Le lezioni politiche
di Marco Travaglio
Gli italiani hanno deciso: l’Italia avrà di nuovo un governo di destra. Come nel 1994, nel 2001-‘06 e nel 2008-‘11. L’unica differenza è che stavolta il premier sarà probabilmente – e giustamente, visti i voti raccolti e l’abisso che separa Fratelli d’Italia dai fratelli-coltelli leghisti e forzisti – Giorgia Meloni: una donna che viene dall’estrema destra, ma comunque dalla militanza politica, non dagli affari e malaffari di un impero mediatico-finanziario frutto di frodi, corruzioni, piduismo e mafioseria. Noi pensiamo che sarà un pessimo governo: programmi già falliti tre volte, cultura incostituzionale, classe dirigente di impresentabili e macchiette, spaccature interne (che si allargheranno vieppiù col crollo di Salvini), conflitti d’interessi, legami internazionali, contingenza economico-sociale. Ma, abituati come siamo a giudicare i governi solo da quello che fanno, speriamo di essere smentiti. Potremmo esserlo se Meloni si ricordasse di essere in maggioranza nel Parlamento, ma in minoranza nel Paese.
Ai 5Stelle, che hanno governato quattro anni dopo aver vinto vinto le elezioni, e al Pd, che ha governato tre anni dopo averle perse, l’opposizione farà bene. Il M5S raccoglie un ottimo risultato per Conte, ma non deve dimenticare di aver dimezzato i voti in 5 anni: giusto allearsi con la Lega e poi col Pd per realizzare il programma, ma non con tutti purchessia – come nel governo Draghi – per prendere solo sberle. Conte, il leader più sottovalutato della storia recente, ha riportato in vita i 5Stelle appena in tempo dal coma in cui li aveva precipitati la folgorazione di Grillo e Di Maio per il premier più sopravvalutato della storia recente: Draghi. Il clamoroso recupero dai sondaggi di fine luglio a una sola cifra si deve soprattutto a Conte, per il buon ricordo lasciato da premier e per la scelta di candidati e parole d’ordine credibili, ma anche ai regali degli avversari: la corsa solitaria (omaggio di quel genio di Letta e dei giornaloni che non ci azzeccano neppure per sbaglio), la scissione dei dimaiani, la guerra ai poveri ingaggiata dagli altri che, per giunta, l’han lasciato solo a parlare di pace contro il bellicismo atlantista. Del Pd del fu Letta c’è poco da dire, ma solo perchè è già stato detto tutto: un partito mai nato, anzi di due partiti in uno, ma a forma di poltrona. Molto meglio se resta digiuno un bel po’ e si scinde: fra una sinistra aperta alle altre forze progressiste e un vecchio centro che va dove lo porta il cuore o l’altro organo che inizia per cu: il duo Calenda & Renzi (il “terzo polo” che è quinto o sesto). A questo dovrebbe servire l’opposizione. Sempreché qualche volpe non voglia nascondere la polvere sotto il tappeto con un altro colpo di palazzo: uno di quegli errori che, diceva Fouché, sono peggio di un crimine.
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