martedì 27 settembre 2022

Post elezioni travagliate

 

Agenda Dragula
di Marco Travaglio
Se le elezioni fossero un carosello, lo slogan sarebbe quello di Raid l’insetticida: “Draghi li ammazza stecchiti!”. La lista delle vittime del Migliore è un corteo di carri funebri da far invidia a Buckingham Palace: Letta, Salvini, Calenda & Renzi, Bonino, Di Maio, i direttori e i commentatori dei giornaloni (una prece). Nessuno poteva prescindere dal premier chiamato Agenda, chi aveva osato negargli la fiducia l’avrebbe pagata cara, gli elettori orfani e vedovi l’avrebbero reissato a Palazzo Chigi sulle proprie spalle, insomma sarebbe tornato domani a furor di popolo. Invece era così popolare che vincono, nell’ordine: Meloni, sua unica oppositrice; Conte, additato da tutti come il suo killer; Fratoianni e Bonelli, che non gli avevano mai votato neppure mezza fiducia e sono i soli a salvarsi dall’apocalisse del centrosinistra.
Signorini grandi firme. È uno spasso vederli in tv, dotti e pensosi, mentre spiegano l’errore fatale di Letta, Calenda & C.: non allearsi con i 5Stelle, dare Conte per morto, percularlo come “avvocato del popolo di Volturara Appula” tutto “piazze piene e urne vuote”, ma anche pensare che agitare il nome di Draghi portasse voti, che l’allarme fascismo, l’allarme Putin, l’allarme Orbán terrorizzassero le masse inebriate dall’euroatlantismo, dal riarmo, dai moniti dei mercati, di Zelensky, della Casa Bianca, di Ursula, Scholz, Macron e le altre cancellerie Ue. In una parola, spiegano che chi segue i loro consigli è un coglione (invece chi li dà resta una volpe).
Lecta. Il principale artefice del trionfo della destra (dopo Facta, Lecta), della rimonta dei 5Stelle e del punto più basso mai toccato dal suo partito, s’è rivelato il peggior segretario del Pd alla pari di Renzi (e non era facile), s’è presentato ieri alla stampa per dare la colpa ai 5Stelle: mancava soltanto che, anziché le sue dimissioni, annunciasse quelle di Conte. Come se gliel’avesse ordinato Conte di sdraiarsi ai piedi di Draghi donandogli il sangue perinde ac cadaver e gonfiando Meloni come un’anguria, sposare il riarmo e il bellicismo atlantista senza mai parlare di pace, rinnegare l’unica alternativa vincente alle destre (l’alleanza M5S-Pd del Conte-2), puntare su Di Maio e tal Crippa, pomiciare con Calenda per poi farsi mollare all’altare, scommettere tutto sul “Pd primo partito” (ciao core) e sullo “Scegli” fra nero e rosso (stravince il nero di 18 punti), evitare accuratamente accordi coi 5Stelle sui collegi contendibili al Sud, dare per acquisiti quelli delle Regioni (ex) rosse, insomma giocare la partita con le regole del proporzionale mentre vige il Rosatellum che premia le coalizioni e i cartelli tecnici. Infatti in Puglia, dove Emiliano sposò fin da subito l’alleanza coi 5Stelle, il Pd cresce di 3 punti.
Fa il record al Sud (16,8). E con 5S (28) e alleati minori, supera il 50, staccando di 10 punti le destre. Si potrebbe ripartire di lì, mettendo in salvo la povera Schlein dal bacio della morte dei cavalieri Gedi che la lanciano alla segreteria con gli amorevoli consigli che già tumularono Renzi, Pisapia, ora Letta. Il quale avrà molto tempo libero prima di tornare a Parigi a insegnare come perdere il governo con l’Agenda Monti e le elezioni con l’Agenda Draghi: forse ci spiegherà se l’ultima catastrofe è tutta farina del suo sacco o gli ha dato una mano qualche zio d’America.
Ernesto “Che” Conte. Trasformato da cecchini e avversari in un tupamaro descamisado solo perché parla di pace, reddito di cittadinanza, salario minimo, rincari e legalità, riporta i 5Stelle al 15,5% dall’8-9 in cui erano precipitati per l’effetto Draghi. Dimostra che il M5S è l’unica novità degli anni 2000 che non passa di moda come una meteora. E ci salva da una destra oltre i due terzi e padrona della Costituzione. Ma ora il governo avrà un capo, anzi una capa, molto riconoscibile. All’opposizione serve un volto credibile e, al momento, c’è solo quello di Conte, in attesa che il Pd esca dalla notte dei lunghi coltelli. La partita che lo attende va ben oltre i confini dei 5S: sta a lui scavalcarli, tornando a essere il “punto di riferimento dei progressisti” ritratto dal tanto vituperato Zingaretti (che alle Europee del 2019 portò il Pd al 22,7%, subito dopo la scissione di Iv). Partendo da comitati civici in tutta Italia per difendere le conquiste del Rdc, della Spazzacorrotti, della lotta al precariato e ai salari da fame, della pace, dell’ambiente dagli assalti delle destre alla diligenza.
Il Sesto Pelo. Il Terzo Polo di Calenda&Renzi, come volevasi dimostrare, è il sesto. Ollio&Ollio vaneggiavano di 15%, di “risultato a due cifre”, invece si fermano alla metà (7,8). Dovevano rubare messi di voti alla destra (“Calenda è un magnete”, Letta dixit), invece ne fregano pochissimi al centrosinistra. E, senza il 2,9% della Bonino, vanno poco sopra i voti del 25 luglio dopo la caduta di Draghi: allora Swg per La7 diede Azione e +Europa al 6% e Iv al 2,9. Ma è tutta colpa degli elettori, spiega lo Statista dei Parioli: l’avevano illuso con le standing ovation a Draghi (ma quando mai?), poi hanno “scelto il populismo di chi urla di più” (ma in quel caso lui sarebbe alla pari della Meloni). Però la mesta fine del Grande Centro, sorpassato in retromarcia persino dal feretro di B., e la débâcle della Bonino, altro bluff pompato dai giornaloni, ha almeno il pregio di svelare l’arcano di che diavolo fosse l’Agenda Draghi (ora Agenda Dragula): il libro delle firme ai funerali sul tavolino in fondo alla chiesa, con la copertina nera in velluto floccato e la penna legata alla cordicella.

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