
Mondadori). E cita l’esempio dell’arrembaggio della Coca-Cola sul Brasile, dell’India invasa
dai biscotti Oreo, della Cina conquistata dal “più zucchero, ancora più zucchero”. «Inoltre, si
allarga il divario tra chi può permettersi una dieta sana e chi è costretto ad acquistare alimenti
nefasti a basso costo». Ma come si riconosce il pappone da cui stare alla larga? Secondo
l’epidemiologo brasiliano Carlos Monteiro, che ha inventato il termine “ultrapro cessato”, se
contiene aromi, coloranti, addensanti, emulsionanti e altri additivi fra gli ingredienti, non è
un alimento naturale. Non lo è neppure se non posso farmelo in casa: se usa lo sciroppo di
glucosio al posto dello zucchero, se sostituisce la caseina e il siero al latte, se utilizza un grasso
idrogenato al posto del burro.
COLPIRE FACILE
Ancora più drastico Chris Van Tulleken, medico e ricercatore inglese, volto noto della Bbc
e autore del bestseller fresco di stampa Cibi ultraprocessati. Come riconoscere ed evitare gli
insospettabili nemici della nostra salute (Vallardi), che scrive: “Se è avvolto nella plastica e
contiene almeno un ingrediente che di solito non si troverebbe in una classica cucina, è cibo
ultraprocessato: forse li conoscete come ‘cibo spazzatura’, ma esistono un sacco di alimenti
ultraprocessati biologici ed ‘e ti ci’, che vengono venduti come sani, nutrienti, rispettosi
d e l l’ambiente o utili per perdere peso (in linea di massima quasi tutti gli alimenti che
riportano sulla confezione un’indicazione sulla salute sono cibi ultraprocessati)”.
Completiamo l’identikit dei prodotti nel mirino. Sono cibi piacevoli al tatto e al gusto.
Morbidi o croccanti, invitanti nell’aspetto, facili da masticare. E facili da tenere in casa, a volte
senza neanche il bisogno del frigorifero: ci pensano i conservanti e gli additivi. Energetici e ad
alta densità calorica: saziano presto e, al tempo stesso, ne vorresti di più. Non c’è problema: te
li vendono spesso in confezioni giganti. Costano poco, se li possono permettere anche i più
svantaggiati. Sono pratici, devi solo riscaldarli e a volte li puoi mangiare anche freddi: il
successo miliardario dei vassoietti Lunchables è un caso da manuale, ne parleremo fra poco.
Placano il senso di colpa delle mamme lavoratrici che devono preparare colazione, pranzo al
sacco (e cena svelta) ai figli in una manciata di minuti. Pronti, c’è il “convenience food”, il cibo
istantaneo così comodo: come l’aranciata in polvere Tang, basta aggiungere l’acqua. Peccato
che sia al 100% artificiale, pura chimica, l’arancia neanche vista in cartolina. Ci sono i cereali
zuccherati che hanno fatto triplicare l’obesità infantile in un paese di obesi (negli Stati Uniti
sono il 42% della popolazione, con un ulteriore 31% in sovrappeso, a tal punto che diventa
difficile reclutare nuovi marines e, per le partorienti, affrontare un parto cesareo; da noi sono
obesi undici italiani su cento, con un 36,1% in sovrappeso).
“SUPER ORANGE CRISPIE”: 70,8% DI GLUCOSIO, DI CEREALI QUASI ZERO
Un dentista americano, Ira Shannon, allarmato dall’aumento della carie tra i bambini,
tempo fa ha raccolto 78 campioni di cereali zuccherati e li ha mandati ad analizzare, scoprendo
che un terzo conteneva dal dieci al 25% di zucchero, un terzo il 50% e il restante terzo
lo superava, con la palma del più stucchevole (del più irresistibile?) al Super Orange Crispie,
che raggiungeva la vetta del 70,8%: non più cereale, ma puro glucosio con un residuo di
frumento, avena o riso. «Tra cereali, biscotti, merendine, bibite gasate e zuccheri nascosti nei
vari cibi, per esempio nel ketchup e nelle salse, in America consumiamo circa 32 chili di
dolcificanti all’anno. Sono 22 cucchiaini di zucchero a persona al giorno» dice Michael Moss.
La dose quotidiana raccomandata per una donna che fa un lavoro non troppo faticoso è
cinque cucchiaini al giorno: all’incirca mezza lattina di Coca-Cola.
Stiamo parlando di zucchero per completare l’identikit: i cibi ultraprocessati danno dipendenza
e lo zucchero, assieme ai grassi, è l’imputato numero uno. Il dolce è una predisposizione
innata negli umani, il primo gusto che i bambini istintivamente apprezzano: li
gratifica, li tranquillizza, è blandamente analgesico. Basterà insistere e non si farà fatica a
condizionarli a vita. Lo zucchero raggiunge la barriera encefalica in un secondo facendola
esultare, le risonanze magnetiche lo dimostrano, mentre il tabacco ce ne mette dieci. E,
quando la caloria è liquida, i nostri corpi sono meno consapevoli di un apporto eccessivo.
« L’industria utilizza una combinazione di iper-ingegneria
per massimizzare l’eccitazione che i loro
prodotti creano nel nostro cervello e un marketing
selvaggio che ci spinge ad agire d’impulso per acquistare
e consumare questi prodotti anche quando
non abbiamo fame» spiega Michael Moss. «Inoltre,
credo che per molte persone questi prodotti alimentari
siano più pericolosi delle sigarette, dell’alcool
o anche di alcune droghe, perché l’industria ha
imparato a massimizzare il loro fascino sfruttando
la nostra biologia più profonda – compresa la nostra
innata attrazione per i cibi a buon mercato, per la
varietà e per le calorie – per indurci a mangiare
troppo».
GLI “EROI” CONTRO LA MELA CATTIVA
Clienti, cittadini? No, piuttosto “forti utilizzator
i”, nel gergo dei manager di Big Food. Come tossici
a caccia di una dose. E infatti i cardiologi americani
paragonano lo zucchero alla metamfetamina, fulminea, e i grassi agli oppiacei, più lenti ad
arrivare, ma entrambi implacabili. E infatti i topi da laboratorio, ingrassati a zucchero, hanno
crisi di astinenza se glielo togli. Si comincia con i bambini: le colazioni più zuccherate sono
per loro, aiutate da una pubblicità mendace e invasiva nei programmi con i cartoon (i cereali
fanno bene al cervello, rendono più brillanti le performance scolastiche), addirittura da
cartoon dove l’eroe tutto zucchero combatte contro Bad Apple, la mela cattiva.
Si comincia indagando sul loro bliss point, il punto di beatitudine perfetto del prodotto, che
se non lo azzecchi vinceranno i concorrenti, ma se lo superi la beatitudine diventa rigetto e
torni alla casella di partenza. «Il termine è stato coniato da un consulente del settore, un
“mago dello zucchero”, Howard Moskowitz, per descrivere la quantità di dolcezza che li rende
difficili da contrastare. Moskowitz descrive questa formulazione come una scienza precisa
che coinvolge quella che lui chiama ingegneria alimentare e che ha funzionato così bene nel
generare un aumento delle vendite e dei consumi che oggi due terzi dei prodotti presenti in
un negozio di alimentari hanno zuccheri aggiunti e un punto di beatitudine ingegnerizzato
per la dolcezza» dice Moss.
I 61 PROTOTIPI: COSI IL DOTT. MOSKOWITZ HA “SALVATO ” LA DR. PEPPER
Resta agli annali, come un’impresa che neanche i paladini di Francia, il salvataggio della
Dr. Pepper dal baratro. La Dr. Pepper, bevanda gasata molto zuccherata che piaceva assai a
John Lennon e Hilary Clinton, era terza dietro Coca e Pepsi e perdeva terreno. Cercò di
riguadagnare posizioni con un nuovo prodotto al gusto di cilegia che si rivelò un flop epocale.
A questo punto intervenne Moskowitz, riformulando il prodotto. Preparò 61 prototipi, variando
in ciascuno la quantità di zucchero, ciliegia, aroma di vaniglia, intensità del colore. Poi
li sottopose ai gruppi test e infilò i risultati in un computer, generandone un algoritmo. Quello
della formula vincente, che fu ovviamente un successo clamoroso. Moss ha provato a far bere
a Moskowitz la sua Dr. Pepper. Il “mago dello zucchero”, che ha raddrizzato decine di prodotti
facendoli testare ai ragazzini e che mangia dietetico, ne ha preso qualche sorso e ha fatto una
smorfia. “Ha un gusto che non mi piace”ha commentato. E dopo qualche secondo: “Ah, certo,
sa di benzaldeide”. Pensavate davvero che ci avessero messo succo di ciliegia?
Se lo zucchero ha il suo bliss point – un po’ di meno e il prodotto è loffio, un po’ di più e
stroppia – il grasso in compenso non ne ha nessuno. Piace e non stufa mai, impossibile
stabilire il punto di non ritorno. E ripulito e mascherato –l’olio di palma decolorato e privato
d e l l’aroma pungente che ha alla spremitura, il grasso di pollo ripulito da ogni minimo
rimando all’animale che oggi usano anche nei gelati industriali, il formaggio diventato
ingrediente che si infila dovunque, dalle pizze ai dolciumi – sfugge a ogni allerta del corpo,
soprattutto se è coperto e, per così dire, veicolato dallo zucchero.
Accade così che un’azienda in declino di carni rosse e salsicce ricche di grassi saturi, la
Oscar Mayer, si sia inventata uno dei più grandi successi di sempre, i Lunchables, vassoietti a
scomparti di carne, formaggio, cracker, condimenti, dopo le prime prove anche di dolcetti,
destinati al pranzo dei bambini. La parte del leone l’ha fatta il marketing: tutto il potere ai
pargoli, padroni di combinarsi il pasto senza i genitori tra i piedi. E una pubblicità terrificante
con salsicce e maialini cartoon che la mela avvelenata era più salutare (e d’altronde negli Stati
Uniti le aziende investono nell’adver tis ing il doppio di quel che spendono per gli ingredienti).
Oggi Lunchables ha sessanta versioni, tutte abbastanza poco raccomandabili, e secondo
Michael Moss è tra i prodotti più pericolosi anche del futuro assieme ai sinistri Hot Pockets,
panzerotti ripieni della qualunque, per la sua pretesa
di simulare e sostituire un intero pasto. «Pericolosi
quanto loro» dice «sono solo le carni lavorate
e le bevande zuccherate». Resta da dire del
sale, meno studiato di grasso e zuccheri: si sa che
manda alle stelle l’ipertensione, ma come faccia
esattamente a creare dipendenza non è del tutto
decifrato. A differenza dello zucchero, non è un gusto
innato: i bambini all’inizio lo rifiutano, a farglielo
piacere provvedono i signori del cibo pronto e
degli snack.
CI MANCAVA LA FINTA SALUTISTA...
Il risultato è la schiavitù da non-cibo e una pandemia
di obesità, pressione alta, malattie cardiovascolari
e coronariche, diabete, tumori. Big Food,
sempre più nel mirino dei consumatori – le aziende
più aggressive secondo Michael Moss sono Pepsi e
Coca, Nestlè, Kraft e Kellogg’s – fa orecchie da mercante contro chi attenta alla “libertà degli
a m e r i c a n i”: sembra di sentir parlare i fabbricanti d’armi. O al massimo fa health washing
fingendosi salutista: aggiunge qualche micronutriente, un po’ di vitamine, succo concentrato
di frutta spacciato per “frutta vera” e aspetta che passi la tempesta. Oggi la pubblicità più
aggressiva è indirizzata alla Generazione Z e batte le strade dei social: è il caso dell’a cq u a
minerale in lattina Death Liquid, venti versioni anche zuccherate, spacciata come must have
per punk metallari e wrestler, con slogan come “Facciamo il pieno di zuccheri” e “Strangola la
tua sete”. Ne sentiremo ancora delle belle, e ne mangeremo ancora delle pessime.
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