domenica 31 dicembre 2023

Guanciale?



Per un utente adiposo della cucina, uno che al massimo riesce a cuocere un uovo, ma a volte neppure quello, la richiesta dalle “alte sfere” che ti tramutano in un umile robottino tuttofare, silente ed obbediente al pari dei rematori di una nave negriera, è non solo perentoria, ma intesa quasi come l’undicesimo comandamento: “vai a comprare il guanciale per l’amatriciana!” Scudisciandomi oltremodo per la crassa, nomen omen, ignoranza culinaria da usurpatore del desco nella più malsana voracità, dapprima ho inteso l’acquisto di un cuscino per mamma invitata a sorpresa, dopodiché grazie al web ho visto la parte del maiale richiesta, addentrandomi nel supermercato come Donzelli in un centro culturale. Nell’immenso scaffale trovare il guanciale aveva la stessa probabilità di non fare fermate intermedie su un treno con Lollo il Cognato a bordo. E naturalmente quel gran bastardo del fato, mi faceva vedere tutte le parti del maiale, compreso zampe e occhi; ma non il guanciale. Ed ecco che gli dei, inteneriti da si tanta ignoranza, mi fanno scorgere l’inserviente già nervosa per il lavoro sansilvestriano, alla quale mi avvicino con una nonchalance frutto di un mix Cracco-Canavacciulo, proferendole a bassa voce “sono indeciso tra un’amatriciana e una cacio e pepe… che dici?” ed ella, immaginandomi col cappello bianco da  chef “ma dipende dai gusti! A me piace più l’amatriciana, tra l’altro abbiamo un ottimo guanciale!” indicando con lo sguardo la zona di esposizione. “Seguirò il tuo consiglio!” attivando il radar per agguantare finalmente la preda… - “lì in basso a destra… più giù… ecco quello!”
Chiedendo pietà a Gualtiero Marchesi, mi sono avviato tristemente alla cassa, stabilendo sin d’ora che nel 24 m’interesserò con particolare dovizia agli ingredienti dei principali piatti, sfanculando l’obnubilante ventre onnivoro, responsabile della personale sguaiata condotta culinaria, capace di non farmi riconoscere un saltimbocca alla romana… mumble… ma come si cucinano… aaargh!!

Cambio idea

 

Avevo detto che non li avrei più postati, spronandovi ad acquistare il Fatto. 

Ma uno bello come questo è impossibile non conservarlo a futura memoria. Chiedo venia Marco! E tanti auguri di Buon Anno a tutta la redazione!  


Capo danno

di Marco Travaglio
 
Ieri abbiamo reso omaggio ai migliori scoop del 2023 sulla sonante vittoria di Ucraina e Nato e l’umiliante ritirata di Russia (prima di scoprire la malaugurata inversione dell’ordine dei fattori), nonché sulla morte imminente di Putin, affetto da tutte le patologie note in letteratura medica (prima di scoprire lo sfortunato scambio fra la sua cartella clinica e quella di Biden). Ma i colpacci dei giornaloni nell’anno ormai finito sono ben di più. Grazie al titolo di Libero “Meloni uomo dell’anno” vergato da Fichi Sechi, innamorato pazzo di Giorgia (“Nel mondo ormai è un’icona pop”, tipo lady Diana) e pretendente al trono vacante di Giambruno, abbiamo scoperto perché la premier, già “donna, madre e cristiana”, insiste a farsi chiamare “signor presidente del Consiglio”: altro che otoliti, ha cambiato sesso e ora è uomo, padre, gender e pure un po’ queer, oltreché piuttosto incazzato con Sechi per lo spoiler. Dal quale Sechi, come dagli altri Angelucci Boy, abbiamo imparato che gli appalti truccati all’Anas e l’arresto del figlio di Verdini e cognato di Salvini (il ministro che controlla l’Anas) non sono una notizia. Dal Riformatorio del direttore editoriale Renzi (quello che decide) e del direttore responsabile Ruggieri (quello che prende le querele), abbiamo appreso che non è Renzi a doversi giustificare per aver incassato 3,2 milioni nel 2022 senza un mestiere ma con i petrodollari insanguinati di bin Salman: è Conte, per aver fatto politica per 20 mesi senza vedere un euro, tenendo chiuso lo studio legale e restando in aspettativa da professore universitario per prevenire i conflitti d’interessi. Si vergogni e arrossisca.

I giornaloni, poi, trasmettono la netta sensazione che i palestinesi di Gaza, specie le donne e i bambini, passino il tempo a spararsi e bombardarsi da soli pur di sputtanare il governo Netanyahu mentre si difende a mani nude. Invece i repubblichini Cappellini e Merlo ci hanno convinti che Conte, votando No al Mes, “ha salvato il governo”, che invece col Sì dei 5S presenti “sarebbe andato sotto”. Ora, siccome su 300 deputati votanti i No sono stati 184, i Sì 72 e gli astenuti 44, al Mes mancavano 112 voti e i 5S erano solo 34, quindi non si scappa: il voto di ogni 5Stelle vale almeno 3. Grazie a Rep abbiamo finalmente chiarito la vera missione di Elly Schlein, votata come segretaria dagli elettori Pd per fare cose di sinistra: prendere il posto di FI nella “prateria” del “centro moderato” che tanta fortuna già portò a Renzi, Calenda, Moratti e altri ectoplasmi, possibilmente sventolando l’Agenda Draghi non appena verrà rinvenuta da archeologi e speleologi dopo due anni ininterrotti di ricerche. Ma c’è tutto il 2024 per rintracciarla, magari insieme all’agenda rossa di Borsellino. Che però almeno esiste.

L'Amaca

 

Di che genere è il rispetto
di Michele Serra
Riporto qui di seguito, perché inappuntabili sotto ogni punto di vista (politico, polemico, logico, grammaticale, infine emotivo), le parole pronunciate alla Camera dalla deputata dem Cecilia Guerra per spiegare perché si era rivolta al presidente di turno, Giorgio Mulé di Forza Italia, chiamandolo «signora presidente».
«In quest’aula l’onorevole Marco Perissa ha parlato della segretaria del mio partito (Elly Schlein, ndr) chiamandola al maschile, segretario, ritenendo che questa era una scelta che a lui competeva. Se a lui compete rivolgersi a una donna con un appellativo maschile, a me è concesso rivolgermi a lei con un appellativo femminile».
Non fa una grinza. Non c’è replica possibile, a meno di decidere che chiamare “signore” una donna sia lecito, e chiamare “signora” un uomo invece non lo sia; come se il genere maschile fosse così scontatamente superiore da sconsigliare a una donna di risentirsi se definita al maschile, e invece consentire a un uomo di inalberarsi se definito al femminile.
Difatti Mulé si è offeso, lamentando la violazione della sua identità; e non capendo che uguale rispetto era appena stato negato a Schlein, che non è un segretario di partito, è una segretaria.
Poiché Mulé proviene dal giornalismo, avrebbe, a parte la facoltà personale, anche i mezzi “tecnici” (lunga pratica con le parole, buona conoscenza dell’italiano) per riflettere sull’accaduto, riconoscendo che la deputata Guerra ha ragione, il deputato Perissa torto.
Ma non credo accadrà. Troppo scontato è il pregiudizio, e soprattutto troppo faticoso ammettere di avere torto.

venerdì 29 dicembre 2023

No così no!



Eh no caro Morfeo, così non vale! Questa è la seconda notte che sogno Ella - stanotte addirittura le ho chiesto come si sentiva, se stava migliorando!- e questa la ritengo una carognata! Non ti ho mai chiesto numeri per il lotto, né di partecipare ad incontri diciamo speciali, ma dover dialogare con Ella mi pare sinceramente troppo! Guarda che non mi chiamo Donzelli!



L'Amaca

 

Pure loro decadono
di Michele Serra
Il cosiddetto “festino dei vip” a Mosca, mezzi nudi, molto brilli e soprattutto cafonissimi, ha fatto molto arrabbiare Putin e i pope che gli fanno da guardaspalle ideologici: ma a noi occidentali ci consola parecchio.
Pensavamo di avere il monopolio della decadenza, di essere i soli trimalcioni del mondo, i debosciati per antonomasia, a differenza delle Vigorose Nazioni slave e dei Laboriosi Popoli asiatici. Noi a tirar mattino in reggicalze tracannando porcherie, loro tutti militi impavidi, operai zelanti, commercianti instancabili.
Invece, vedi: pure loro decadono. Così da darci l’idea, in fondo rassicurante, che sia l’umanità intera a doversi dare una regolata, non solamente noi che ci sentiamo una civiltà a fine corsa, e quando ci guardiamo allo specchio ci sembra di vedere solo rughe e belletto.
Saranno stati i social, sarà la globalizzazione, fatto sta che quello che i clericali di ogni landa chiamano “peccato”, e a noi pare soprattutto scemenza, si spalma sopra tutti i fusi orari come una spuma micidiale, e non lavabile.
Scopriamo che anche nella Santa Madre Russia sono i blogger e gli influencer a dirigere l’ultima recita, la baldoria che precede lo sprofondo (qui sembro lugubre come Ceronetti, me ne rendo conto). Già ci avevano aiutato le boy-band coreane, a sospettare di non essere noi quelli messi peggio.
Ora, godendoci le foto del party moscovita che nemmeno Grosz ubriaco di vodka avrebbe saputo ritrarre in tutta la sua racchia vanità, aspettiamo i trapper delle steppe mongole e le orge bisex del Bangladesh per sentirci, infine, una sola umanità.

Già

 



Giorgetti è il migliore: ci ha regalato il “caos”

di Daniela Ranieri 

Vedi tante volte la vita: vai a dormire che sei il più intelligente ministro del governo Meloni (non che ci volesse tanto, obiettivamente), dopo essere stato uno dei migliori del governo dei Migliori, e ti svegli che sei il frontman di un’armata Brancaleone diuturnamente impegnata in figuracce, frottole, retromarce, sfregi al popolo, favori ai delinquenti, sottomissione ai poteri extra-nazionali e coglionaggine in economia.

Giancarlo Giorgetti da Cazzago Brabbia, profondo Varesotto delle feste nei capannoni della fu Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, rispondendo in audizione alla Camera alle domande della commissione Bilancio ha confessato l’inopinato: “Il nuovo Patto di Stabilità è un passo indietro rispetto alla proposta iniziale della Commissione, perché abbiamo introdotto, in un sistema già complicato, il caos totale, tantissime clausole per richieste di diversi Paesi”, tutti tranne l’Italia, evidentemente.

Essendo il Patto un “caos totale”, lui l’ha appena firmato (poi, contro il suo parere, il suo partito ha respinto la ratifica del Mes così tutti avrebbero parlato di quello e non del disastro di autorevolezza). Non solo: il Patto “rischia di diventare addirittura pro-ciclico”, cioè capace di spingerci alla recessione, stante che ci imporrà tagli per 12,5 milioni l’anno fino al 2031, soldi che non verranno certo sottratti agli armamenti (ci siamo impegnati con la Nato per l’aumento al 2% del Pil per le armi, 13 miliardi l’anno), ma alla Sanità pubblica e a tutti gli altri obsoleti orpelli del welfare.

Giorgetti, sempre molto elastico di natura (è stato sottosegretario o ministro nei governi Berlusconi, Conte, Draghi e Meloni), diventa così l’ambasciatore principe dei messaggi schizofrenogeni del governo, la cui capa Meloni, che annulla la seconda conferenza stampa per eterna influenza, da sovranista e orgogliosamente populista che era quando c’era da prendere voti, è diventata la vestale dei conti in ordine, dello spread “sotto controllo”, di “una Borsa che dal 2023 sta facendo registrare la maggiore performance d’Europa” (sulle spalle dei disgraziati) e si inchina ai mercati (lontani i tempi in cui strillava contro l’Europa ai mercati rionali).

Giorgetti è posseduto dal Super-Io di Mario Monti: “Abbiamo vissuto quattro anni in cui abbiamo pensato che gli scostamenti si potessero fare, che il debito e il deficit si potessero fare e si potesse andare avanti così senza tornare a un sistema di regole. Siamo assuefatti a questo Lsd, ma il problema non è l’austerità, il problema è la disciplina”. Ma di chi parla Giorgetti? Non sono stati loro i principali spacciatori di questa droga che si chiama debito, deficit, insofferenza alle regole sovranazionali? Non era Meloni che sotto la pandemia prometteva “1.000 euro a tutti con un click”? Non era il “vincolo esterno” la materializzazione dell’Anticristo? Non era “finita la pacchia” a Bruxelles? Non dovevano i dioscuri della Lega Bagnai e Borghi spezzare le reni ai poteri finanziari, ridare voce al popolo, rendere l’Italia di nuovo grande nel consesso internazionale ripristinando se del caso la “liretta”? Qual è la differenza tra Draghi e Meloni, a parte che uno è laureato e l’altra no? Dove stanno “l’Italia protagonista” e “l’orgoglio italiano” che Meloni e i suoi sottoposti vanno sbandierando sui social? Per Domani Giorgetti “ha scelto la strada della schiettezza”: davvero? Allora avrebbe dovuto dire che l’Italia non conta niente in Europa, il suo ministro dell’Economia non conta niente nel governo e manco nel partito nato nella terra fantasy detta Padania, visto che lui e Salvini non sono d’accordo su niente (vedi Mes), e che le nuove regole del Patto sono state firmate con un vertice privato tra Germania e Francia (“Giorgetti? Sentito al telefono”, ha detto il ministro dell’Economia francese Le Maire: manca poco che dicano che però cuciniamo bene). Come non avvertire la malinconia dei dipinti di Hopper nella foto che ritrae Meloni nel “vertice notturno” al bar dell’Hotel Amigo di Bruxelles con Scholz e Macron, lei che ha detto: “Per alcuni la politica estera è stata farsi foto con Francia e Germania quando non si portava a casa niente” (ce l’aveva con Draghi nella famosa foto in treno verso Kiev con gli stessi soggetti, poi si è ravveduta e ha detto che parlava del Pd, entità collettiva e astratta che a volte si materializza e si fa le foto con Francia e Germania) e si è visto cos’ha portato a casa lei: il “caos totale” e il rischio recessione. (Comunque noi qualche dubbio su Giorgetti l’avemmo quando nel 2019 con la consueta flemma apodittica disse al Meeting di CL che “il mondo in cui ci si fidava del medico è finito” e che la gente preferiva curarsi su Internet, tanto valeva investire sul privato; poco dopo è scoppiata una pandemia con le terapie intensive e i Pronto soccorso allo stremo e 1000 morti al giorno).

giovedì 28 dicembre 2023

Ai ahia!



Ha dell’incredibile e dello spaventoso il video del giornalista di Repubblica che, sfruttando la IA, in men che non si dica ha preso le sembianze di celebri personaggi, facendoci temere il peggio che ha da venì! Nulla sarà come prima, tutto potrà essere taroccato, salirà oltremodo il dubbio in ognuno di noi, le fotografie, i video diverranno spazzatura e la verità s’allontanerà sempre più. Solo al pensiero che il ribaldo biondastro nel prossimo novembre ritorni in tolda iùesei, la voglia di cercarsi una buona grotta cresce esponenzialmente. L’intelligenza artificiale, come tutte le evoluzioni, sarà utile in molti campi e dannosissima in altri, in special modo nella nostra libertà già ora limitata. Molto limitata. Guardate lo sguardo di Donzelli e vi convincerete al riguardo.

Foglie ventose

 




Capita di andare a vedere un film d’autore, scarno di musica, dialoghi, ma nel complesso molto bello; tra lo sgomento di Morfeo che non mi ha avuto; senza radiolina in bocca. Il maestro Kaurismaki vuol trasmettere… azz! Non ho la giacca vellutata e la pipa! Andate quindi a gustarlo!

L'Amaca


L’antifascismo come burla

di Michele Serra

Se è vero che il possibile candidato della destra al governo di Firenze, Eike Schmidt, fin qui direttore degli Uffizi, si dichiara «antifascista», gli andrebbe chiesto se ha capito bene chi vorrebbe candidarlo. E se chi vorrebbe candidarlo ha capito bene quello che Schmidt sostiene di essere.
Va bene che la politica italiana ha la consistenza etica e la fermezza ideale di un budino, ma forse un limite al ridicolo dovrebbe essere messo.
A meno che si tratti di un geniale espediente per rafforzare e ampliare il famoso piano di nuova egemonia, anzi di “nuova narrazione” della destra al potere: così come Dante, Manzoni, la Rai, il Risorgimento, la religione cattolica e il gioco dei pacchi in prima serata, anche l’antifascismo, checché ne dica la storia manipolata dalla sinistra, è di destra.
E che al governo i fascisti a tutto tondo si contino a bizzeffe, a partire dal capo dell’arditismo fiorentino, il camerata Donzelli, è un dettaglio al quale solo una propaganda malevola può appigliarsi.
A pensarci bene, è come quando il miliardario Berlusconi faceva pubblicità elettorale come “presidente operaio”, e si spacciò perfino per partigiano. Significava che non solo voleva vincere, voleva proprio stravincere, e pure pigliare per il culo gli sconfitti.
Ora c’è da seguire questa nuova sfida al buon senso (neanche all’ideologia, che è vizio da intellettuali; al buon senso, che è virtù da mercato rionale): l’antifascista candidato dai fascisti.

Già, perché la vera forza della destra italiana è che, pur di vincere, voterebbe per chiunque, perfino per un antifascista. E la vera debolezza della sinistra italiana è che, pur di perdere, non voterebbe per nessuno.

mercoledì 27 dicembre 2023

Time


Capita che tra strenne e convenevoli, tra pranzi e cenoni, s’offuschi il sano Deiezion Time, al punto che, basito, t’assale in cervice il quesito “ma dove sarà finito quanto ingurgitato?”
E così, all’improvviso, mentre stai cazzeggiando per le vie, il segnale del troppo pieno t’avverte del prossimo ed inevitabile svuotamento, come l’imperlato testimonia, assieme all’ansia e ad immagini di Richard Ginori scorrazzanti nella mente. A quel punto come un naufrago avvistante una nave, erri rispondendo di default a commenti, quesiti, incontri. Hai solo un obbiettivo, chiaro, limpido, imprenscindibile! Il ritorno in bus accelerante l’incontro, il maleficio dell’ascensore fermo al settimo, vengono travolti dalla necessità di ottemperare al Deiezion Time!

Vai d’Amaca!


L’amaca
Come i cavoli a merenda

DI MICHELE SERRA

Come era suo pieno diritto, Giuseppe Conte ha replicato a Stefano Cappellini e a Repubblica sul Mes. Lo ha fatto con argomenti discutibili (che non vuol dire sbagliati: vuol dire che sono oggetto di discussione, ammesso che la parola “discussione” abbia ancora un senso). Ma un punto apparentemente marginale della sua replica faceva cadere le braccia, ed è l’attribuzione a Cappellini — e per esteso a Repubblica — di una identità “salottiera” che non solo è indimostrabile e pretestuosa, ma incarna, con una banalità mortificante, il pregiudizio stupido della destra populista.
Se il capo del secondo partito di opposizione parla e pensa come Meloni e Salvini, e come Libero e La Verità, ricalcando i luoghi comuni del conformismo governativo, vuol dire che abbiamo un grosso problema: come quadro politico e come Paese. Non so se Cappellini sia di sinistra tanto o poco o per niente, so che quando parla argomenta quello che scrive e so che non lo manda nessuno. È un signore che firma le proprie opinioni, come buona parte dei giornalisti italiani. Se ha ragione, ha ragione da solo, se ha torto, ha torto da solo: ecco un principio liberale — la responsabilità individuale — che il partito dell’“uno vale uno” dovrebbe capire e soprattutto dovrebbe difendere: Cappellini vale Cappellini, Conte vale Conte.
I salotti e la gauche caviar c’entrano come i cavoli a merenda. E il fatto che Conte li abbia tirati in ballo legittima, purtroppo, l’ipotesi infausta che il cosiddetto campo largo sia impraticabile, dal momento che un suo pezzo significativo (quello guidato da Conte) non solo vota come la destra, ma ragiona come la destra. Peccato.
Meloni governerà un altro paio di legislature. Conte, non si sa.

È il Film!


FILM CULT
Fammi ridere ancora Frankenstein
La versione surreale di Mel Brooks con il fenomenale Marty Feldman nella parte del servitore Igor è una visione imperdibile nei giorni di festa. Costò appena un milione di dollari e ne incassò novanta

DI MARCO BELPOLITI

Non è Natale se non c’è Frankenstein Junior . Comodamente seduti in poltrona, dopo aver inserito il dvd nel riproduttore – a volte persino un vecchio vhs sopravvissuto a tutte le trasformazioni tecnologiche – ci si gode il film di Mel Brooks scritto insieme a Gene Wilder, fantasioso autore del soggetto nonché attore protagonista di questa parodia di uno dei pochi miti della modernità conosciuto anche dai bambini delle elementari.
Chissà cosa avrebbe detto Mary Shelley se avesse potuto vedere il suo moderno Prometeo fatto a pezzi dalla comicità dei due, coadiuvati da un incredibile Marty Feldman nella parte del servitore Igor, inventore estemporaneo di alcune delle più belle battute del film.
Uscito nel 1974 Frankenstein Junior , costato un milione di dollari, sbancò i botteghini cinematografici raccogliendo in breve tempo 90 milioni. Forse non è un caso che a trasformare il romanzo gotico in un nuovo divertente e sarcastico capitolo di amore e morte nel cinema americano siano stati tre ebrei figli di immigrati dall’est dell’Europa, comprimari dell’opera buffa che mescola insieme umorismo macabro, allusioni sessuali, battute memorabili, xenofobia, citazioni da film di genere, il tutto condito con ampi spruzzi di politically incorrect .
L’idea geniale è quella d’aver girato il film in bianco e nero contro l’opinione dei primi produttori creando così una falsa copia del passato, ovvero una opera cinematografica di secondo livello. Pieno di allusioni quasi intraducibili come «Put the candle back », ovvero: «Metta a posto la candela»; oppure: «What Knockers ! », resa con: «Mai visti due così», Frankenstein Juniorconserva in italiano un’intraducibile parola composta: Schwanzstück ,pronunciata sospirando da Inga, l’assistente del dottor Frankenstein. Si ride per le battute e immediatamente le si memorizza cosa che capita solo con le opere cult, per cui il divertimento consiste nel risentirle e quindi nel ripeterle.
«Che lavoro schifoso. Potrebbe essere peggio. E come? Potrebbe piovere », dice Igor mentre insieme al nipote del protagonista del romanzo di Mary Shelley estrae la bara dell’impiccato dalla fossa in cui è stato interrato, e subito si scatena il nubifragio. Indimenticabile poi quella dei lupi: «Lupo ulula. Lupululà? Là! Cosa? Lupu ululà e castello ululì. Ma come diavolo parli? È lei che ha cominciato. No, non è vero, non insisto. È lei il padrone».
E la gobba? Si può pronunciarequesta parola in un film? Il dottor Frankestein: «Sono un chirurgo di fama mondiale, posso fare qualcosa per quella gobba». «Quale gobba? » risponde Igor. La gibbosità, poi, si sposta da destra a sinistra, e viceversa, nel corso della storia.
Perché continua a piacere Frankenstein Junior a cinquanta anni di distanza? Per la sua irriverenza verso tutto e tutti; per la esagerata parlata tedesca dell’Ispettore Kemp (Kenneth Mars); perché irride la ricerca della vita eterna; perché mette in luce il sessismo della cultura americana; perché esibisce un formidabile trio di personaggi femminili: Inga (Teri Garr), Frau Blücher (Cloris Leachman), Elizabeth (Madeline Kahn); perché la Creatura (Peter Boyle), dopo aver ricevuto parte del cervello del geniale dottor Frankenstein, e ceduto un po’ del suo innato potere sessuale – eccolo qui loSchwanzstück – a letto con Elizabeth inforca un paio di occhialini e legge ilWall Street Journal: da povero demente a capitalista di successo. Insomma l’immancabile American way of life .
Quando Mary Shelley scrisse a 18 anni il suo immortale romanzo – poi rimaneggiato nel 1831 – aveva in mente un doppio tema, seppure in modo intuitivo: la paura del Mostro e il timore dell’incipiente sviluppo tecnologico. Ma cosa ha mosso Wilder e Brooks a riscrivere un mito del passato? Secondo i biografi, Wilder, inventore della trama, era stato un bambino pauroso, tormentato da incubi nel corso della sua infanzia, da cui il Mostro, poi diventato la Creatura. Inoltre c’è il tema delconflitto uomo-donna nel femminismo americano anni Settanta e nella prima stesura della sceneggiatura di Wilder il dottor Frankenstein soccombeva al Mostro che lo faceva precipitare in un dirupo e gli rubava la fidanzata. L’intervento di Brooks cambiò il finale e lo trasformò in una parodia del tipico happy end d’ogni commedia americana che si rispetti. L’alto e il basso si scambiano di continuo di posto e coesistono, come del resto avveniva nella stessa cinematografia americana degli anni Trenta cui il film s’ispira e a cui fa immancabilmente il verso. Come ha scritto Italo Calvino inAutobiografia di uno spettatore , quel cinema americano dei primi decenni del XX secolo «consisteva in un campionario di facce di attori senza uguali né prima né poi e le vicende erano semplici meccanismi per fare stare insieme queste facce in combinazioni sempre diverse ». Ecco forse il segreto del successo sta nelle sue facce incredibili, a partire dal duo Gene Wilder e Marty Feldman: uno spiritato e isterico istrione e un compassato e insieme beffardo servitore. Sono loro che piacciono soprattutto ai bambini, che seduti davanti al grande televisore piatto di nuova generazione non colgono molte delle allusioni presenti nei dialoghi, e tuttavia ridono di gusto perché le facce sono tutto nel cinema, e non solo lì. Un film gioioso. Mentre lo giravano, tutta la troupe rideva a crepapelle e l’operatore era in difficoltà: spesso le scene venivamo mosse. Tutte da rifare, come le risate natalizie.

martedì 26 dicembre 2023

Auguri dal Fatto Quotidiano

 

Dal prossimo anno non pubblicherò più l'editoriale di Marco Travaglio. Perché mi sembra essere giusto così. 

Chi vorrà continuare a leggerlo dovrà abbonarsi al Fatto Quotidiano, uno dei pochi giornali senza padroni, quindi libero. E di questi tempi mi sembra un grandissimo privilegio poter leggere notizie non sottomesse ai voleri di loro signori. Non trovate? 

Datemi retta: abbonatevi al Fatto!  


Buon Natale dal Fatto Quotidiano

di Marco Travaglio, Antonio Padellaro, Peter Gomez e Cinzia Monteverdi

Cari amici del Fatto, questa è la lettera numero 15 con gli auguri di un buon Natale e di un buon anno nuovo da trascorrere insieme. Già, perché stiamo per entrare nel 15° compleanno del nostro giornale, che per tutto il 2024 continueremo a fare alla nostra maniera: con più notizie che ci regalano più libertà.

Riassumere in poche righe l’anno che stiamo per lasciarci alle spalle sarebbe impossibile. Alla guerra fra Russia e Ucraina se ne sono aggiunte molte altre: soprattutto quella scatenata da Hamas il 7 ottobre col feroce pogrom di circa 1300 ebrei israeliani e moltiplicata dalla criminale reazione del governo Netanyahu a Gaza (ormai i palestinesi uccisi sono oltre 20mila, per il 70% donne e bambini). E in Italia, come purtroppo avevamo previsto, la presunta “nuova destra” di Giorgia Meloni ha riesumato tutto il peggio del vecchio berlusconismo proprio nell’anno della scomparsa del suo spirito-guida: impunità per i potenti, linea dura contro i deboli, guerra ai poveri, regali ai ricchi, condoni ai ladri, familismo amorale, scandali a manetta, allergia alla divisione dei poteri, alle regole e ai controlli indipendenti, attacchi alla libera stampa e alla magistratura.

Su tutti i fronti, ancora una volta, il Fatto Quotidiano ha fatto stecca nel coro del conformismo e del servilismo nazionali, dimostrando più che mai l’importanza di un’informazione libera e controcorrente: quella che possono garantire soltanto un giornale e un gruppo editoriale senza padroni, né in Italia né all’estero. La disfatta della controffensiva ucraina primavera-estate era stata ampiamente prevista dai nostri analisti (come peraltro dal Pentagono e da buona parte della stampa americana, meno embedded e meno sensibile alle veline Nato della nostra): se, anziché additarli per un anno e mezzo al pubblico ludibrio come “putiniani”, qualcuno li avesse ascoltati per tempo, oggi la pace o almeno la tregua nell’Europa dell’Est sarebbe più vicina o già siglata, centinaia di migliaia di ucraini e di russi sarebbero ancora vivi e l’Ucraina avrebbe potuto negoziare da posizioni più forti di quelle in cui si troverà a trattare dopo la sconfitta (di Kiev, ma soprattutto delle retrostanti Nato e Ue).

Anche su Israele siamo stati fra i pochi media a denunciare fin dall’inizio i crimini di guerra, oltreché di Hamas, del governo israeliano di Netanyahu, a cui incredibilmente gran parte dei media italiani perdonano tutto, anche se ha falciato molte più vittime civili in due mesi a Gaza di quante ne abbia seminate Putin in due anni in Ucraina. Ora fra qualche mese, non mi stupirei di leggere sui giornaloni ciò che noi abbiamo scritto fin dal primo giorno. Come già sta avvenendo sulla guerra in Ucraina.

“Siamo solo noi”, cantava Vasco Rossi. Ecco: un tempo eravamo solo noi quelli che dicevano ciò che gli altri non dicevano. Ora siamo solo noi quelli che dicono oggi ciò che gli altri diranno un anno o due dopo, quando ormai servirà a poco o a nulla: sempre a babbo morto, anzi a funerali avvenuti.

Non siamo certo infallibili, ma il fatto di non ricevere ordini, di non avere padroni da assecondare né pregiudizi da difendere, ci avvantaggia. E, quando sbagliamo, ci consente di riconoscerlo onestamente, perché non lo facciamo mai su commissione o per conto terzi.

Sul fronte interno, tutti i peggiori scandali del centrodestra sono esplosi grazie a inchieste o anticipazioni del Fatto: i pastrocchi finanziari del gruppo Santanché, le incredibili scorribande di Sgarbi (che stiamo svelando anche in collaborazione con gli amici di Report), il ministro-cognato-capotreno Lollobrigida che fa fermare à la carte un Frecciarossa in ritardo, il ministro Crosetto che vive da mesi nell’attico&superattico di un imprenditore della cybersecurity nonché fornitore dello Stato e del suo stesso ministero senza pagare un euro di affitto.

Naturalmente abbiamo appena cominciato a scoperchiare gli altarini del “nuovo”, anzi vecchissimo sistema di potere che ammorba l’Italia. E presto sveleremo altre storie di affari e malaffari, su cui già stiamo lavorando.

Il 2024 sarà un anno elettorale non solo per l’Europa e dunque Italia, ma anche per gli Stati Uniti, la Russia e forse l’Ucraina (se il voto non verrà rinviato) e avremo molto da raccontare. Noi ci auguriamo vivamente che le destracce che sgovernano il nostro Paese inizino, alle elezioni europee, la parabola discendente che meritano. Ma manterremo anche nei loro confronti il nostro atteggiamento imparziale: denunceremo i loro errori e orrori, ma saremo sempre pronti ad applaudire senza preconcetti eventuali meriti. Esempio: diversamente da altri, il Fatto non ha attaccato il governo Meloni quando ha agito per rafforzare il carcere duro ai mafiosi, anzi l’ha elogiato. E così abbiamo fatto quando la premier ha annunciato il prelievo sugli extra profitti bancari e il veto alle regole di austerità europea: l’abbiamo poi criticata quando ha battuto in ritirata su entrambi i fronti, genuflettendosi ai poteri finanziari italiani ed europei.

Queste sono la nostra coerenza e la nostra imparzialità. E per questo pensiamo di avere le carte più in regola di altri per avviare la campagna del No alla controriforma costituzionale meloniana del premierato in vista del referendum che dovrebbe tenersi nel 2025: perché nel 2014 avviammo quella per il No a una schiforma altrettanto verticistica e pericolosa, quella di Renzi-Boschi-Verdini, travolta dai No nel 2016. Altri invece scoprono i valori costituzionali solo quando a minacciarli è la destra, dopo avere sponsorizzato il Sì quando a conculcarli era il sedicente centrosinistra renziano. Sono gli stessi che tacevano o applaudivano alla legge-bavaglio targata Cartabia del governo Draghi e oggi riscoprono la libertà di stampa contro la legge bavaglio della destra.

A proposito: la nostra prima battaglia del 2024 sarà quella contro l’emendamento Costa – votato da FdI, Lega e FI, ma anche da Azione e da Iv che l’hanno addirittura proposta – che vieta di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare per intero o per stralci, privando non i giornalisti (che le conoscono), ma i cittadini delle necessarie informazioni sui motivi di un arresto. Noi del Fatto faremo obiezione di coscienza, continueremo a pubblicare le ordinanze testualmente tra virgolette e, quando saremo processati, ci appelleremo ai giudici perché ricorrano alla Corte costituzionale e alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro una legge che viola il diritto all’informazione sancito dall’articolo 21 della nostra Carta fondamentale e dalla giurisprudenza comunitaria. E che dunque speriamo venga presto disapplicata dai tribunali e ridotta a lettera morta.

Anche per questo, cari lettori, ci serve il vostro aiuto. Molti di voi, dinanzi alle cause civili e alle querele penali temerarie che ci sommergono (addirittura per le vignette, le caricature e la satira), ci chiedono di poter aderire a sottoscrizioni per pagare le spese legali, oltreché per fronteggiare i costi di produzione e della carta in continuo aumento e i cali della pubblicità (non sempre per ragioni legate al mercato…). Li ringraziamo, ma al momento contiamo di farcela da soli. Però un contributo ve lo chiediamo. Non a fondo perduto, ma in cambio del nostro lavoro quotidiano.

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Se avete consigli, idee, suggerimenti, rilievi, critiche e dissensi, scriveteci come sempre (1500 caratteri al massimo) a Il Fatto Quotidiano, via di Sant’Erasmo 2, 00184 – Roma, a segreteria@ilfattoquotidiano.it o a lettere@ilfattoquotidiano.it, indicando il nome del giornalista a cui vi rivolgete. Noi cercheremo di rispondere a tutti e di pubblicare i contributi più originali e interessanti nella pagina “Lo dico al Fatto”.

Anche nel 2024 ce la metteremo tutta per continuare a garantire a difendere un’informazione sempre più completa, libera, indipendente e battagliera e a preservare il diritto di cronaca, di critica e di satira. Voi, per quanto potrete, continuate a sostenerci.

Grazie di cuore.

E, a nome nostro e delle nostre redazioni,

Buon Natale e Buon Anno a tutti con il Fatto Quotidiano!

Marco Travaglio, Antonio Padellaro, Peter Gomez e Cinzia Monteverdi

Pandoreide

 

Così la pandoreide ha travolto la favola della piccola Chiara
POST CHE MONETIZZANO E LANCI DI MONETINE - Il mito dei soldi. Se ti racconti attraverso il denaro, è il denaro che può distruggerti. A rischio altri contratti come Coca-Cola
DI SELVAGGIA LUCARELLI
Tutti si chiedono cosa stia succedendo in casa Ferragnez, da giorni rinchiusi in una casa nuova di zecca che hanno mostrato senza sosta ai follower fino al giorno prima del Pandoro-gate: la sala cinema per i bambini, la palestra, il box doccia grande quanto il Mar Ligure, la gigantesca cabina armadio di Chiara che Fedez ha battezzato “la Rinascente” e poi quella frase di Fedez: “Il problema di questa casa è che è troppo grande, se ti dimentichi qualcosa devi correre per andare a prenderla”. I problemi, insomma. Lo scollamento dalla realtà aveva raggiunto l’apice mesi fa, quando le prime pagine dei giornali mostravano gli studenti in tenda davanti alle università di Milano per accendere una luce sul caro affitti in città ed esattamente in quei giorni Chiara Ferragni postava le foto della visita nel cantiere del nuovo mega attico con i suoi due figli. Mi ricordo di aver pensato che quell’altezza esibita senza alcuna empatia, era un’altezza da cui se cadi ti schianti. Idem con la nuova casa acquistata sul Lago di Como, altro traguardo di ricchezza raggiunto nel 2023 e da mostrare ai follower come l’ennesimo trofeo di caccia (allo sponsor).
Oggi, mentre i giornali scrivono che Chiara è chiusa in casa da giorni, il web è pieno di battute spietate come è spietato il privilegio esibito: “È chiusa in casa, sta ancora cercando nuove stanze” o “Chiara Ferragni è distrutta, si è murata nel suo attico di Citylife da 6 milioni di euro, su due piani con vista sulla Madonnina, con cabina armadio da 150mq, sala cinema, palestra Technogym, piscina condominiale. Tutta la nostra solidarietà”.
Se ti racconti attraverso il denaro, il denaro è ció che può distruggerti. Se la promozione di te passa attraverso la beneficenza urlata, la demolizione di te passa attraverso la beneficenza opaca. Se la tua ricchezza è alimentata proprio dal racconto della tua ricchezza in una specie di cortocircuito autorigenerante in cui i tuoi contenuti da ricca generano altra ricchezza, non puoi permetterti inciampi sulla gestione del privilegio. Perché non verrai perdonata.
Si disse che la fine di Lele Mora fu sancita dalle fotografie del suo enorme, stracolmo frigorifero in Costa Smeralda, quando era all’apice del successo come agente delle star. Qualcuno iniziò a guardare cosa ci fosse nei suoi conti, oltre che nel frigo. Pochi giorni prima del Pandoro-gate Chiara aveva mostrato ai follower il suo nuovo gigantesco frigorifero hi-tech che non solo era un regalo, ma pure un contenuto pagato, come del resto quasi tutta la sua casa. Molti avevano commentato: “Neppure un frigo si compra”. E in effetti in questi giorni, ai problemi legati all’Antitrust e alle attenzioni delle Procure, si aggiungono diversi problemi commerciali. C’è lo scontento di chi aveva regalato ai Ferragnez i marmi e altri prodotti in casa e vorrebbe la pubblicità promessa (o forse non la vuole più), chi come Safilo ha interrotto gli accordi commerciali, e poi Bmw, Pantene, sembra anche Coca-Cola e tante altre aziende che stanno valutando il da farsi.
Per una sorta di legge del contrappasso, tra l’altro, il Pandoro-gate è scoppiato proprio nel periodo natalizio, ovvero quando storie e post su Instagram generano più profitto.
A ciò va aggiunto che il disastro reputazionale è così enorme da aver travolto tutta la sua famiglia. In fondo è lo stesso destino di Giorgia Meloni: quando coinvolgi tutti i parenti nei tuoi “affari”, l’errore di uno è l’errore di tutti. Non importa che sia politica o business, quando intorno al potere si costruisce un cerchio magico, ogni singolo elemento di quel cerchio, con un brutto inciampo, puó cancellare la magia. Se hai scelto di essere “I Ferragnez” con tuo marito, se hai tirato dentro il business degli ADV su Instagram due sorelle e perfino tua madre che reclamizza palestre e prodotti per la menopausa, poi l’onda travolge tutti. Non a caso in questi giorni gli account di tutte le persone citate sono congelati, fermi in un silenzio surreale, perché anche sotto ogni loro post i commenti sono tutti su Chiara, sul perché non si dissociano da ciò che ha fatto Chiara, sul perché non si vergognano di ciò che ha fatto Chiara.
E, al momento, tra le intromissioni sgangherate di Fedez nella vicenda e i consigli sbagliati (di chi non sappiamo) su quel disgraziato video di scuse, non sembra neppure che Chiara sia consigliata da qualche problem solver di alto livello.
Aspettare la multa dell’Antitrust sperando di passarla liscia non è stata una buona idea. Ferragni avrebbe dovuto riconoscere lo sbaglio appena uscita l’inchiesta, giocare d’anticipo, assumersi le responsabilità e poi pagare la multa senza sconti. Il ricorso, se verrà confermata la multa, la espone a nuova gogna. E ora si aggiungono anche le uova di Pasqua che pure se non si tradurranno in una multa, tradiscono comunque un’abitudine nel mescolare beneficenza e operazioni commerciali. E poi: chi ha deciso di eliminare in fretta i vecchi post sulle uova, mentre stava uscendo la seconda puntata dell’inchiesta sul Fatto? Non depone a favore della buona fede.
Intanto, Ferragni ha cancellato cene aziendali e ha messo a tacere le voci secondo le quali sarebbe saltata la testa del suo manager Fabio D’Amato. Nessun capro espiatorio, ma solo una lunga espiazione che, pare, consisterà in un silenzio social di qualche settimana. La figura del suo manager è fondamentale perché molti, soprattutto nell’ultimo anno, sostengono che Chiara non muova un passo senza consultarlo. Qualcuno ha anche provato ad addossare a lui ogni colpa, ma era davvero difficile capovolgere in un attimo la narrazione della rampante imprenditrice simbolo dell’empowerment femminile in una fanciulla sprovveduta che non sa cosa firma.
C’è chi dice che Ferragni tema di essere finita. Di sicuro, che so, evadere le tasse le sarebbe costato meno: frodare il fisco, un’entità astratta, è meno grave nel giudizio morale del fare i furbi con la beneficenza destinata a bambini malati. Serviranno tempo e intelligenza per aggiustare quel che si può aggiustare, ma certo la Chiara di prima, quella vincente, vanagloriosa e senza macchia, sempre vittima e mai carnefice, non esisterà più. Quel posto, oggi, è vacante.
E Chiara, con il tempo e dei buoni consigli, ne potrà forse occupare un altro. Al momento la caduta è durissima: le piovevano banconote sulla testa e ora le lanciano addosso monetine.
L’unica buona notizia è che i due figli dei Ferragnez trascorreranno le feste di Natale senza i cellulari puntati addosso. Forse.

Tra le strenne

 

Che bei vedovi
di Marco Travaglio
La prematura dipartita del Mes, venuto a mancare all’affetto dei suoi cari proprio per le Sante Feste, sta causando un’alluvione di lacrime di vedove inconsolabili, orfani affranti e prefiche urlanti. “Un Mes senza l’Italia”, “Eurozona meno stabile”, titola Rep listata a lutto, con sondaggio sul “52% degli elettori favorevole alla ratifica del trattato” (ma “l’82% degli italiani dichiara di non sapere esattamente in cosa consista il Mes”: tutto vero). Per Giannini, la Meloni ci lascia senza Mes per via di una lettera di Mussolini a D’Annunzio del 1926 sulla lira a quota 90, il cui nesso col Mes non può sfuggire. I coniugi Bini Smaghi binano e smagano a edicole unificate: il marito su Rep (“Il governo ha perso credibilità. Non si fidano più di noi”: prima invece un casino); la gentil consorte Veronica de Romanis sulla Stampa (“Il salva-Stati serve a noi e all’Ue”, infatti non l’ha mai chiesto nessuno). Il Corriere raccoglie il grido di dolore della Nazione tutta: “Giorgetti scuote la maggioranza”, “Così siamo più fragili”. Franco trema per l’“isolamento” e Furbini perché dai “partner spiazzati” c’è lo “stop alle simulazioni sulle banche” (qualunque cosa significhi). Per Domani “Siamo diventati un paese affondatore della Ue” e “sulla pelle dell’Italia”. Ma il Foglio non dispera: “Meloni può ancora ratificare il Mes con una riserva come in Germania” (un terzino tedesco?). L’unico vedovo extra-italiano che parla è il capo della banca centrale finlandese, l’ex eurofalco Olli Rehn, che vuole usare il Mes “come piano B per l’Ucraina”, tanto per farci qualcosa.
Sempre per l’angolo del buonumore, Renzi accusa FI di “tradire l’eredità culturale e politica di Berlusconi” (testuale), poi se la prende con “Conte e Casalino”. Già, perché ha stato Conte pure stavolta: essendo sempre stato contro questo Mes, ha votato contro questo Mes. Domani lo paragona a “Zelig”. Rep lo accusa di “puntare a superare il 15%” (mentre un vero leader dovrebbe puntare a perdere voti). La Stampa gli imputa una “svolta populista che preoccupa il Pd” (per pensarla come l’ha sempre pensata doveva chiedere il permesso a Elly). Giannini lo accusa di riesumare “la Cricca Gialloverde” e “l’impiastro eurofobico” dei suoi “sgoverni” (quelli dell’elezione di Ursula e dei 209 miliardi di Pnrr, per dire). Purtroppo, mentre Mattarella è sempre findus in freezer (“Quel gelido silenzio europeista al Quirinale”, Sorgi, Stampa), le esequie del Mes non valicano la cinta daziaria: la stampa estera se ne frega e parla di casa Ferragni, lo spread scende, la Borsa sale. E qui nessuno parla della resa di Giorgetta & Giorgetti al Pacco di stabilità e decrescita di Macron & Scholz. Diceva Mark Twain: “È molto più facile ingannare la gente che convincerla che è stata ingannata”.

sabato 23 dicembre 2023

Dixit

 

A "Danza con me" ha dato lezioni di ballo a Roberto Bolle.
"Quando ci siamo messi davanti allo specchio, con il fisico a vista, non riuscivo a credere che appartenessimo alla stessa specie."
(Lillo Petrolo)

Slurp!

 

I Mieloni
di Marco Travaglio
Spiace per Paolo Mieloni, che mercoledì a Ottoemezzo aveva celebrato la trionfale campagna d’Europa di Giorgetta&Giorgetti: “Questa è una vittoria per la Meloni: è riuscita a fare un compromesso, tenere unita la maggioranza, non avere un’opposizione che si impunta su una cosa precisa e presentarsi al resto d’Europa su una traccia”. E spiace per Bruno Vesponi, che aveva trasformato il settimanale Gente nel Cinegiornale Luce: “Grazie alla capacità e all’autorevolezza del Presidente (la Meloni, ndr), l’Italia oggi è centrale e determinante sullo scenario internazionale. Pronta a guidare quel cambiamento in Europa che attendiamo da tempo” (eja eja alalà). I due non avevano ancora riposto le lingue nelle apposite custodie che già in Parlamento finiva a schifio: FdI e Lega contro il Mes, FI pro e il ministro dell’Economia Giorgetti pro Mes che viene sconfessato dalla Lega e dalla premier, annuncia che “l’Ue ce la farà pagare”, ma non se ne va. Fortuna che i 5Stelle han votato contro, sennò sarebbe nata una maggioranza Pd-FI-M5S-Azione-Iv che avrebbe ratificato l’orrendo Mes, salvato la faccia al governo in Ue e consentito a Meloni e Salvini di recitare la parte dei nemici solitari dell’austerità, ai quali invece i sovranisti a sovranità limitata si erano appena arresi ingoiando la vera fregatura: il Patto di stabilità e crescita (si fa per dire) imposto da Germania e Francia, che ci costerà almeno 12,5 miliardi l’anno.
Quello sul Mes era un teatrino per nascondere la disfatta nella vera partita che si era giocata il giorno prima: e il Pd, col solito codazzo dei renzian-calendiani e dei giornaloni, ci è cascato. Il vero problema non è il Mes, che continuerà a tener bloccati i soldi dei contribuenti senza che nessuno li chieda per evitare lo “stigma” e la sfiga: è il ritorno dell’austerità, che penalizza i Paesi più indebitati e un vero governo sovranista avrebbe dovuto contrastare con la diplomazia: stringendo alleanze, giocando di sponda con chi ha interessi convergenti, minacciando veti e offrendo contropartite su altri tavoli. Come fece nel 2020 il neofita Conte nella partita del Recovery, ben più ardua di questa: sia perché erano in ballo 500-750 miliardi di eurobond (mai tentati prima), sia perché rifiutava il Mes che tutti volevano imporgli, sia perché l’Ue sospettava di quel premier indicato dal M5S e dalla Lega, per giunta con un ministro degli Esteri amico dei Gilet gialli. Eppure, in tre mesi di incontri e scontri fino agli ultimi tre giorni e tre notti di battaglia, il 21 luglio si arrivò all’unanimità. E l’Italia ebbe 209 miliardi, oltre 36 in più (l’importo del Mes) di quelli previsti dal piano Von der Leyen. Se sovranismo è fare l’interesse del proprio Paese, quello fu un ottimo esempio di sovranismo. Il primo e l’ultimo.

L'Amaca

 

La coppa dei faraoni
DI MICHELE SERRA
Chi avesse dubbi sulla struttura e le intenzioni della ipotizzata Superlega di calcio può chiarirseli in un paio di minuti: basta leggere l’intervista rilasciata al Corriere dello sport dal presidente del Napoli De Laurentis. Secondo il quale il nuovo campionato dovrebbe chiamarsi Serie E, come élite, e ammettere solo squadre di grandi città, le uniche in grado di garantire un bacino di utenza appetibile per il business.
Niente promozioni o retrocessioni, il merito sportivo è roba vecchia. Se la squadra di una piccola città dovesse vincere tutte le partite, peggio per lei: rimarrà nel limbo sottostante a fregiarsi del titoletto di “regina dei poveri”.
Potrebbe battere il Real Madrid? Non lo sapremo mai, perché non potrà mai incontrarlo. In paradiso, con il posto fisso, solo i ricchi, quelli che ce l’hanno grosso (lo stadio) e possono ripagare gli investimenti. La mobilità sportiva, se le cose dovessero andare come spera De Laurentis, ricalcherebbe dunque la mobilità sociale al tempo dei Faraoni.
La speranza di quelli che vedono un’ipotesi del genere come un detestabile sopruso, anche se il sopruso stesso dovesse favorire la loro squadra (la mia è più grossa di quella di De Laurentis) è che la Superlega deleghi a De Laurentis la sua comunicazione: già il nome proposto, Serie Èlite, quanto a pacchianeria fa ombra a Briatore. Basta che De Laurentis aggiunga un paio di frasi a quelle già pronunciate con schietto disinteresse per lo spirito sportivo, e l’opposizione alla Superlega crescerà impetuosa. Una eventuale discesa di De Laurentis in politica sarebbe una scossa decisiva per ridare vita ed entusiasmo alla sinistra.

venerdì 22 dicembre 2023

Ri Jingle Bells!



Sono contrarissimo alla Superlega - tra l’altro dipingere l’ebete agnellino come eroe solo per il fatto che accettò la proposta dei soldoni visto che aveva alle dipendenze Riccaldo è un po’ come dare del critico d’arte a Sgarbi - ma nel contempo dico a Ceferin che asserisce che il calcio non si vende, di andare da uno buono per una seria verifica in sinapsi, visto le peripatetiche svendite di dignità in Qatar e le future alla corte dell’assassino riccastro che qualche tonto spiritosone ha definito rinascimentale. Per il resto Jingle Bells!

Pennivendoli

 

Cronisti d’acquario
di Marco Travaglio
I giornalisti che credono di esserlo perché sono iscritti all’albo non vedevano l’ora di essere silenziati da una legge bavaglio dopo tutti i silenziatori che si son messi da soli: ora possono raccontare e raccontarsi che se non scrivono niente è colpa della legge. Metti che gli capiti un’ordinanza di custodia con intercettazioni, filmati, foto o testimonianze su un potente amico loro o del padrone: prima dovevano darsi malati o inventarsi il quarto o quinto funerale della nonna; ora basterà dire che c’è l’emendamento Costa. Tanto chi se lo ricorda più perché fanno i giornalisti e non i pesci da acquario? I giornali di destra e di sinistra li conosciamo: tuonano contro i bavagli dei governi nemici e adorano quelli dei governi amici. Ma ora abbiamo le new entry degli “indipendenti”.
Goffredo Buccini del Corriere 29 anni fa fece il suo ultimo scoop sull’invito a comparire a B. e non ha mai smesso di pentirsene. Intanto è passato, con esiti più infausti, dalla giudiziaria alla geopolitica (“Putin ha già perso la guerra… sta sprofondando in un baratro certificato dal G20 di Bali. Anche il bersaglio minimo del Donbass… s’è mutato in una ritirata”, 19.11.2022). Ma si congratula con il “bravo Costa”, strepita contro “decenni di collateralismo giudiziario” (il suo) e vuole “separare le carriere di pm e giornalista” perché “l’ordinanza di custodia cautelare è storicamente usata sui media per abbattere il nemico poco importa se colpevole o innocente”. Chissà che gente frequenta, se pensa che in ciascuna delle decine di migliaia di ordinanze di custodia spiccate ogni anno ci sia almeno un amico o un nemico del cronista. E deve aver dimenticato che le ordinanze di custodia non le emette un pm, ma un giudice terzo: il gip. Perciò non sono segrete: solo nelle dittature si può arrestare qualcuno senza che si sappia il perché. Ma qui c’è una gran nostalgia dei desaparecidos. L’ordinanza rimane non segreta, ma non è più pubblicabile, né integrale né con stralci virgolettati né tantomeno con le foto o i filmati allegati. Si saprà che Tizio è stato arrestato per un grave reato per gravi indizi di colpevolezza (“gogna mediatica” assicurata): ma non si potrà più citarli fra virgolette o con immagini (che è come vietare di riportare le frasi di un documento, di una conferenza stampa, di un’intervista). Il giornalista si prostituisce per procurarsi il testo, poi deve riassumerlo con parole sue. Se non lo trova, riporta il comunicato della Procura e della polizia giudiziaria (bel “garantismo”). E, se gli arriva una rettifica, non può smentirla carte alla mano. Così i fatti diventano opinioni, verità e bugie si confondono e i cittadini non sanno più chi ha fatto cosa. Che questo sia l’obiettivo di certi politici, è comprensibile. Che lo sia anche di certi giornalisti, è disgustoso.

giovedì 21 dicembre 2023

Senza speranza



La tuta Laneus da 600 euro che indossava Pandoro Ferragni nel video del pentimento è sold out. Siamo oramai accerchiati, inutile forse neppure arrabbiarsi e sperare in prosperose sinapsi.

Sempre con lui!

 


Non c'è strenna migliore per questo Natale che leggere su "Il Giornale" che il Papa ha benedetto l'indagato Casarini! 

Meraviglioso! 

Il quotidiano che fu di proprietà del fu Indagato per antonomasia, trova il coraggio per esternarci il disagio di vedere un indagato coccolato da un Pontefice! 

Sono e sarò sempre, saldamente, con Francesco, unica voce fuori dal coro di questo mondo che corre a 5000 battiti/ora verso la morte (cit.), avvinto dalla smania di soffocare l'altro, di aumentare i forzieri già stracolmi di ricchezze sottratte alla maggioranza dell'umanità. Sto con Francesco che intravede in Casarini ed in Mediterranea cuneo per cercare di scardinare la mentalità corrente che ci vede diversi, che studia azioni fasciste per spostare esseri umani sull'onda dell'occhio non vede cuore non duole. 

Sto con Francesco perché il sentiero tracciato da Mimmo Lucano è quello giusto! 

Se occorre, se necessita, si possono oltrepassare norme e codicilli. Il Bene infatti non conosce dogane. 

Sto con Francesco perché attorniati da innumerevoli sepolcri imbiancati ciacolanti "Buon Natale!" occorre gridare in ogni luogo che non può seguire Mammona e fingersi buoni, né si può avere fascisti al potere e credersi nel benessere e nella ragione! 

Occorre sussultare, ansimare, scuotere coscienze e cuori! Alla Papa Francesco per intenderci! 

Anti bavaglio

 

Delitto di cronaca
di Marco Travaglio
Per Calenda e Renzi l’opposizione è quella cosa che peggiora le porcate del governo. Perciò hanno approvato con le destre il bavaglio tombale: vietata la “pubblicazione integrale o per estratto dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari”. L’ordine di cattura è per legge un atto non segreto perché viene comunicato (e ci mancherebbe) all’arrestato. Ma ora è proibito pubblicarlo tutto o per stralci. Il giornalista dovrà parafrasarlo con parole sue. Così l’opinione pubblica, invece di sapere cosa scrive esattamente il giudice, quali prove ha raccolto, cosa ha detto l’arrestato o chi lo accusa, dovrà accontentarsi fino al processo (campa cavallo) del riassuntino del cronista. Che potrebbe equivocare il testo, non notare errori o contraddizioni, o magari occultarli apposta per colpire i nemici o favorire gli amici. Oggi, con le parole testuali dell’ordinanza, il lettore può farsi un’idea sulla fondatezza o meno di un arresto e sulla gravità o meno di una condotta. In futuro non più, perché dovrà affidarsi alla parafrasi soggettiva del giornalista. I fatti contenuti nelle ordinanze diventeranno opinioni, a cui un indagato nei guai fino al collo ma anche un giudice in malafede potranno opporre altre opinioni. In pratica la legge impone a noi giornalisti di fare male il nostro mestiere, a essere meno precisi e più approssimativi. Il tutto perché i politici, ormai al riparo dalle condanne grazie a leggi salva-ladri, prescrizioni e immunità assortite, vogliono liberarsi anche dell’ultima noia rimasta: la sanzione sociale che segue alla conoscenza dettagliata delle loro malefatte (la famosa “gogna mediatica”, che nelle democrazie si chiama accountability: dovere di rendere conto).
I “garantisti” pro bavaglio che hanno sempre in bocca Enzo Tortora dovrebbero vergognarsi: gli errori giudiziari saranno molto più difficili da smascherare. Ma chi oggi fa le leggi se ne frega degli innocenti: conoscendosi, pensa solo ai colpevoli. Il Fatto farà obiezione di coscienza e continuerà a pubblicare tutto testuale e, appena processati, ci rivolgeremo alla Corte di Strasburgo che ha già sancito decine di volte il diritto di pubblicare atti di interesse pubblico persino se sono segreti di Stato. Ma siamo curiosi di leggere le perifrasi dei colleghi su intercettazioni tipo quelle sui bunga-bunga, sul “sopramondo” e il “mondo di mezzo” spiegati da Carminati, sul “siamo padroni di una banca?” di Fassino a Consorte, su Ricucci che dice “stamo a fà i furbetti der quartierino” e accusa i finanzieri dei salotti buoni di “fà i froci cor culo de l’artri”. Frase immortale che, in ossequio alla nuova legge, si potrebbe tradurre così: “A questo punto l’immobiliarista di Zagarolo allude a pratiche omosessuali eterologhe”.

L'Amaca

 

Betlemme tricolore
DI MICHELE SERRA
Le tradizioni sono una cosa bellissima: una specie di scia naturale che ci accompagna lungo il tempo, oltrepassa le mode, sopravvive alla morte delle persone. Fanno sentire protetti dall’evanescenza della vita. C’è un solo modo per rendere ripugnanti e innaturali le pratiche della tradizione: imporle per legge. Le tradizioni imposte per legge diventano in un istante odiose. Non un dono, ma una soma che viene voglia di scrollarsi di dosso, come il cavallo scosso che non vuole obbedire a chi lo frusta.
La proposta di legge di Fratelli d’Italia che intende, nella sostanza, imporre nella scuola pubblica il Natale cristiano, presepe e albero di Natale, rendendo illecita ogni possibile variazione o effrazione, non è solo un’offesa alla libertà di culto e di insegnamento. È prima di tutto un’offesa alla tradizione. La trasforma in propaganda, mette un cappello politico sopra la stalla di Betlemme, scempia il Natale trasformandolo in una specie di Festa Patriottica da opporre alla peste della globalizzazione. E riaccende l’idea, anticostituzionale, che possa esistere una religione di Stato, e che compito della scuola sia imporla fino dai primi anni di età.
Le nostre scuole sono piene di bambini provenienti da altre culture e altre religioni (compreso un numero imprecisato di bambini e ragazzi di famiglie non religiose: ma questa è una categoria della quale non importa nulla a nessuno, politicamente la più negletta). Ogni singola scuola, anche nel nome dell’autonomia e della libertà di insegnamento, deve cercare di far sentire tutti a casa, nella stessa casa. Non è facile, ma è obbligatorio farlo, e scellerato non farlo. Più facile sciogliere ogni dubbio, ogni dialettica, nell’acido dell’imposizione.