venerdì 30 settembre 2022

Oremus



Prego per lui (nel senso che spero raggiunga la meta, primo perché così si leverebbe dai coglioni, e secondo perché verificherebbe le convinzioni in merito al premio riservato a lui e ai soldati ai quali lo ha farsescamente garantito. E su cui nutro parecchi dubbi…)

L’esempio



Parole concrete, aria di rinnovamento, novità politiche, concretezza per un nuovo slancio riformista. Il PD sembrerebbe avviarsi verso il tanto sospirato cambiamento radicale che necessariamente deve partire da una nuova dirigenza, mandando speditamente a coltivare orti personaggi stantii, obsoleti, consumati da agi e spocchiosi atteggiamenti elitari. E queste parole chi le ha pronunciate? Un giovane militante? Qualcuno che è stato agevolato dalla gerontocrazia pidina la quale, consapevole che dopo stagioni sperperate in politichese arzigogolante e remunerate principescamente, sull’esempio del M5S, passerà finalmente la mano? 
Purtroppo no! Queste parole, estrapolate da un’intervista di Avvenire, sono di Piero Fassino, consigliere comunale nel 1975, entrato in parlamento la prima volta nel 1994 ed appena rieletto alla Camera a Venezia. Mai migliore sintesi della celeberrima frase di Giuseppe Tomasi di Lampedusa!

L'Amaca

 

Come i polli di Renzo
DI MICHELE SERRA
Iterzopolisti (nome esagerato: il loro partito è il sesto) sono importanti. Ho elettori di Calenda in famiglia e mio padre votava Malagodi, dunque conosco bene, oso dire attraverso i secoli, le virtù politiche dei liberal-democratici: il loro realismo e la loro temperanza.
Quelli di oggi hanno però un difetto molto insolito per chi si colloca al centro: sono estremisti, atteggiamento che si riflette nei toni spesso esagitati.
Per avere osato scrivere che Calenda ha preso molti voti tra i giovani dei bar del centro mi sono preso, nell’ordine, del razzista, dell’orrendo trombone e del milanese imbruttito (quest’ultima notazione mi ha reso felice, nessuno si ricorda mai che sono milanese, d’adozione però fino al midollo).
Ora, i casi sono due: o la vera ambizione dei terzopolisti è conquistare Scampia e lo Zen, e dunque è una grave offesa tacciarli di elitarismo, oppure devono serenamente prendere atto di essere i più votati tra i bocconiani (37 per cento), infrequenti nei bar della Bovisa o di Torpignattara.
Da vent’anni mi prendo del radical chic— non essendolo — e, come direbbero gli elettori di Meloni, me ne frego.
Ora che questa nomea tocca ai calendiani, mi permetto di suggerire loro di non offendersi, è una perdita di tempo, leva lucidità e impedisce, per giunta, di capire quello che sta succedendo. Nel momento in cui un giornale di destra già specializzato in manganellate, ringalluzzito dalla vittoria elettorale, definisce uomo di merda, in prima pagina, lo scrittore Antonio Scurati (ha scritto un libro su Mussolini e ha detto che Meloni e il partito della fiamma sono eredi del fascismo: pensate!), è il caso, per gli sconfitti, di beccarsi tra loro come i polli di Renzi, volevo dire di Renzo?

Vai Marco!

 

Staccate quelle lingue
di Marco Travaglio
Il momento del distacco è sempre traumatico. Specie per la lingua del lecchino incollata alle terga del leccato. Tantopiù se il lecchino programma la lingua per anni di leccaggio e poi è costretto a troncare bruscamente l’attività: è il celebre anilingus interruptus. Massima solidarietà dunque ai leccaDraghi che non riescono a smettere. E, mentre i Migliori salutano con l’ultima boiata (a 5 giorni dal voto, non sappiamo ancora gli eletti perché al Viminale hanno perso il pallottoliere), lo candidano ai ruoli più improbabili, pur di allontanare l’amaro calice. Breve riepilogo.
Tenutario di una fantomatica Agenda omonima, smentita da lui stesso. Proprietario a vita di Palazzo Chigi per usucapione, a prescindere dall’esito elettorale, che però premia i suoi avversari. “Capo del centrosinistra” (Riformista 22.7), che purtroppo non lo sapeva e schierava Letta. Capofila di un’“area Draghi contro l’area Putin” (Renzi dixit), due aree sconosciute anche nel comparto edilizio. Leader di un “movimento presente nel Paese che ora dobbiamo trascinare” per volontà di Ceccanti, che poi non trascina neppure se stesso e viene trombato. Premier investito da Calenda di un “Draghi-bis a maggioranza Ursula con FdI e Lega senza 5Stelle” (decisivi per eleggere Ursula, mentre FdI e Lega votarono contro), anzi “senza FdI, Lega e M5S” (ma soprattutto senza numeri). Titolare di “un ruolo dopo il 25” per espresso desiderio di Letta, che però non avrà un ruolo dopo il 25. Globetrotter che “vola negli Usa a rassicurare gli investitori” e “l’Onu su Lega e FdI” (Stampa, 5.8 e 18.9). Protagonista di un “asse invisibile con Meloni” (Stampa, 2.9). Autore di un testamento che lascia a Letta “l’eredità di Draghi” (Letta dixit), mai trovato come l’agenda. Nuovo Fregoli che si traveste da Daniele Franco, anzi “SuperFranco” che va “confermato” al Tesoro; oppure da Colao, che “Letta prova ad arruolare come erede di Draghi” (Foglio, 13 e 17.9). “Garante della continuità dell’Italia agli occhi del mondo” (Stampa, 20.9). “Regista della transizione” (Rep, 29.9), che poi è ciò che fanno tutti i premier scaduti prima di sloggiare. Firmatario di un “patto Meloni-Draghi” per farle da “garante” e portare all’Ue il verbo della leader (muta, o afona, o semplicemente timida): “Kiev e conti pubblici, Meloni starà ai patti” (Rep, 28.9), smentito dall’interessato con toni seccati: “Non ho stretto alcun patto né preso alcun impegno a garantire alcunché”. Monito piuttosto netto, che rivela un certo fastidio del premier verso i suoi cortigiani. E ricorda quello altrettanto liberatorio rivolto al casinò di Montecarlo dal Megadirettore Clamoroso Duca Conte Pier Carlo ing. Semenzara al rag. Ugo Fantozzi: “E la smetta di toccarmi il culo!”.

giovedì 29 settembre 2022

Ritorna!


Cover di soul. A novembre. 
W il Boss!

Tomaso

 

Trionfo della destra per i disastri a sinistra
DI TOMASO MONTANARI
A disastro puntualmente avvenuto è necessario, ma non sufficiente, cogliere le responsabilità di chi ha sbagliato tutto nell’ultimo miglio. I numeri dimostrano che la partita era contendibile, e che se Enrico Letta e la dirigenza del Pd non avessero impedito la coalizione ‘di resistenza’ con i 5 Stelle, si sarebbe arrivati a un sostanziale pareggio, e a un Parlamento ben diverso. Invece ora – grazie all’ovvia profferta dei mercenari Renzi e Calenda – la Costituzione è in pericolo: e su questo il Paese dovrà reagire, con pacifica determinazione, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle piazze.
Per tutto il resto, non basta una veloce plastica facciale al vertice del Pd: o c’è una comprensione profonda delle cause dell’arrivo al governo della destra di tradizione fascista, o questo governo durerà a lungo.
La prima cosa da capire è che le elezioni non le ha vinte la destra: le hanno perse tutti gli altri. I voti assoluti del blocco di destra non sono aumentati: si sono polarizzati sulla forza più nera, ma sono sempre circa 12 milioni, cioè circa il 26 % degli aventi diritti al voto. In particolare, Fratelli d’Italia è stato votato da circa il 15%: cioè da un italiano e mezzo su 10. Se con questi numeri l’estrema destra si prende l’Italia, è perché l’elettorato di centrosinistra e dei 5stelle si astiene in massa, concorrendo al vero evento di queste elezioni: l’eclissi di un terzo abbondante degli italiani (36,09%). Capire le ragioni, recenti e antiche, dei 18 milioni di non votanti significa capire in quale direzione andare.
Il Pd è stato il pilastro dell’operazione Draghi, il cui messaggio era chiaro: la politica non serve più, il voto è inutile, il Parlamento pericoloso. La soluzione era un governo paternalista calato dall’alto: come si poteva pensare che il risultato non fosse un’astensione maiuscola? Solo il giornalismo servile e cieco del nostro Paese poteva cantare per mesi un consenso che non esisteva, se non in quell’establishment che il governo dei Migliori garantiva. Già, perché la virata oligarchica del governo Draghi non solo commissariava la democrazia, ma lo faceva a favore dello stato delle cose, e cioè dei più ricchi. Se il Movimento 5 Stelle si è, in parte, salvato, è solo perché è sceso giusto in tempo dalla barca Draghi. Ma i suoi sei milioni di voti regalati all’astensione sono il prezzo per l’errore madornale di esserci salito. (Anche la polarizzazione sull’estrema destra, rimasta astutamente fuori dal governo Draghi, è un ovvio frutto della geniale operazione che ha visto l’alta regia di Mattarella).
Ma il governo Draghi è solo l’ultimo sintomo: l’Italia come è oggi, è opera del centrosinistra. È a esso che dobbiamo lo smontaggio sistematico del progetto della Costituzione. Fu un governo di centrosinistra a decidere una guerra illegittima sia per la Carta dell’Onu, sia per la nostra. L’avvio della precarizzazione dei rapporti di lavoro, con la sua scia di vite distrutte e povertà, lo dobbiamo alla riforma Treu, governo Prodi. L’abbandono del ruolo dello Stato nell’economia (e dunque nella vita dei cittadini) è avvenuto con privatizzazioni e liberalizzazioni volute da governi di centrosinistra. La mancanza di una seria legge contro la concentrazione dei mezzi di informazione è frutto della prima legislatura dell’Ulivo. La “federalizzazione” dei diritti, che oggi ne impedisce l’uguale attuazione sul territorio nazionale (pensiamo alla sanità!), inizia con le riforme di Franco Bassanini. L’autonomia differenziata (cioè l’abbandono definitivo del Mezzogiorno) nasce dalla riforma del titolo V del 2001, e oggi è una bandiera di Bonaccini. La linea securitaria Turco-Napolitano-Minniti è la radice dei Decreti sicurezza di Salvini. E non parliamo di Renzi, che di tutto questo tradimento fu il pirotecnico gran finale. È su queste macerie che la destra – rimasta l’unica realtà politica con un progetto – vince.
Ma attenzione: anche questa destra di matrice fascista governerà attuando l’agenda Draghi (che è poi il pilota automatico degli ultimi decenni), fondata su politica economica neoliberale e atlantismo prono e armatissimo – mettendoci di suo ‘solo’ l’attacco ai diritti civili, e un ancor più forte securitarismo razzista.
Per la sinistra, fare davvero opposizione, dunque, significa cambiare tutto, rimettere in discussione tutto. E costruire politiche diverse, che si porteranno dietro persone diverse. Per il Movimento 5 Stelle significa accelerare senza tradimenti nella direzione indicata da Giuseppe Conte negli ultimi mesi, liberandosi da zavorre e contraddizioni.
Quale forza, o quale alleanza, riesce oggi in Italia a tradurre in progetto politico le cose che – sui tre cardini: giustizia sociale, ambiente e pace – dice il leader più radicale del mondo, papa Francesco? La risposta è: nessuna. Quando ci sarà una proposta del genere, il consenso della destra avrà i minuti contati.

L'Amaca

 

Cinque anni di chiarezza
DI MICHELE SERRA
Sia detto non tra parentesi: ora la signora Meloni deve governare per cinque anni, ne ha il diritto e il dovere. La limpidezza numerica del suo mandato elettorale è sotto gli occhi di chiunque, perfino degli alchimisti che nel nome della governabilità, o dell’emergenza, sarebbero disposti a dieci, venti, trenta governi tecnici. E questa, date retta, è una buona notizia, dopo dieci e rotti anni di manfrine parlamentari che hanno avuto il solo esito di screditare la politica, farla sembrare cosa del Palazzo.
Dovremo sopportare molto. Il Lollobrigida, puntuale come il cucù in tutti i tigì, che inneggia alla Patria (la nuova denominazione ufficiale dell’Italia, di qui in poi) dieci volte al dì.
Passi indietro in molti campi, i diritti perché puzzano di libertà, la cultura perché puzza di sinistra, la Costituzione perché puzza di antifascismo, l’Europa perché puzza di cosmopolitismo. Ma almeno, e non è poco, il gioco sarà scoperto e i ruoli saranno chiari: la destra governa, la sinistra si oppone. Se ci pensate bene, è una liberazione per tutti, dopo anni passati a chiedersi come sia possibile che in una sola legislatura (l’ultima) si siano succeduti tre governi, un Conte reazionario, un Conte progressista, un Draghi onnicomprensivo, con i partiti usati come pezzi intercambiabili, e un terzo dei parlamentari che hanno mutato colore, come fanno i camaleonti.
Tutto è meglio dell’incertezza: perfino la disgrazia, che almeno dà forma e senso alle giornate. Nessuno potrà fare finta di non sapere qual è il suo ruolo. Se cinque anni vi sembrano lunghi, sappiate che nel 2027, per tutti i viventi, tutto sarà diverso, e della Patria si avranno notizie ormai vaghe e remote, perché è del Mondo che saremo costretti a occuparci.

mercoledì 28 settembre 2022

La vedo così!



Quel bastardo va fatto sedere ad un tavolo evitando, visto che è palesemente psicolabile, di metterlo all’angolo come desidererebbe quel canuto verso il quale scodinzoliamo pedissequamente!

Se vi andasse…



Buona giornata a tutti! A proposito: si chiama Giulia Torelli e fa l’influencer. Lo dico se vi venisse voglia di scriverle qualcosina…

Un Robecchi perfetto!

 

I media e il potere. Con Draghi hanno fallito. Ora sono pronti a lodare Meloni
di Alessandro Robecchi
Insomma eccoci. “Todos populistas”, come dice Calenda Carlo, del Sesto Polo, battuto anche dal Berlusconi ceramicato di Tik Tok, ma sempre avvolto, lui che è sèrio, dal cappottino di saliva dei media. Si è letto di tutto, e ancora si leggerà, ma insomma, di colpo l’agenda Draghi è diventata di piombo, ed è caduta sui piedi di chi la sventolava come un feticcio, ferendolo a morte. Chi l’ha sempre combattuta dall’opposizione (Meloni) ha vinto in carrozza, si sapeva; chi se ne è dissociato chiedendo correzioni e revisioni (Conte) ha fatto una discreta rimonta (dal 7-8 per cento di luglio al 15). Gli altri nisba, compresi i due noti caratteristi che candidavano “Supermario” a Palazzo Chigi senza dirglielo e contro la sua volontà.
Ci sarà tempo di parlare di politica, anzi speriamo che si ricominci a farlo. Ci si chiede però – in questa rubrichina su narratori & narrazioni – se non sia ragionevole anche occuparsi un po’ del sistema della comunicazione, che per quasi due anni ci ha presentato Mario Draghi come un tabù intoccabile, qualcosa tipo Maradona+Gesù Cristo+Einstein, che chi si permetteva di contrastare, o anche solo di arginare o criticare, veniva colto da anatema e malocchio. Come osi? Come ti permetti? Sei stato a Princeton, tu? Sei stato ad Harvard? E ancora conservo con gioia un meraviglioso ritaglio d’agenzia (Adnkronos, luglio 2022), con il senzatetto Emanuele che ai cronisti diceva “Mario Draghi ha fatto molto per noi clochard”, giuro. Mirabile sintesi di quel che era diventato a un certo punto il Paese: un altarino dedicato al culto draghista, all’osanna perpetuo per l’Intoccabile e Incriticabile. E credo che anche a Draghi questo culto draghista abbia dato a un certo punto un po’ fastidio, cioè, speriamo.
In ogni caso, poi, all’apparir del vero, tutti quelli che non sono stati a Princeton, né ad Harvard, né seduti ai desk di giornali e televisioni dove si decidono titoli e ospiti, hanno detto la loro, votando. E si è scoperto che quella narrazione era altamente farlocca, molto sovradimensionata, addirittura caricaturale. Da qualunque parte la si guardi, la capacità dei grandi media di descrivere il Paese, di sentirne il polso, di auscultarne battiti e pulsioni, ha fallito miseramente, in modo – visto oggi – che sfiora il ridicolo. Da una parte, un tecnico mandato dalla Provvidenza, incriticabile per definizione e dogma, dall’altra astruse forme di vita senza arte né parte, populisti quando va bene, “scappati di casa”, insulto di moda presso quelli che si credono “competenti”. E si è visto, porelli.
Insomma, delle due una: o si dà ragione a Calenda, e sono tutti populisti tranne lui e grandissima parte dell’informazione; oppure bisogna fare una riflessione sui media tutti, e dire che i sapienti osservatori della realtà hanno osservato un po’ a cazzo, con le loro lenti deformanti, che la realtà era diversa e non l’hanno vista: per cecità, o convenienza, o ordini dall’alto. Con coerenza, tra l’altro, perché l’osanna al potere tecnico ed elitario veniva da un altro potere tecnico ed elitario, che si sente moralmente migliore, culturalmente più attrezzato e in definitiva buono, mentre tutti gli altri sono brutti, sporchi e cattivi. E populisti. Ora, poverini, gli toccherà riposizionarsi, ma non mi farei grandi illusioni: non c’è niente come gli adoratori di élite – che si sentono essi stessi élite – per creare nuove élite a cui ubbidire. Aspettiamo “Meloni ha fatto molto per noi clochard”, o varianti consimili. Questione di tempo.

L'Amaca

 

Ora i Paragone sono due
DI MICHELE SERRA
Parliamo tutti del Pd, che con il suo 19 per cento rinnova i fasti dell’ultimo Renzi.
E rischiamo di perderci alcuni altri capitoli forse meno solenni, ma molto significativi. Il Salvini, peresempio, dopo avere dilapidato più della metà dei voti leghisti potrebbe essere defenestrato dai suoi, specie quelli presentabili o considerati tali, oggi disposti a negare di averlo sostenuto e forse anche di averlo conosciuto. Tornerà alla sua caratura di partenza, che è quella di un Paragone ante-litteram. Fossi in lui, anzi, denuncerei Paragone per plagio.
Poi c’è Calenda, che tra i giovani dei bar del centro pare abbia spopolato, ma nelle valli e nelle paludi è una specie sconosciuta. Anche i La Malfa e i Malagodi, suoi illustri antenati, prendevano parecchi voti nei centri storici e quasi zero altrove, ma sapevano fare i conti con la storia e la geografia e dunque, forti del loro gruzzolo del 3-4 per cento a testa (come Renzi e Calenda) si rassegnavano al ruolo di alleati della Dc, recitando la parte, gratificante, di grilli parlanti inascoltati, prodighi di avvertimenti per gli esiti catastrofici che avrebbe avuto l’assistenzialismo democristiano (avevano ragione, tra l’altro).
Calenda, con gli stessi voti, parla da leader mancato, anzi da redentore incompreso, uno così non cerca alleati ma apostoli. Ha una magnificenza e un piglio invidiabili, ma trascorrerà questa legislatura in solitudine, tuonando dai banchi dell’opposizione contro la dissipazione populista mentre l’astuto Renzi sarà in Arabia a far passare la nottata, anzi le mille e una nottata.
Ci sono sconfitti che hanno parlato da sconfitti e sconfitti che parlano da vincitori. La politica qui c’entra relativamente, è l’attitudine umana a dettare il copione.

martedì 27 settembre 2022

Dubbio



Tutto può essere, ma stento a credere che quel bastardo assassino si stia trasformando in un Tafazzi…

Rassereniamoci con Simone!


CREDO (testo di S. Cristicchi)  

Credo nello sguardo della Gioconda e nei disegni dei bambini. 
Nell’odore dei panni stesi e in quello delle mani di mia madre. 
Credo che quando la barbarie diventa normalità, la tenerezza sia l’unica rivoluzione.
Credo che la vera gioia sia riuscire a sentirsi parte di un panorama incantevole, pur non essendo altro che un minuscolo granello di sabbia.

Credo che la lingua di Dio sia il silenzio, e il suo corpo la Natura.
Credo alla potenza del soffione, quel piccolo fiore selvatico che cresce ostinato tra le pieghe dell’asfalto e anche in mezzo a mille difficoltà, lui riesce comunque a farcela.
Credo nelle stelle cadenti, quelle che poi si rialzano e vanno avanti.
Credo nel pesce fuor d’acqua, perché è l’unico che poi si è evoluto. 

Credo che chi non vive il presente, sarà sempre imperfetto. Pure da trapassato. 
Perché la vera sfida è debuttare ogni giorno: tutto il resto è repertorio.
Credo che non sia la bellezza che salverà il mondo, ma siamo noi che dobbiamo salvare la bellezza.
Credo nell’amore sprecato, buttato via, in chi sa donarsi agli altri senza chiedere niente in cambio e che la parola amore, se la scomponi, diventa tutto il contrario della morte. 
Amore, alfa privativo, mors. A-mors, amore, significa “voglio che tu non muoia mai”.

Credo che alla fine della nostra vita non ci sarà chiesto quanti soldi abbiamo guadagnato, quante case abbiamo comperato, ma quanta bellezza, quanto amore c’è in più dopo il tuo passaggio sopra questa terra.

Credo che non ci sia peggior peccato che non stupirsi più di niente e che tutta la scienza, la cultura e l’intelligenza del mondo non basti, e che a volte bisognerebbe soltanto inchinarsi davanti a questo grande mistero in cui tutti siamo immersi, al miracolo di questa vita che va avanti, nonostante tutto non si ferma, e si trasforma ogni secondo.
E tutto quello che non sappiamo e non capiremo mai, tutto il resto lo chiederemo agli alberi.

Chi meglio di lei?

 

Meloni-Gandhi, il Titanic Calenda e il circo dei contorsionisti da talk

TV - Come passare dalle previsioni alla realtà

DI DANIELA RANIERI

Gli exit-poll sono tremendi, per il parco-analisti televisionaro e giornalaro d’establishment. Non è tanto la vittoria di Meloni, è che vedono sgretolarsi minuto dopo minuto i feticci onanistici con cui si sono trastullati per mesi: Agenda Draghi, Terzo Polo, Di Maio statista alla De Gasperi, Calenda forte nei collegi uninominali.

Negli studi i giornalisti draghiani guardano nel vuoto: “Non si registra un’affermazione netta di chi ha appoggiato il governo Draghi”, dicono ostentando obiettività, come se non fosse la smentita di quello che hanno detto fino a poche ore prima.

L’Agenda Draghi, ora apocrifa, vaga intorno a mezzanotte tra Viale Mazzini e gli studi de La7 in cerca di qualcuno che se l’accolli.

Lo fa eroicamente Letta il giorno dopo: “Se siamo arrivati al governo Meloni è perché Conte ha fatto cadere Draghi”. Cioè, della disfatta di tutto ciò che puzzava di governo Draghi accusa l’unico che aveva capito che morire per il governo Draghi era folle e che il governo Meloni sarebbe stato l’effetto della stagione dei Migliori.

Renzi e Calenda mandano Rosato a commentare l’exploit al 7,9% di Azione-Iv. “È un grande risultato, siamo l’unica forza nuova, aspettiamo i risultati definitivi”, dice. Lo interrompono per dare le nuove proiezioni: il Terzo Polo è al 7,8%.

Il compiacimento per la disfatta del Sesto Polo del duo comico Renzi-Calenda non permette di apprezzare appieno la caduta di Salvini (lo avevamo dato per “bollito in salsa veneta” già l’8 settembre). È sotto al 9%, la metà esatta del tasso alcolico del mojito.

Rosato dice che Calenda aveva fissato l’asticella alla doppia cifra (in effetti è doppia, se si toglie la virgola), ma ciò non li scoraggia, anzi, e comunque sono solo exit-poll. Lo interrompono: Azione-Iv è al 7,7%. Cioè, ogni volta che parla perdono lo 0,10%. Lo chiudono in bagno.

La Serracchiani sull’orlo delle lacrime deplora la legge elettorale, che ha fatto il Pd e porta il nome di Rosato.

Di Maio e Carfagna perdono a Napoli contro Costa del M5S, che doppia Di Maio; a Cremona Santanchè doppia Cottarelli, “punta di diamante del Pd”. Nessuno fa l’inferenza che l’Agenda Draghi era la più grande minchiata mediatica dai tempi della sobrietà di Monti.

A tarda notte parla Francesco Lollobrigida (FdI), futuro ministro di qualcosa: ha una voce con picchi striduli che il confino a Ventotene tutto sommato…

Ecco Meloni. Tutti ne elogiano lo “stile moderato”. Non è più l’erede di Almirante, la groupie di Mussolini, la Le Pen della Garbatella. Siccome non si è presentata in orbace tipo Mussolini che inaugura Carbonia, per i commentatori riposizionantisi è già un incrocio tra Mariano Rumor e Indira Gandhi.

La Boschi su La7, radiosa come avesse vinto: in realtà ha perso male in Calabria, dove era stata traslata da Bolzano; ma il Rosatellum le concede di essere ripescata altrove, sennò sarebbe fuori dal Parlamento: perciò ride. Denigra Letta, elogia il Jobs Act, rimpiange il referendum del 2016. I renziani sono insieme sé stessi e la loro parodia.

Cottarelli non si vede. Lo aspettiamo da Fazio col Mago Forest e Nino Frassica.

E Renzi? È in volo per Tokyo, dove parteciperà al funerale di Shinzo Abe, premier nazionalista di destra, chissà se a titolo di senatore toscano, di conferenziere al soldo di un satrapo saudita, di perdente o di poliglotta (e chissà se gratis). Ha abbandonato Calenda a twittare da solo in un parcheggio della Ztl. Quando uno è un galantuomo.

Gli analisti avanzano un’analisi: forse il Pd ha sbagliato a non allearsi col M5S e ha pagato la linea iper-atlantista sulla guerra? Cioè, lo accusano di aver fatto esattamente quello che loro gli raccomandavano di fare, indicandolo ex-cathedra agli elettori come la panacea.

Una preghiera agli ex 5Stelle che sono andati con di Maio sicuri di essere rieletti. Impegno Civico è allo 0,5%, la percentuale fisiologica di elettori che sbagliano a mettere la croce: una decina voleva votare Scelta civica, tre non avevano gli occhiali, un paio sono inciampati nel seggio con la matita in mano e la scheda era valida.

Calenda, terzo al collegio di Roma 1, sconfitto pure dalla ex alleata Bonino, si presenta con tre ministre (mute) del governo Draghi in rappresentanza dell’Agenda omonima e sprizza veleno contro il Pd. Dice che il Paese ha bisogno di lui, si tratta di aspettare che se ne accorga. Sputa sugli elettori: “La gente vota come se fosse il televoto del Grande Fratello per chi urla di più”, dice, ma se così fosse avrebbe vinto lui, che infatti è senza voce. Comunque su Twitter ha il 38% e tanto basta.

“Occhi di tigre” Letta parla nel day after e dà la colpa a Conte. Stando ai suoi manifesti elettorali, tra Europa e Putin l’Italia ha scelto Putin. Lui torna a insegnare a Parigi. Quando uno è uno stratega, c’è poco da fare.

Comunque, tutti concordano su una cosa: le alte percentuali del M5S al sud si devono al Reddito di cittadinanza, cioè ai poveri che ne hanno bisogno e hanno votato la forza politica che glielo assicura. Perché non muoiono?

Segnali

 


Seguendo le sue sciarade indecorose da lustri, attendevo un segnale per quello che in cervice temo da molto tempo. Oggi sul Corriere ne ho avuta conferma, perché quando l'Inappetente Ideologico dichiara un concetto solo in apparenza definitivo, alla "Enrico stai sereno" per intenderci, scatta immancabilmente il dubbio, il sospetto che covi, nel suo smisurato ego, tutt'altro. 

E le peripezie becere dell'altro sodale e fratello di latte, il Cazzaro, confermerebbero ciò che ancora tiepide ceneri nascondono: la Giorgia verrà stuzzicata dal Lombardo Perdente, probabilmente al punto di cercare altre forze che corroborino la nefasta coalizione al potere. 

E lui, il guitto per antonomasia, assieme al povero ex ferrarista, ex stra - battuto alle comunali romane, il Calenda assurto inspiegabilmente, grazie all'Appisolato, al ruolo di ago della bilancia e rimpiombato nel silenzio al 7 percento, nel caso intravedessero un pertugio, non esiterebbero un istante a gettarsi nell'amato potere, e chissenefrega se odora di nero perdi sempre! 

Solo il tempo dirà se quest'ipotesi sia concreta. Ma conoscendo il Bullo... 

Post elezioni travagliate

 

Agenda Dragula
di Marco Travaglio
Se le elezioni fossero un carosello, lo slogan sarebbe quello di Raid l’insetticida: “Draghi li ammazza stecchiti!”. La lista delle vittime del Migliore è un corteo di carri funebri da far invidia a Buckingham Palace: Letta, Salvini, Calenda & Renzi, Bonino, Di Maio, i direttori e i commentatori dei giornaloni (una prece). Nessuno poteva prescindere dal premier chiamato Agenda, chi aveva osato negargli la fiducia l’avrebbe pagata cara, gli elettori orfani e vedovi l’avrebbero reissato a Palazzo Chigi sulle proprie spalle, insomma sarebbe tornato domani a furor di popolo. Invece era così popolare che vincono, nell’ordine: Meloni, sua unica oppositrice; Conte, additato da tutti come il suo killer; Fratoianni e Bonelli, che non gli avevano mai votato neppure mezza fiducia e sono i soli a salvarsi dall’apocalisse del centrosinistra.
Signorini grandi firme. È uno spasso vederli in tv, dotti e pensosi, mentre spiegano l’errore fatale di Letta, Calenda & C.: non allearsi con i 5Stelle, dare Conte per morto, percularlo come “avvocato del popolo di Volturara Appula” tutto “piazze piene e urne vuote”, ma anche pensare che agitare il nome di Draghi portasse voti, che l’allarme fascismo, l’allarme Putin, l’allarme Orbán terrorizzassero le masse inebriate dall’euroatlantismo, dal riarmo, dai moniti dei mercati, di Zelensky, della Casa Bianca, di Ursula, Scholz, Macron e le altre cancellerie Ue. In una parola, spiegano che chi segue i loro consigli è un coglione (invece chi li dà resta una volpe).
Lecta. Il principale artefice del trionfo della destra (dopo Facta, Lecta), della rimonta dei 5Stelle e del punto più basso mai toccato dal suo partito, s’è rivelato il peggior segretario del Pd alla pari di Renzi (e non era facile), s’è presentato ieri alla stampa per dare la colpa ai 5Stelle: mancava soltanto che, anziché le sue dimissioni, annunciasse quelle di Conte. Come se gliel’avesse ordinato Conte di sdraiarsi ai piedi di Draghi donandogli il sangue perinde ac cadaver e gonfiando Meloni come un’anguria, sposare il riarmo e il bellicismo atlantista senza mai parlare di pace, rinnegare l’unica alternativa vincente alle destre (l’alleanza M5S-Pd del Conte-2), puntare su Di Maio e tal Crippa, pomiciare con Calenda per poi farsi mollare all’altare, scommettere tutto sul “Pd primo partito” (ciao core) e sullo “Scegli” fra nero e rosso (stravince il nero di 18 punti), evitare accuratamente accordi coi 5Stelle sui collegi contendibili al Sud, dare per acquisiti quelli delle Regioni (ex) rosse, insomma giocare la partita con le regole del proporzionale mentre vige il Rosatellum che premia le coalizioni e i cartelli tecnici. Infatti in Puglia, dove Emiliano sposò fin da subito l’alleanza coi 5Stelle, il Pd cresce di 3 punti.
Fa il record al Sud (16,8). E con 5S (28) e alleati minori, supera il 50, staccando di 10 punti le destre. Si potrebbe ripartire di lì, mettendo in salvo la povera Schlein dal bacio della morte dei cavalieri Gedi che la lanciano alla segreteria con gli amorevoli consigli che già tumularono Renzi, Pisapia, ora Letta. Il quale avrà molto tempo libero prima di tornare a Parigi a insegnare come perdere il governo con l’Agenda Monti e le elezioni con l’Agenda Draghi: forse ci spiegherà se l’ultima catastrofe è tutta farina del suo sacco o gli ha dato una mano qualche zio d’America.
Ernesto “Che” Conte. Trasformato da cecchini e avversari in un tupamaro descamisado solo perché parla di pace, reddito di cittadinanza, salario minimo, rincari e legalità, riporta i 5Stelle al 15,5% dall’8-9 in cui erano precipitati per l’effetto Draghi. Dimostra che il M5S è l’unica novità degli anni 2000 che non passa di moda come una meteora. E ci salva da una destra oltre i due terzi e padrona della Costituzione. Ma ora il governo avrà un capo, anzi una capa, molto riconoscibile. All’opposizione serve un volto credibile e, al momento, c’è solo quello di Conte, in attesa che il Pd esca dalla notte dei lunghi coltelli. La partita che lo attende va ben oltre i confini dei 5S: sta a lui scavalcarli, tornando a essere il “punto di riferimento dei progressisti” ritratto dal tanto vituperato Zingaretti (che alle Europee del 2019 portò il Pd al 22,7%, subito dopo la scissione di Iv). Partendo da comitati civici in tutta Italia per difendere le conquiste del Rdc, della Spazzacorrotti, della lotta al precariato e ai salari da fame, della pace, dell’ambiente dagli assalti delle destre alla diligenza.
Il Sesto Pelo. Il Terzo Polo di Calenda&Renzi, come volevasi dimostrare, è il sesto. Ollio&Ollio vaneggiavano di 15%, di “risultato a due cifre”, invece si fermano alla metà (7,8). Dovevano rubare messi di voti alla destra (“Calenda è un magnete”, Letta dixit), invece ne fregano pochissimi al centrosinistra. E, senza il 2,9% della Bonino, vanno poco sopra i voti del 25 luglio dopo la caduta di Draghi: allora Swg per La7 diede Azione e +Europa al 6% e Iv al 2,9. Ma è tutta colpa degli elettori, spiega lo Statista dei Parioli: l’avevano illuso con le standing ovation a Draghi (ma quando mai?), poi hanno “scelto il populismo di chi urla di più” (ma in quel caso lui sarebbe alla pari della Meloni). Però la mesta fine del Grande Centro, sorpassato in retromarcia persino dal feretro di B., e la débâcle della Bonino, altro bluff pompato dai giornaloni, ha almeno il pregio di svelare l’arcano di che diavolo fosse l’Agenda Draghi (ora Agenda Dragula): il libro delle firme ai funerali sul tavolino in fondo alla chiesa, con la copertina nera in velluto floccato e la penna legata alla cordicella.

L'Amaca

 

Martire della libertà
DI MICHELE SERRA
Se avessi diciotto anni appenderei nella mia camera la fotografia di Hadith Najafi, la ragazza curdo-iraniana ammazzata da un sicario della teocrazia di Teheran perché manifestava senza velo. Se dio esistesse lo ridurrebbe in cenere, lui e i preti maledetti che gli hanno armato la mano, e porterebbe Hadith in paradiso, salva per sempre dai suoi assassini.
Era giovane, era bella, era libera, era diventata un simbolo di grazia e di determinazione grazie ai social, è stata uccisa, come altre ragazze di quelle parti, esattamente a causa delle sue qualità: era giovane, bella e libera, dunque portatrice di sconquasso in quel mondo, orribile, di sottomissione e di mortificazione. Non so quanti dei nostri figli e nipoti siano al corrente di questo fatto: c’è chi, alla loro età, muore per avere sciolto i capelli. Perché considera l’essere nata donna una fortuna e un vanto, non una galera. E i capelli una bandiera da sventolare, non una vergogna da occultare.
Nel video che ha reso celebre Hadith è insopprimibile, e decisiva, la forza estetica della giovinezza e della bellezza. Amplificano lo scandalo, lo rendono irrimediabile. La rendono pericolosa. Si immagina l’odio che quella ragazza dai passi decisi, dagli occhi luminosi, ha suscitato nei suoi assassini maschi, o nelle tristi poliziotte della fede alle cui cure vengono affidate, nei paesi dell’Islam integralista, le donne irrequiete. La libertà, purtroppo, ha ancora bisogno di martiri, Hadith è una di loro e non lo è retoricamente, lo è tecnicamente: è morta piuttosto che piegare la testa. La dimenticheremo presto, perché per noi la libertà è una pigra consuetudine. I persiani, che sono un grande popolo, non la dimenticheranno.

Finalmente, grazie Michele!

 

Le idee
Alla ricerca dell’identità perduta
DI MICHELE SERRA
È saltato il tappo, e il tappo era il Pd. Chiedo perdono anche a me stesso per la brutalità della sintesi (ho votato Pd alla Camera, Verdi/Sinistra Italiana al Senato), ma il 25 settembre del 2022, con la vittoria della destra sovranista e dei suoi accodati, la lunga stagione — da Giorgio Napolitano in poi — degli aggiustamenti istituzionali, dei governi tecnici, delle abili manovre di vertice, della sapienza di Palazzo contrapposta all’emotività popolare, è cancellata per sempre. Bocciata per sempre. E mai più riproponibile.
Il Pd, vuoi per senso di responsabilità vuoi per affezione al potere (dunque per una virtù e per un vizio) era diventato il partito simbolo di questa perenne emergenza repubblicana, tanto perenne da sembrare, alla fine, pretestuosa anche quando motivata dagli eventi. Una specie di anchilosi politica, nonché la condanna ad assumere una postura conservatrice davvero paradossale per un campo che si dice progressista, e per il partito erede delle più potenti istanze di cambiamento degli ultimi centocinquantaanni. Non c’è stato nulla di “illegale”, nella stagione finita domenica scorsa. I governi, nel nostro sistema istituzionale, trovano piena legittimità nell’investitura del Parlamento. Ma l’idea che il voto popolare contasse relativamente e fosse, diciamo così, irreggimentabile se non manipolabile da successive alchimie politiche, era molto diffusa. E non per complottismo, ma perché il ricorso alle urne è parso e forse è stato davvero, dalle parti della politica “responsabile”, l’ultima delle risorse, un appuntamento da rimandare, un rischio da evitare, e questo ha generato un contraccolpo quasi fisico: le urne sono diventate, per milioni di italiani, l’arma da impugnare “contro il Palazzo” e “contro la casta”. In parole semplici: il populismo è figlio, anche, dell’elitarismo. Ne è la controparte inevitabile. Ieri Grillo, oggi Meloni in forma ben più definitiva, sono stati gli interpreti più efficaci di questo grande sommovimento certamente populista, ma (lo dimentichiamo spesso) anche popolare.

Ora che è finita, quello che rimane di gran lunga il maggiore partito della sinistra italiana, terminato l’inventario dei cocci, entrerà, sebbene obtorto collo ,costretto dagli eventi, risvegliato dalla sberla, in una fase totalmente nuova della sua esistenza. E non è escluso che — già adesso, a botta calda — questa nuova fase, che solleva di fatto il Pd dalla sua ossessione governista, e in qualche modo lo restituisce al gioco della politica a tutto campo, possa essere vissuta anche come una liberazione. Più che il partito delle Ztl (connotato che le analisi del voto ridimensionano e rimescolano grazie alla new entry di Carlo Calenda), il Pd è stato il partito dei ministeri, delle amministrazioni pubbliche, dei sindaci, e soprattutto il pezzo dell’arco politico più disponibile a supportare fedelmente ideus ex machina tecnocratici, da Monti a Draghi. Questo appiattimento sui doveri, sull’alto profilo, sulla salute repubblicana, sullo stile sobrio, ha avuto qualche evidente merito ma è costato, politicamente parlando, tantissimo. Un prezzo enorme: quello della perdita di una identità progressista, ovvero mobile, veloce, all’inseguimento del futuro.

Così la sinistra — fatta eccezione per le sue particole settarie e, a conti fatti e a urne chiuse, insulse — ha ceduto la piazza agli “altri”, confusi nella comoda categoria del populismo anche quando le forme della protesta, o dell’insofferenza, non erano poi così apparentabili: gli elettori di Conte non la pensano come gli elettori di Meloni o di Salvini, e dunque sarebbe bene, di qui in poi, ricominciare a capire quanto poliforme sia il malumore sociale. “Populismo” significa qualcosa (significa, per esempio, una predicazione raramente razionale, e quasi sempre demagogica) ma non abbastanza. Non qualifica quante e quali sono le zone della società perdute alla politica perché la politica le ha considerate una zavorra o un impiccio, all’insegna di quel “lasciateci lavorare” che è stato il connotato più sgradevole, e più controproducente,dell’elitarismo “responsabile”. La politica è parlare al popolo: né più, né meno. Coglierne i bisogni e gli umori, respingerne (spiegando bene perché) la parte che si considera nociva, fare propria (spiegando bene perché) quella che si considera giusta e utile, e di interesse comune. Trasformare il rancore in progetto, l’esclusione in presenza. Destra e sinistra non adoperano lo stesso vaglio, proprio no, per fare questa selezione. Il problema è che la destra, negli ultimi anni, ha continuato a fare la sua, la sinistra no. Era troppo occupata a salvare la Patria.
Ora la Patria la deve salvare la Meloni (che il dio degli improvvisatori la assista…). L’alibi dello “spirito di servizio” cade, finalmente, lasciando il Pd solo con le sue parole, i suoi silenzi, le sue incertezze, i suoi dirigenti così spesso di flebile carisma. Spogliato di tutto il suo sussiego istituzionale, della sua disponibilità così come della sua boria. Nudo, sconfitto, privato della sua sola vera gloria recente, che è il potere. 
L’occasione è unica.

La sinistra sa benissimo, in cuor suo, che la sua sola vera identità è il cambiamento. In un mondo così iniquo, scempiato dalla guerra, da accumuli di ricchezza mai visti sotto il cielo (nemmeno tra un faraone e un suo schiavo c’era la disparità di potere e di destino che separa un Bezos, un Musk, da un proletario americano), dalla crisi climatica, dal martirio distante delle ragazze iraniane e da quello prossimo delle ragazze pakistane uccise, in mezzo a noi, da un padre infame, da un’ignoranza di ritorno che alimenta superstizione e pregiudizio in forme organizzate, e infine dal trionfale e legittimo ingresso al governo del Paese degli eredi del fascismo, con qualche ignobile corollario (Sesto San Giovanni che preferisce Rauti a Fiano), finalmente la sinistra può tornare a sentire il richiamo del mondo e delle moltitudini che lo popolano. Se è sorda, non lo sentirà. Se non è sorda, può ricominciare da se stessa, da quello (tanto) che già sa, che ha già imparato, e dal tantissimo che ancora non sa e non ha capito.

Enrico Letta non merita croci. Ha fatto quello che poteva, per esempio ha cercato di federare un largo fronte democratico, ben sapendo quale sconcia legge elettorale gli aveva lasciato in eredità il suo predecessore Renzi, che fece il Rosatellum pro domo sua e se lo vede impugnare, e ben gli sta, dalla Meloni. Non è riuscito nella sua impresa federativa, Letta, per via delle vanità personali e dell’ottusità generale. Delle une e dell’altra, il centrosinistra non ha mai difettato, se non in rarissime occasioni, una delle quali, l’Ulivo di Prodi, ancora viene evocata come un’età dell’oro facile da rimpiangere, difficile da emulare. Ma alle spalle di Enrico Letta, prima di lui, tutto ma proprio tutto era già accaduto, e il Pd aveva già rinunciato, quasi per intero, all’irrequietezza senza la quale non esiste sinistra e neppure esiste “progressismo”, cioè critica del presente e ricerca del futuro.
Costretta a tornare on the road dal voto popolare, la sinistra ne approfitti. Ha buona gente e buone idee a portata di mano. Dimentichi la sua lunga fase governista: ha avuto lo sfratto, dunque si incammini. La strada è lunga.

lunedì 26 settembre 2022

Non c’è di che!



Prego, s’immagini! Dopo Trento ora la Calabria le apre le porte dorate parlamentari? Fra cinque anni dove? Stromboli?

Rimasugli evaporati

 

In questa triste giornata per l'Italia, a da venì er nerone, iniziano a colpire lietamente spiragli di pulizia parlamentare: se ne va Marcucci, l'inviato del Bomba in seno al PD, che non rimarrà a braccia conserte visto che l'azienda di emoderivati di famiglia va alla grande e potrà ospitarlo nuovamente; un altro che non vedremo più nell'aula è il tristissimo Giggino che credeva di mantenere poltrona e ozi pur avendo tradito un ideale. 

La spocchiosa lista dei negazionisti capeggiata da Paragone, con al seguito Rizzo e Adinolfi, non entrerà per fortuna a Montecitorio. 

Via anche la bella Carfagna e siamo in attesa di gioire per i mancati ritorni di altre ed altri, che non nominiamo ancora per non portar loro fortuna. Ma i segnali sono dalla nostra parte e l'evaporazione vicina, molto vicina... 

Adieu!



L’unica poltrona che gli rimane è quella del salotto! Spiaze…

E ha detto tutto!

 

Le lezioni politiche
di Marco Travaglio
Gli italiani hanno deciso: l’Italia avrà di nuovo un governo di destra. Come nel 1994, nel 2001-‘06 e nel 2008-‘11. L’unica differenza è che stavolta il premier sarà probabilmente – e giustamente, visti i voti raccolti e l’abisso che separa Fratelli d’Italia dai fratelli-coltelli leghisti e forzisti – Giorgia Meloni: una donna che viene dall’estrema destra, ma comunque dalla militanza politica, non dagli affari e malaffari di un impero mediatico-finanziario frutto di frodi, corruzioni, piduismo e mafioseria. Noi pensiamo che sarà un pessimo governo: programmi già falliti tre volte, cultura incostituzionale, classe dirigente di impresentabili e macchiette, spaccature interne (che si allargheranno vieppiù col crollo di Salvini), conflitti d’interessi, legami internazionali, contingenza economico-sociale. Ma, abituati come siamo a giudicare i governi solo da quello che fanno, speriamo di essere smentiti. Potremmo esserlo se Meloni si ricordasse di essere in maggioranza nel Parlamento, ma in minoranza nel Paese.
Ai 5Stelle, che hanno governato quattro anni dopo aver vinto vinto le elezioni, e al Pd, che ha governato tre anni dopo averle perse, l’opposizione farà bene. Il M5S raccoglie un ottimo risultato per Conte, ma non deve dimenticare di aver dimezzato i voti in 5 anni: giusto allearsi con la Lega e poi col Pd per realizzare il programma, ma non con tutti purchessia – come nel governo Draghi – per prendere solo sberle. Conte, il leader più sottovalutato della storia recente, ha riportato in vita i 5Stelle appena in tempo dal coma in cui li aveva precipitati la folgorazione di Grillo e Di Maio per il premier più sopravvalutato della storia recente: Draghi. Il clamoroso recupero dai sondaggi di fine luglio a una sola cifra si deve soprattutto a Conte, per il buon ricordo lasciato da premier e per la scelta di candidati e parole d’ordine credibili, ma anche ai regali degli avversari: la corsa solitaria (omaggio di quel genio di Letta e dei giornaloni che non ci azzeccano neppure per sbaglio), la scissione dei dimaiani, la guerra ai poveri ingaggiata dagli altri che, per giunta, l’han lasciato solo a parlare di pace contro il bellicismo atlantista. Del Pd del fu Letta c’è poco da dire, ma solo perchè è già stato detto tutto: un partito mai nato, anzi di due partiti in uno, ma a forma di poltrona. Molto meglio se resta digiuno un bel po’ e si scinde: fra una sinistra aperta alle altre forze progressiste e un vecchio centro che va dove lo porta il cuore o l’altro organo che inizia per cu: il duo Calenda & Renzi (il “terzo polo” che è quinto o sesto). A questo dovrebbe servire l’opposizione. Sempreché qualche volpe non voglia nascondere la polvere sotto il tappeto con un altro colpo di palazzo: uno di quegli errori che, diceva Fouché, sono peggio di un crimine.

domenica 25 settembre 2022

Poemetto


Alquanto stralunato 
Ma ho votato!

Tanto intenti a menar per l’aia 
Da non percepir la mannaia

Che oggi più di ieri
Ci tratta ancor da palafrenieri

Levandoci il democratico diritto
Di scrivere noi il nome di getto

Di colui che là dentro per un lustro
Porterà avanti con fare non maldestro

Desideri e vittorie
Giammai littorie!

Tutti bramano la bionda inane
E il suo mondo da banane 

Pregno di imbelli e mummie
Che col far da scimmie 

Rinfrancheranno beoti canori
Per la gioia dei tanti evasori.

Puntualmente c’invaghiamo 
Del forte di turno con amo

Per ello trasaliamo
E a ‘sto giro straluniamo

Per la piotta illetterata
Risvegliante la nera brigata

Che gli avi nostri avean vaporizzato
Con sudore e valore innato 

Dipanando a fatica la sorte ria
Per donarci sora democrazia

Di per sé già obnubilata
Da giullari e riccastri da parata

Ma il vento forte d’immane capienza
Ha portato nuova Resistenza

Agevolando la coscienza inviperita
A scacciare il nero con libera matita!

Ed oggi più di ieri a pien polmoni 
Effluvio nell’urlo “Fuori i fascistoni!”

Con Sandro, Enrico sogno con balia
Di riveder libera l’Italia!

Prima che sia...

 

Sogno o son destro
di Marco Travaglio
Addormentarsi pensando che è fico astenersi perché tanto sono tutti uguali e, al risveglio, scoprire che era molto meglio se vincevano i diversi.
Addormentarsi pensando che Draghi in America è lo statista dell’anno e, al risveglio, scoprire che è lo stagista.
Addormentarsi pensando che armiamo l’Ucraina fino alla vittoria finale e, al risveglio, scoprire che non esiste vittoria perché Putin ha l’atomica.
Addormentarsi pensando che Letta ha gli occhi di tigre e, al risveglio, scoprire che è cecato.
Addormentarsi pensando che Calenda è “il magnete che attira voti da destra” e, al risveglio, scoprire che attira pochi voti e quei pochi sono di centrosinistra.
Addormentarsi pensando che Conte è morto, i 5Stelle pure e, al risveglio, ritrovarsi ai funerali dei suoi aspiranti killer.
Addormentarsi pensando che il voto utile è quello al Pd e poi, al risveglio, scoprire che qualche voto in più ai 5Stelle al Sud sarebbe stato più utile.
Addormentarsi pensando che centrosinistra e M5S non possono stare al governo insieme perché Conte ha fatto cadere Draghi e, al risveglio, scoprire che centrosinistra e M5S stanno benissimo insieme, ma all’opposizione.
Addormentarsi pensando che tanto siamo un Paese di destra e, al risveglio, scoprire che le forze anti-destra hanno più voti della destra, ma si dividono perché tanto siamo un Paese di destra.
Addormentarsi pensando che il “populismo” è stato sconfitto da Draghi e, al risveglio, scoprire che i cosiddetti “populisti” che nel 2018 avevano il 55% stavolta hanno il 60%.
Addormentarsi pensando che gli italiani votano in base all’Agenda Draghi, all’influenza di Putin, alle politiche di Orbán, alle raccomandazioni delle cancellerie Ue, di Biden e di Zelensky sulla fedeltà euroatlantica, alla paura del fascismo e, al risveglio, scoprire che votano come sempre quel che pare a loro.
Addormentarsi pensando che gli italiani seguono i consigli dei giornaloni e, al risveglio, scoprire che non li leggono o, se li leggono, è per fare l’opposto.
Addormentarsi pensando che il pregiudicato, plurimputato, pluriprescritto e finanziatore della mafia B. è politicamente morto e, al risveglio, ritrovarselo presidente del Senato.
Addormentarsi pensando che Meloni è l’unica anti-Draghi e, al risveglio, scoprire che Meloni e Draghi vanno d’amore e d’accordo.
Addormentarsi pensando di votare la prima donna al governo e, al risveglio, ritrovarsi i governi Berlusconi 1, 2, 3 e 4 con la gonna, a parte un paio di deceduti e un paio di detenuti.
Quindi: meglio svegliarsi prima e addormentarsi dopo.

Corrias e il Nano

 

Qualcuno aiuti B., ha bisogno di un amico
L’ANALISI - Nelle apparizioni tv, cose depensate. Davanti alle sue parole perfino Vespa resta annichilito
DI PINO CORRIAS
Ma il Dottor Berlusconi Silvio – proprietario di uomini e anime, aziende, ville, villone, panfili, aeroplani, parchi, cavalli, forzieri di gemme preziose, mogli vere, mogli finte, bodyguard, avvocati, medici, commercialisti e 999 pupe archiviate in agenda – ce l’ha un amico che sia uno?
Uno che gli dica: fai il bravo, ritirati, passa una settimana di massaggi a Bermuda, fatti un sonno in Costa Smeralda, un volo tra le Ande innevate, un ricovero Detox in Normandia. Ma per favore interrompi il calvario delle tue apparizioni in pubblico, tra le plebi elettorali e televisive, dicendo cose depensate, come l’altra sera davanti a un Vespa Bruno annichilito che faceva pure finta di non vederti, di non sentirti, quando dicevi che “Putin voleva sostituire Zelensky con persone perbene”, come se il mattatoio Ucraina fosse il consiglio di amministrazione di una squadra di calcio in crisi. E dicevi che “le repubbliche del Donbass hanno chiesto aiuto a Putin e lui è stato spinto dalla popolazione e dai suoi ministri a inventarsi questa operazione speciale”. Povero Putin. Povero Berlusconi.
Martedì scorso in piazza del Popolo, a Roma – direbbe l’amico – ti hanno trasportato di peso sul palco, ancorato davanti al microfono, dove hai detto “siamo amici dell’Europa e dell’America, ma non della Cina che è ancora comunista”, vibrando nella voce e aspettando l’applauso che non c’è stato, per poi essere accompagnato per mano da Tajani Antonio verso il retropalco, con una Ronzulli Licia a controllare che non andassi a sbattere sugli spigoli della Meloni che intanto avanzava per prendersi la scena e pure i tuoi voti.
Per non dire del favoloso disastro che hai combinato a Rete4, tre settimane fa, nella plaza di “Diritto Rovescio & Toros”, condotto da uno dei tanti che hai personalmente peggiorato, Del Debbio Paolo, un tempo figlio illuminato della Pontificia Università della Croce e che oggi mette in croce i più disgraziati, li blandisce, li aizza. E intanto se li mastica per il piacere delle casalinghe. Due ore di sudori freddi è durata quella finta intervista, tu completamente fuori controllo che ti perdevi in risposte chilometriche e prive di senso, il regista e i montatori in crisi isterica a forza di tagliare e rimontare. Persino la barzelletta, che in studio durava 9 minuti, l’hanno tagliata a meno di uno, ma lasciando intatta la tua migliore battuta della sera, l’unica purtroppo involontaria: “L’ultimo governo eletto dagli italiani è stato il mio, nel 2008”, con il pubblico dei social impazzito a chiederti “prima di Cristo o dopo?”.
E il mesto Del Debbio a farti da spalla, come ai vecchi tempi, quando ti teneva con deferenza il cappotto.
Stai per compiere 86 anni, direbbe un amico. L’hai passata liscia quando con la televisione commerciale hai rimbambito l’Italia. E con il partito personale l’hai incanaglita. Invece di fallire, sei diventato il più ricco. Goditi gli spiccioli e riposa. Magari prova con un libro. Magari non te lo ricordi, ma quasi tutte le case editrici sono tue.