Di che genere è il rispetto
di Michele Serra
Riporto qui di seguito, perché inappuntabili sotto ogni punto di vista (politico, polemico, logico, grammaticale, infine emotivo), le parole pronunciate alla Camera dalla deputata dem Cecilia Guerra per spiegare perché si era rivolta al presidente di turno, Giorgio Mulé di Forza Italia, chiamandolo «signora presidente».
«In quest’aula l’onorevole Marco Perissa ha parlato della segretaria del mio partito (Elly Schlein, ndr) chiamandola al maschile, segretario, ritenendo che questa era una scelta che a lui competeva. Se a lui compete rivolgersi a una donna con un appellativo maschile, a me è concesso rivolgermi a lei con un appellativo femminile».
Non fa una grinza. Non c’è replica possibile, a meno di decidere che chiamare “signore” una donna sia lecito, e chiamare “signora” un uomo invece non lo sia; come se il genere maschile fosse così scontatamente superiore da sconsigliare a una donna di risentirsi se definita al maschile, e invece consentire a un uomo di inalberarsi se definito al femminile.
Difatti Mulé si è offeso, lamentando la violazione della sua identità; e non capendo che uguale rispetto era appena stato negato a Schlein, che non è un segretario di partito, è una segretaria.
Poiché Mulé proviene dal giornalismo, avrebbe, a parte la facoltà personale, anche i mezzi “tecnici” (lunga pratica con le parole, buona conoscenza dell’italiano) per riflettere sull’accaduto, riconoscendo che la deputata Guerra ha ragione, il deputato Perissa torto.
Ma non credo accadrà. Troppo scontato è il pregiudizio, e soprattutto troppo faticoso ammettere di avere torto.
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