mercoledì 4 giugno 2025

Quorumeggia

 

Malati di quorum
DI MARCO TRAVAGLIO
È vero: fa molto ridere la premier Meloni che va a votare ai referendum per non votare i referendum e lo annuncia nell’89° anniversario del primo referendum, quello del 2 giugno 1946 fra Monarchia e Repubblica. Chi ricopre pubbliche funzioni, tantopiù se in ruoli apicali, dovrebbe sempre invitare a votare e mai ad astenersi. Ma c’è qualcosa di ancor peggiore dell’istigazione all’astensione: lo sdegno selettivo di chi accusa chi la pratica, scordandosi di aver fatto lo stesso. Oggi i radicali, promotori del quesito sulla cittadinanza breve agli stranieri, si stracciano le vesti perché Meloni e La Russa si battono contro il quorum. Ma il primo a farlo fu proprio Pannella nel 1985 sulla scala mobile scassinata dall’amico Craxi. Che a sua volta si suicidò nel 1991 invitando ad “andare al mare” sul referendum elettorale. Nel 1999 Mattarella, vicepremier Ppi del governo D’Alema, quando si votò sulla legge elettorale (la sua: il Mattarellum), pose sullo stesso piano voto e astensione: “Ogni elettore può scegliere cosa fare: votare, non votare, votare sì o no”. Il quorum fu mancato per lo 0,42%. Oggi il Pd tuona contro i filo-astensionisti Meloni e La Russa, ma ha fatto spesso come loro.
Nel 2003 i leader dei Ds Fassino e della Margherita Rutelli e il segretario uscente della Cgil Cofferati invitarono a stare a casa nel referendum di Rifondazione sull’art. 18 nelle piccole aziende. Lo stesso fece il Pd sui quesiti anti-trivelle del 2016: Renzi, segretario e premier, definì il referendum “una bufala” esaltando il non voto come “costituzionalmente legittimo”. E il senatore a vita Napolitano (fino a un anno prima al Quirinale) tuonò contro “l’inconsistenza e la pretestuosità di questa iniziativa referendaria: ci si pronuncia su quesiti specifici che dovrebbero essere ben fondati. Non è questo il caso. Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”. Quando poi l’astensione vinse, il renziano Carbone sbeffeggiò col Ciaone chi era andato a votare, pensando di aver vinto lui. Il Ciaone tornò indietro come boomerang otto mesi dopo, quando il referendum costituzionale senza quorum (comunque votò il 65,47%) rase al suolo la schiforma e il governo Renzi. Anziché giocare al “senti chi parla”, dove non vince nessuno, i partiti dovrebbero riformare i referendum: consentendo anche quelli propositivi oltre a quelli abrogativi; aumentando il numero delle firme da raccogliere (oggi online è più facile); e fissando un quorum più basso, per esempio a metà dei votanti alle ultime elezioni politiche. Nel 1946 votò l’89% degli elettori, nel 2022 il 63,9, nel 2024 il 49,6: se n’è accorto qualcuno?

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