Ma dov’era in tutti questi anni l’ingenua Marianna? Al potere
di Daniela Ranieri
La titanomachia è finita, non senza ostacoli, e con qualche scenetta comica. Giorni fa, la candidata capogruppo alla Camera Madia aveva denunciato il malsano andazzo per il quale molti del Pd, tra cui il capogruppo uscente Delrio, avevano scelto di appoggiare la candidata capogruppo Serracchiani, ricordando molto quelli che partecipano allo Strega cercando di farsi votare dagli amici e poi, se non finiscono in cinquina, denunciano che i partecipanti allo Strega si fanno votare dagli amici.
Invece, naturalmente, paginate di analisi, sviolinate, encomi: “La denuncia di Madia scuote il Pd”, se non l’Italia, “Il j’accuse di Madia”, “Il coraggio di Marianna”, per aver scritto una lettera in cui rendeva pubblico, cioè spiega a noi, che la competizione tra lei e l’altra era “ripiombata nel gioco di accordi trasversali”: ma va? Madia eroina, novella Zola, una Marianne che procede indomita verso l’integrità e il progresso del Partito ehm Democratico. Noi siamo anni che diciamo che il Pd è un covo di mezzi e mezze potenti che avanzano solo se cooptati da un potente, e per noi nemmeno una riga! Peraltro, nel Pd queste agnizioni sono perfettamente funzionali al sistema, come i Carnevali dei tempi antichi.
Ma dov’è stata finora, Madia, prima di proclamare al mondo che “la verità rende liberi”? (E specularmente Serracchiani, se la denuncia fosse venuta da lei; ma non è venuta da lei perché era in vantaggio). Dov’era quando era schiava? (Risposta: al ministero). E se Delrio avesse appoggiato lei, avremmo saputo qualcosa della “cooptazione mascherata”? Non era perfettamente a suo agio, nei giochetti correntizi, al riparo da qualunque refolo di realtà, donna tra le molte affiliatesi a un capo e da lì mai più schiodate, fino al momento in cui si deve decidere quale donna, e quindi quale uomo, premiare nella feroce savana del potere?
Entrambe si giovano da anni di un certo racconto (lo storytelling dei tempi d’oro) che le vuole ingenue Biancaneve capitate per caso nel mondo cinico di un partito di dinosauri, fossilizzato nella burocrazia (agli annali il brocardo di Madia: “Porto in dote la mia inesperienza”, da cui, de plano, la nomina a ministra).
Ma invero le candide rivoluzionarie sono state “portate” nel partito: Serracchiani si fece conoscere all’assemblea dei circoli con un discorso critico nei confronti dei vertici, che subito l’hanno inglobata (e disattivata) candidandola alle Europee del 2009; l’altra, di buona famiglia alto-borghese, è stata notata da dirigenti storici del Pd e ha passato tutte le malattie esantematiche delle correnti: lettiana, dalemiana, bersaniana, renziana, etc., scavalcando persone forse più dotate di lei.
Ma al di là dei meriti, qualcuno avrebbe saputo dire le differenze tra le due? E non diciamo qualcuno tra i cittadini (figuriamoci), ma un deputato chiamato a votare l’una o l’altra per farsi rappresentare. A parte, s’intende, l’essere espressione di una corrente, da intendersi non come corrente politica o di pensiero, ma esclusivamente come increspatura di potere, radiazione in grado di indicare se afferiscono a questo o a quel maschio influente.
Il Pd ha perso 6 milioni di voti a causa di Renzi; se vuol essere un’altra cosa rispetto al partito in cui è stato possibile che uno come Renzi diventasse potentissimo, dovrebbe cominciare a interessarsi di altro che non sia il suo noiosissimo ombelico.
In ogni caso, se la notazione non pare troppo moralistica (e invece è morale): siamo sicuri che stare a parlare di avanzamenti di carriera e beghe di partito durante una pandemia che ha atterrato il Paese sia la missione di un partito che si dice di centrosinistra?
Sinceramente: ma chissenefrega?
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