I comfort del negazionismo
DI MICHELE SERRA
Se qualcuno, davanti al cataclisma di Valencia, spera che serva almeno a ribadire, nel più doloroso dei modi, che un cambiamento climatico è effettivamente in corso, e che la sua rapidità (si misura indecenni, non più in millenni) dipende dall’influenza spropositata e soverchiante delle attività umane, rischia di illudersi.
Ancora ieri, chiacchierando con un conoscente (bravissima persona), mi spiegava che «queste cose sono sempre successe, Valencia negli anni Ottanta è stata alluvionata proprio come adesso». Non è vero, ma lui crede che lo sia. Lo avrà letto su qualche sito che spiega per benino “quello che non ci vogliono dire”, e non c’è telegiornale o giornale che possa smuoverlo. È contento così. Si sente meglio così.
Come lui, quanti? Quanti esseri umani hanno cognizione del mondo su base, se non scientifica, almeno razionale? E quanti invece, anche di fronte all’evidenza, considerano scomodo prendere atto di ciò che in qualche modo disturba le loro abitudini, o confonde le loro certezze?
Il negazionismo climatico non è solamente un comfort del pensiero popolare. Influenza le scelte di molti governi (soprattutto i governi conservatori), è arma di uso corrente per Trump e i suoi elettori. Solo una frangia minima e trascurabile del mondo scientifico lo sostiene, eppure porta consensi e voti perché rassicura e scaccia i fantasmi: non date retta ai menagramo, il mondo è sempre uguale a se stesso. Ferisce pensare che a pagare il prezzo di questa incoscienza saranno, ovunque, i più esposti e i più deboli. Ai piani alti si annega di meno.
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