domenica 9 giugno 2024

Purché se magni!

 

“L’inchiestite”, la voglia matta parlamentare
TRA VARATE E PROGETTATE SIAMO A 36 - Ma perché? Dispensatrici di poltrone di consolazione, possono servire pure per vendette politiche: tipo quella sul Covid, che però è ferma
DI ILARIA PROIETTI
Per i critici è l’ultima spiaggia di un Parlamento ormai ridotto a una funzione poco più che ancillare rispetto al governo, ma desideroso di ritagliarsi un ruolo quale che sia. O ancora peggio: il contentino per premiare con una presidenza (e annesso emolumento che fa status) chi magari è rimasto suo malgrado a bocca asciutta quando s’è consumato il pasto grande della distribuzione degli incarichi di ministro o sottosegretario: dietro la richiesta di istituire commissioni d’inchiesta a raffica, che siano monocamerali o bicamerali, s’allunga però – sotto sotto – pure l’ombra del desiderio inconfessabile della vendetta politica. Quello che, per intenderci, risponde all’antico vezzo di usare ogni mezzo a disposizione come una clava contro l’avversario politico. Ma forse sono solo malignità. È un fatto però la moda che impazza chiamata “inchiestite” parlamentare, anche a non volerla ritenere un dopo lavoro per senatori e deputati in cerca di visibilità, trova il suo naturale limite nell’inconcludenza che è ormai tradizione: risultati quasi zero carbonella e in qualche caso pure qualche autogol. Epperò anche in questa legislatura siamo già a quota 36 tra quelle di cui si chiede l’istituzione o già portate a casa talora con risultati imbarazzanti.
A questa seconda categoria ben si iscrive la Commissione Covid che il centrodestra ha minacciato sin dall’inizio della legislatura e anzi pure da prima al grido di “vendetta-tremenda-vendetta”. L’obiettivo nemmeno troppo celato: far passare sotto le forche caudine l’ex premier Giuseppe Conte e pure l’allora ministro della sanità Roberto Speranza e magari vellicare pure la pancia ai No vax. La commissione è ancora ben lontana dal partire anche se, a quanto pare, sono stati già decisi i posti a tavola: presidente Marco Lisei di Fratelli d’Italia con Maria Elena Boschi di Italia Viva e Massimiliano Romeo della Lega come vice, in virtù di un patto che tiene dentro il desiderio di graticola nei confronti del governo Conte e la necessità di tenere al riparo da ogni possibile contestazione le regioni, o meglio una: la Lombardia di Attilio Fontana. Istituita per legge a febbraio per l’avvio dei lavori se ne riparlerà dopo le Europee, ma solo a patto che i presidenti di Camera e Senato trovino il modo di superare l’Aventino delle opposizioni che ancora non hanno indicato i loro rappresentanti: l’alternativa sarebbe quella di una commissione di soli parlamentari di maggioranza, non un grande spettacolo in effetti. Al punto che c’è pure chi la dà già per spacciata e non sarebbe un unicum: nonostante fosse stata istituita con una legge del 2016 la commissione sulla ricostruzione dell’Aquila non ha mai visto luce. Ché talvolta basta la promessa: una commissione non si nega a nessuno.
Quella affidata alle cure di Piero Pittalis (candidato mancato alla regione Sardegna per Forza Italia) sul disastro del Moby Prince – 140 morti rimasti senza giustizia dal 1991 – è invece alla terza edizione (nel 2015 era stata costituita al Senato, nel 2021 alla Camera, nel 2023 ancora a Montecitorio). Anche se nel frattempo le speranze dei familiari delle vittime sono ridotte al lumicino: in attesa di ottenere giustizia e che venga fatta luce sui quei fatti ancora avvolti nella nebbia, si sono visti nel frattempo negare anche in appello la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti dei ministeri della Difesa e dei Trasporti con la beffa di essere costretti pure a pagare le spese. Ci riprova anche la commissione (stavolta monocamerale) sulla morte di David Rossi di cui da marzo è presidente il deputato meloniano Gianluca Vinci: la bicamerale istituita nel 2021 alla fine dei suoi lavori aveva accreditato l’ipotesi del suicidio del manager Mps pur rilevando che alcune delle lesioni sul corpo di Rossi non erano attribuibili alla caduta. Ma alla fine più che sui dubbi sulle circostanze di quella tragedia, si era andati sul sicuro (vedi un po’ l’eterogenesi dei fini): il focus si era spostato sull’operato di chi aveva fatto le indagini. Per la gioia di Matteo Renzi che nel 2022 aveva potuto usare il bazooka contro uno dei magistrati della inchiesta su Fondazione Open: “Ritengo scandaloso l’operato di Nastasi, il pm che prima di occuparsi di me ha seguito la tragica vicenda David Rossi a Siena”.
Al di là delle vendette e delle sempre possibili strumentalizzazioni politiche, la buccia di banana è comunque sempre dietro l’angolo anche per le cause più meritorie. Come per la commissione sul fenomeno femminicidi presieduta da Martina Semanzato (Noi Moderati): c’è stato un certo imbarazzo quando a gennaio il capo della Polizia Vittorio Pisani, sentito in audizione, ha detto a chiare lettere che il Parlamento ha già fatto tutto quello che doveva in termini di legislazione: “L’azione di contrasto e l’arresto del responsabile superiore costantemente al 90 per cento dei casi non ha effetto deterrente sulla possibilità della commissione di ulteriori delitti della stessa specie perché questa tipologia di reato non è ricollegabile a un fenomeno ma a motivi più disparati. Pensare a eventuali nuovi strumenti normativi rispetto a quelli già a disposizione, sinceramente non ne immaginiamo. Il sistema italiano è all’avanguardia”. Meritoria senz’altro anche la commissione sul degrado delle periferie o quella, sulle condizioni di sfruttamento e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Se non fosse che corre la domanda: ma più che interrogarsi sul già noto, non è il caso che il Parlamento si occupi di fare le leggi che servono a garantire condizioni di vita e di lavoro decenti? L’inchiesta in questo caso è allo specchio: più che altro è un’autodenuncia.
Per tacere del resto che non è poco: le commissioni d’inchiesta in molti casi hanno gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria e dunque esiste sempre un rischio serio legato alle fughe di notizie o alle sovrapposizioni con il lavoro dei magistrati. È un rischio, per dire, che è stato chiaro a tutti (essendo aperta un’inchiesta della Procura di Roma e una del Vaticano) sin da prima della scelta di istituire la commissione sul caso della sparizione di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi che è poi stata affidata alla presidenza dal senatore di FdI Andrea De Priamo.
Un rischio su cui si è misurata di recente anche la commissione Antimafia rispetto al caso del cosiddetto dossieraggio oggetto di attenzione della procura di Perugia e di Roma: la presidente Chiara Colosimo (anche lei di FdI) nonostante il pressing del centrodestra, ha detto no alle audizioni degli indagati. E forse non a caso, dopo il clamore, più nulla.

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