L’ossimoro dell’immobilità
di ANTONIO SPADARO
Scorre ordinata la fila dei fedeli nella basilica di San Pietro, e si apre all’esterno nella piazza. A guardarla dall’alto, dalle camere dei media vaticani, la fila avanza e si muove vivace e lenta, senza sosta. Sono gli sguardi a protendersi verso un parallelepipedo di legno. Lì c’è il corpo di Francesco vestito di una casula rossa con la mitria bianca e le mani incrociate in un rosario, una un po’ sollevata rispetto all’altra. Non ha voluto la semplice ma solenne casa del Palazzo apostolico per vivere, e non ha voluto il catafalco per morire. Ha stabilito che le esequie del Romano Pontefice devono essere simili a quelle di un «discepolo di Cristo», e non quelle di un «potente di questo mondo». Ma la destrutturazione dei codici del potere era iniziata il 13 marzo del 2013, quando dalla loggia delle benedizioni di San Pietro si era affacciato un nuovo Papa, bianco, tutto bianco, senza niente di rosso, colore tradizionalmente imperiale ed espressione della imitatio imperii del vescovo di Roma, di cui il Constitutum Constantini costituisce la giustificazione e la sanzione giuridica. Il Papa smette di essere l’ultimo imperatore. Il suo rosso adesso significa solamente la passione di Cristo, il sangue da lui versato e il fuoco dello Spirito Santo. Il mistero, non il potere.
E da ieri lo abbiamo visto così, su una bara semplice, appena sollevata da terra e inclinata. Se il giorno di Pasqua per l’ultima volta la papamobile lo ha portato tra i fedeli, ora sono i fedeli che attraversano la piazza per dare l’estremo saluto. Francesco immobile non lo si era mai visto. Francesco rigido è un ossimoro che appare nel brusio della fila sotto gli occhi di chi passa e si ferma pochi istanti. Ma resta inevitabile, guardando il suo corpo fatto pietra, ricordarlo in azione, nella sua piena capacità di torsione, nel suo squilibrio. Ricordo che a Rio de Janeiro passava in papamobile verso un incontro con i giovani quando vide che aveva appena oltrepassato lo spazio della sala stampa. Non rinunciò a inarcarsi a destra fino a perdere l’equilibrio pur di salutare tendendosi. E quante volte le sue mani si sono protese verso quelle slanciate dei fedeli, spesso attento a non franare sulle prime file delle sedie a rotelle dei malati? Una volta, in Ecuador, la corsia era troppo stretta e Francesco passava accompagnato dalle mani dei fedeli che da ambo i lati lo toccavano, e dunque lo spingevano. E lui procedeva imperterrito come uno Charlot pur di non sottrarsi al tatto. Perché è proprio il tatto il senso che più richiamava il corpo paterno di Francesco che la gente ha sempre amato abbracciare d’istinto, il contatto con la sua maschilità risolta. Ed è il tatto il senso al quale mai lui ha voluto rinunciare per comunicare con i non vedenti, toccando e facendosi toccare il volto.
Il superamento del limite in lui sconfinava con la goffaggine, la sua eleganza mai coincideva con la rigidità, il suo corpo eccedeva per difficoltà deambulatorie, ma era proprio questa eccedenza la cifra della sua postura, la laicità del suo riferimento alla Trascendenza. Che non fosse mai trascuratezza lo testimoniava il leggero profumo di antica acqua di colonia che lo ha sempre accompagnato. E questo ha turbato i fautori dell’immagine ieratica del potere, del sacro, della distanza, del gradino. «Ti piace la mia nuova sedia gestatoria?», mi disse prima di entrare in un’udienza. L’ironica fierezza del bolide che certificava una nuova debolezza fisica è diventata una cifra di prossimità, ancora più che la sua monovolume tra le berline. E Francesco ha appreso una nuova plasticità, quella del corpo fermo, sollevato a braccia dai suoi assistenti, un corpo che sapeva farsi prendere, del quale non aveva il controllo. Lui, che non permetteva a nessuno di fargli da portaborse. E poi il suo bastone d’appoggio, quello con impugnatura curva e puntale antiscivolo, gli ha dato un ritmo lento, un’andatura a fiamma. Agostino Paravicini Bagliani insegna che Il corpo del Papa — come recita il titolo del suo saggio — costituisce un dispositivo simbolico attraverso cui pensare la messa in scena del sacro. Lo capiamo adesso, quando il corpo di Francesco ha assunto una innaturale rigidità, quanto egli abbia visto nella tenerezza plastica del corpo umano la più elevata rappresentazione del divino, la cifra del suo ministero.
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