domenica 6 luglio 2025

L'Amaca

 

La violenza del conformismo
di MICHELE SERRA
Chiunque abbia visto Truman Show di Peter Weir, e si sia entusiasmato quando, in uno dei più grandi finali della storia del cinema, Jim Carrey fugge dal fondale finto del mondo finto nel quale è nato e cresciuto, avendolo creduto vero; chiunque si sia commosso per quell’esito di libertà, facendo un tifo disperato per il fuggiasco; e chiunque abbia detestato l’orribile città caramellosa, pettinata e mansueta della quale Truman era prigioniero; vedendo il “promo” che la Casa Bianca ha confezionato per pubblicizzare il “Big Beautiful Bill” avrà la stessa impressione di sorridente conformismo, bianco e piccolo borghese, del quale Truman Show era la feroce parodia.
La repressione contro migranti e altre categorie socialmente disturbanti (per esempio i professori) non è che un aspetto – diciamo il più prevedibile – del nuovo potere americano. Più subdola e sgomentevole è la nuova violenza (ancora senza nome) per indicare la quale si deve ricorrere a lunghe perifrasi. Qualcosa come: guai a chi non si adegua al sorridente conformismo dei consumi, non se ne sente appagato, non si considera felice per un tipo di vita che ricalca quelle pubblicità, quelle famigliole tradizionali felici, quelle funzioni religiose nelle quali si canta tutti insieme per la gloria di Dio e dell’America. L’irrequietudine, le identità complesse, la volontà critica, il conflitto sociale sono il serpente da schiacciare. Chi non è felice di vivere qui e di vivere così non merita di vivere qui e di vivere così. Chi non è identico a noi è nostro nemico. E noi lo distruggeremo.
Come chiamare questo odio organizzato?
Ha ragione chi pensa che “fascismo” sia una parola sbagliata, troppo vecchia. Ce ne vorrebbe una nuova, ma trovarla è difficile: già se ne riconosce, però, la stupidità e la ferocia.

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