giovedì 30 dicembre 2021

Per non dimenticare



di Andrea Scanzi

“Eravate tutti e sette insieme, anche davanti alla morte, e so che vi siete abbracciati, vi siete baciati, e Gelindo prima del fuoco ha urlato:  Voi ci uccidete, ma noi non morremo mai!”. È vero, figli miei, vostro padre aveva ragione, il sangue diceva giusto, voi non potete morire. È questa la forza che mi fa andare avanti, che non mi fa piegare dal sentimento, altrimenti sarei venuto con voi presto, come la mamma vostra”.

Sono parole di Alcide Cervi (1875 – 1970), partigiano, padre dei fratelli Cervi.

Guai a dimenticare. Chi dimentica è complice.

Lo volevo dì!

 


Egregi,

proprio ieri sera riflettevo, dopo essere capitato per sbaglio dentro a quel coacervo di merda che è l'informazione su Rete 4, su quanto gli abbiate concesso negli anni precedenti la mefitica Era del Puttanesimo ed in quelli seguenti, in merito al contrastare l'egemonia mediatica di questo papabile al Quirinale, nonché pregiudicato, puttaniere incallito e pagatore seriale di tangenti alla mafia: praticamente un emerito ciufolo.
La stortura democratica che un tempo chiamavamo conflitto d'interessi, e che oramai provoca sbadigli e pisolini sui vostri agiati volti, è ancora tutta graniticamente davanti a noi, nel suo squallore: ectoplasmi s'aggirano nei meandri della politica melensa e prona ai voleri di questo invertebrato democratico, despota della nostra libertà, sfruttatore di coscienze non più libere, con l'unico scopo di preservare, coltivare, espandere il più grave scempio alla nostra nazione perpetrato, e da voi agevolato. Mi chiedo infatti come sia ancora possibile nel 2021 assistere all'incredibile e costante incensazione da parte di chi dovrebbe essere un giornalista al servizio della libertà d'opinione.
Grazie a voi infatti può ancora accadere, com'è accaduto ieri sera attorno alle 19:40, che in quel coacervo di merda che è l'informazione su Rete 4, dopo un servizio per inappetenti e culturalmente deviati tipico della rete, ecco prendere la parola l'aitante conduttore, pacchianamente prono alla volontà del balordo miliardario, informando - che parola questa pronunciata in quelle lande! - gli spettatori sull'endorsement di Al Bano riguardo alla candidatura quirinalizia del guappo meneghino. L'urlatore pugliese definisce il padrone della metà dell'informazione nazionale, uomo di pace, ripeto: uomo di pace.
Passa quindi il messaggio che un ribaldo di tale portata, intrallazzatore da sempre su risorse destinate a ben altri scopi, amico fraterno di un condannato per concorso esterno alla mafia, sia accostabile ai grandi personaggi della storia che si spesero per donare pace e stabilità alla nazione. Perché l'ha detto il Tg di Rete 4. E Al Bano. Grazie a voi, al vostro riposo beato ed accomodante. Al volemose bene, anticamera del tremendo inciucio perpetrato dal mononeuronico che è tra voi. E questo potrebbe essere persino l'antipasto: il Caimano vuole il Colle. E grazie a voi la sciagura potrebbe materializzarsi, tra le cornacchiate di Al Bano e dello stipendiato prono, alterante la verità.

Sempre più grande!

 

“Così Proust mi ha salvato”
di Vasco Rossi
Voglio stupirvi, e voglio stupirvi tre volte. Ho letto la Recherche , il romanzo più lungo del mondo. L’ho letta tutta (tutti e sette i volumi). E li ho letti tutti e sette di fila.
Lo so bene che pochi tra quelli che dicono di averla letta, ma poi vai a vedere, l’hanno letta davvero fino alla fine. Per dire: neanche uno come Michele Serra ce l’ha fatta. Me lo ha confidato lui stesso quando ci siamo incontrati qui a Bologna, a novembre scorso, per una lunga intervista per il Venerdì. Io invece nella Recherche ci ho vissuto dentro per mesi, perduto in tutte quelle sensazioni, in tutte quelle emozioni descritte così precisamente e profondamente fino all’ultima pagina. Non mi sono annoiato un attimo, mai.
È successo più o meno una ventina d’anni fa. Era un periodaccio per me, tempo di depressione, e forse è stata proprio lei, la Recherche , a salvarmi. Mi ha permesso di uscire da me, mi ha offerto una vita che era molto meglio della mia. Ho cominciato a leggere e sono rimasto incantato, intrappolato dalle prime ottanta pagine, quelle in cui Proust racconta le sensazioni provate durante il risveglio. Io ricordo solo che leggendo provavo un grande piacere. In quelle pagine c’è una potenza descrittiva che non ho mai più trovato in nessun altro scrittore.
Sì, perché – e adesso magari capace che vi stupisco una quarta volta ancora – io sono un divoratore di libri, sono un lettore seriale e metodico. Scelgo un periodo storico e poi lo approfondisco attraverso chi lo ha raccontato.
Credo di aver cominciato a leggere per il bisogno di colmare le lacune che la scuola mi ha lasciato: io ho fatto Ragioneria e invece volevo esplorare la storia del pensiero, la filosofia. Così, ho iniziato da Kierkegaard, poi sono passato a Schopenhauer e sono andato avanti con Spinoza. Kant è quello che mi ha conquistato di più, ho letto la Critica della ragion pura e l’ho capita bene – o almeno credo. Poi è arrivato Hegel, e con la sua Dialettica ci ho fatto un po’ i conti, diciamo che è stato il più ostico per me. E infine Nietszche, il mio preferito. E poi un giorno ho scoperto anche Proust. Era un bel tipo, famiglia benestante, mica aveva bisogno di lavorare, faceva la bella vita, che però per lui in realtà era solo una scusa per osservare e annotare fino all’ultimo dettaglio – e mi ha tirato dentro.

L'Amaca

 

Patata connection
di Michele Serra
Senza patate fritte, il Giappone potrebbe collassare? Improbabile. Mancano studi scientifici in proposito, ma è possibile sopravvivere senza patate fritte, almeno per un certo periodo. Sta di fatto che tre aerei cargo sono decollati dagli Usa per rifornire urgentemente di patate i McDonald’s giapponesi, drammaticamente a corto.
Difficilmente l’allarme-patate in Giappone è correlabile alla crisi delle materie prime. Lo sarebbe stato, forse, qualche secolo fa, quando il dilemma patata/non patata era perfettamente corrispondente a cibo/carestia, vita/morte. Più probabile che quei tre cargo siano decollati in conseguenza di un postulato del tutto nuovo, e sconosciuto ai nostri avi: i popoli benestanti non sono più capaci di sostenere privazioni anche piccole, tutto deve essere disponibile ovunque e sempre, impensabile non trovare ciliegie a Natale, fragole (insapori) tutto l’anno, vacanze al mare in inverno, nevi sciabili in estate. Basta pagare, e basta trasportare le merci (o i clienti) in giro per il mondo; e basta fare finta che non ci sia un gigantesco prezzo ambientale da pagare a questa ininterrotta sarabanda di merci non di primaria importanza.
Sarebbe interessante sapere se le patatine fritte di McDonald’s, tipico prodotto a basso prezzo, avranno o non avranno, in conseguenza dell’emergenza, un sovraprezzo. Ma in genere i costi ambientali non vengono mai scaricati sul cliente. Vengono dispersi nell’aria, sono costi volatili, occulti. Guai far sapere al cliente di Osaka, o di Tokyo, che era lui, ovviamente senza saperlo, a pilotare quei cargo verso il Giappone. Potrebbero andargli di traverso le patate. L’innocenza del consumatore è il primo presupposto della società dei consumi.

Come non essere d'accordo?

 

Sarò Franco
di Marco Travaglio
Nel Paese di Sottosopra non deve discolparsi chi vuole al Quirinale un puttaniere pregiudicato che ha frodato il suo Paese e finanziato la mafia, ma chi inorridisce all’idea. La Camera celebra un consigliere regionale che si uccide dopo la condanna per essersi pagato le spese private coi soldi nostri, confondendo suicidio e assoluzione. E il Governo dei Migliori riesce a far peggio dei Peggiori di prima non solo sulle nuove regole anti-Covid: roba da manicomio. Ma anche sul suo atto più importante: la legge di Bilancio. L’anno scorso, dopo il lockdown, i Dpcm per la seconda ondata e la raffica di dl Ristori da 150 miliardi, il noto peggiore Conte la depositò il 18 novembre e dopo 26 giorni iniziò l’esame. Quest’anno, senz’alcuna scusa plausibile, con 10 mesi per prepararla e una maggioranza bulgara senza oppositori, Draghi la licenzia in Cdm il 28 ottobre, la annuncia in Senato per il 16 e poi continua a pasticciarla, presentando il testo solo il 6 dicembre (e lasciando in bianco la casella su come ripartire gli 8 miliardi di tagli fiscali). Così, tra il deposito della legge e l’inizio dell’esame, passano ben 39 giorni e solo il Senato riesce a darle un’occhiata, approvandola il 24 dicembre con la fiducia. Alla Camera restano tre giorni per timbrarla a scatola chiusa (anche lì con fiducia), sennò si va alla terza lettura e all’esercizio provvisorio nel 2022.
Così Draghi, con 35 fiducie in 10 mesi e mezzo (3,2 al mese), straccia il record di Monti (3 al mese), cioè l’altro governo con la maggioranza più larga mai vista. Il Conte-2, noto “vulnus democratico” per il Rignanese e il Cassese, ne chiese 2,25, seguìto dal Gentiloni (2,13), dal Renzi (2), dal Letta (1,11), dal Berlusconi-3 (1,07) e dal Conte-1 (1). Questa collezione di trionfi si deve, oltreché a SuperMario, al suo ministro Daniele Franco che, quanto a pasticci e marchette, fa rimpiangere Cirino Pomicino. Infatti è il principale candidato a diventare premier nel caso in cui l’attuale ascenda al Colle. Resta inevasa una domanda, che ci ronza in capo da quando s’insediò il Governo dei Migliori (o “di alto profilo”, per dirla con Mattarella) e scoprimmo che, su 23 ministri, nove erano gli stessi del Conte-2 e tre del Conte-1, quindi Peggiori. Pensammo, sbagliando, che i Migliori fossero i sette tecnici: Bianchi, Messa e Giovannini, tre ectoplasmi; Colao, estinto; la Cartabia, autrice della peggior riforma della giustizia della storia; Cingolani, candidato unico al Premio Attila 2021; e appunto Franco, quello del Bilancio-catastrofe. Tutta gente che fa rimpiangere chi c’era prima. Chi rimane a garantire la qualifica di Migliori a tutti gli altri? Brunetta, Carfagna, Gelmini e Orlando. O uno dei quattro. Noi, trattandosi di “alto profilo”, optiamo senza indugio per Brunetta.

mercoledì 29 dicembre 2021

In morte di ...

 


Sempre e costantemente dinnanzi alla morte occorrerebbe fermarsi ed aver rispetto dei dipartiti. Non si può trascendere da questo dogma, anzi, non si dovrebbe. Perché il signore in questione, reso famoso da una delle più insulse e becere trasmissioni in aere, la Zanzara, diretta dall'insignificante Cruciani e dall'opportunista Parenzo, una coppia agiata nella radio di Confindustria trasformante la merda in oro solo ed esclusivamente per questioni di share, il signore in questione si vantò di essere entrato dentro ad un supermercato senza mascherina e con 38 di febbre. Non si dovrebbe congratularsi con la signora in nero armata di falce, scendendo al pari del defunto in questione, smerdandosi con tutta quella paccottiglia usata da programmi di merda come quello di Cruciani e Parenzo per far alzare gl'indici di gradimento. 

Non ci si deve rallegrare per la scomparsa di un ineguagliabile coglione come il signore in foto, e la coerenza del suo comportamento che l'ha portato nella fossa non dovrebbe essere motivo di ricordo, come la coppia del programma di merda sostiene nel commiato dal coglione ineguagliabile. 

Occorrerebbe che, per una volta almeno, la ragione prendesse il sopravvento su interessi, ricerca smaniosa di visibilità, arsura di risalto, necessità di presenzialismo, come la coppia del programma di merda ricerca forsennatamente per dar fiato ai loro squallidi tromboni obsoleti. 

Il tentativo di fare di codesto ineguagliabile coglione un eroe è una delle scempiaggini più insulse della recente storia dell'etere radiofonico, paragonabile forse al maquillage estenuante eseguito dai conigli stipendiati da un pregiudicato, seriale pagatore di tangenti alla mafia, al fine di presentarlo papabile allo scranno più importante della repubblica italiana. 

Non è stato un eroe questo ineguagliabile coglione! Per rendergli il giusto ed umano saluto finale la coppia di quel programma di merda avrebbe dovuto ricordarlo come un ineguagliabile coglione che è morto per la sua stupidità, l'ignavia e l'eclatante ignoranza scientifica. Morire da coglione purtroppo non è errore per pochi. Occorrerebbe risaltare questo dinnanzi ad una dipartita di questo tipo, per agevolare il ritrovamento di sé stessi di molti. Troppi.     

Alessandro

 

PIOVONOPIETRE
di Alessandro Robecchi
Da Figliuolo. State calmi: c’è il Green pass di livello 25-C-Rafforzato Plus
Con il Green pass di livello 25 – C – Rafforzato Plus puoi entrare in una sala biliardo, ma puoi giocare solo a boccette, niente stecche, per quelle serve il livello 26, che ti danno solo se fai un tampone di tipo D-14 in un aeroporto della Mongolia orientale. Occhio che c’è la fila. Ha ragione il generale Figliuolo, bisogna avere pazienza. Dai, cazzo, magari aspetti quaranta minuti dal concessionario della Porsche e non vuoi stare sei ore fuori da una farmacia?

Di tutte le categorie in crisi, la mia solidarietà di fine anno va a chi aveva in mente di scrivere un romanzo distopico, ambientato in un futuro nebuloso e incerto, su una società isterica. Ecco, mi spiace per lui, dovrà inventarsi qualcos’altro, perché ’sta roba qua la leggiamo tutti i giorni. Seguo, per esempio, la strabiliante evoluzione tecnico-scientifica del nostro lasciapassare sanitario, quello che durava nove mesi, no dodici, no di nuovo nove, no sei. Mostro il mio Green pass con la scioltezza del giocoliere, potrei partecipare alle Olimpiadi nella categoria “Mostratore al volo di display”. Vado a lavorare tutti i giorni nello stesso posto, dove la stessa persona me lo chiede ogni giorno, e ormai il problema non è il Green pass, ma inventarsi qualcosa da dire in quell’attimo di imbarazzo: lui sa che sta facendo una cosa inutile, io so che sto facendo una cosa inutile. È un rito scaramantico, che ha la stessa portata scientifica di stringere un cornetto di corallo. Eppure lo facciamo lo stesso. Unica soddisfazione: quando gli antropologi ci studieranno, tra una decina di secoli, e impazziranno per interpretare una cosa del genere. Giunti al punto “Super Green pass obbligatorio per le feste di laurea ma non per i matrimoni” si arrenderanno, spero. Ma facciamola breve. Presto il mio Green pass non basterà più: come per il Mac, il telefono, il tablet, la televisione, il navigatore, dovrò fare l’upgrade, aggiornare il programma. Una certa riprovazione sociale comincia a spumeggiare intorno a me: ho ancora il Green passsemplice, non mi vergogno? Non penso a mio nonno? “Io non ce l’ho il nonno!”, rispondo. Ma niente, ottengo solo un accenno di disprezzo. 

Naturalmente ho prenotato la terza dose, mi daranno il Green pass rafforzato, diciamo che passo da Green pass2.1 a Green pass3.0, non male per uno che non aveva mai pensato di fare carriera nel mondo della sanità. La quarta dose viene data per certa, comunque, da quasi tutti i virologi in onda, quindi già so che è il solito giorno della marmotta, e che quello che leggiamo oggi (“cambio di passo sulle terze dosi”) potremmo leggerlo anche domani (“cambio di passo sulle quarte dosi”). Approfitto per consigliare nuove formule (che so: colpo di reni, scatto felino) perché il generale Figliuolo che dice “cambio di passo” è un classico da marzo, nove mesi fa, un po’ invecchiato come tormentone. Scatteranno le promozioni commerciali, tipo un tampone gratis se porti un amico, e ci saranno corsi di laurea dedicati ai diversi tipi di quarantena. Intanto, le cose che si potevano fare, non sono state fatte. A parte litigare un po’ su chi controlla biglietti e/o Green pass sugli autobus, gli autobus sono sempre quelli, le aule sono sempre quelle, le code per i tamponi sono dense di gente che bestemmia tutti i santi perché in classe di Gino o di Filippa c’era un positivo, quindi tutti a casa, madre, padre, due fratelli, stanno tutti bene, ma è il Vietnam. A ’sto punto la coda per il tampone è una botta di vita. Il mio consiglio è scollinare Capodanno e ripresentarsi qui nell’anno nuovo, carichi di buoni propositi.
Auguri
a tutti.

Marco

 

Le bugie migliori
di Marco Travaglio
Il 28 dicembre 2020, un anno fa a ieri, il tasso di positività dei tamponi era al 12,4% contro il 7,5 di ieri. I morti erano 445, contro i 202 di ieri. I ricoverati in terapia intensiva 2.565 (-15 sul giorno prima) contro i 1.145 di ieri (+19) e nei reparti ordinari 23.932 (+361) contro i 10.089 di ieri (+366). I dati di ieri sono poco meno della metà rispetto a un anno fa. Ma un anno fa i vaccinati erano quasi zero (si era partiti simbolicamente col Vaccine Day il 27 dicembre), mentre oggi sono l’89,5% con una dose, l’85,6% con due e il 56,2 con tre. Quindi i vaccini hanno evitato una strage biblica e (per ora) un altro collasso degli ospedali, ma contro i contagi servono a poco. E il Green pass per lavorare, unico nel mondo libero, manda in giro milioni di vaccinati potenzialmente infettivi, ma convinti di non esserlo, spesso più insidiosi dei No Vax “tamponati” ogni due giorni. Un anno fa stampa, destre & Iv attribuivano a Conte la seconda ondata, peraltro peggiore nel resto d’Europa. Ora nessuno addossa a Draghi la quarta, neppure noi: la colpa è del Covid, non del governo. Ma Draghi non può dire di essere stato colto di sorpresa e avrebbe dovuto fare cose che non ha fatto (più mezzi pubblici e più aule scolastiche per garantire le distanze, un piano per la ventilazione nei luoghi chiusi) ed evitarne altre che ha fatto (il Green pass per lavorare, lo smantellamento dello smart working nella Pa, il caos nella comunicazione e l’occultamento dei dati sulle scuole). Ma soprattutto non avrebbe dovuto mentire, cosa che invece fa con allarmante frequenza.
Lo fece il 22 luglio: “Il Green pass è una misura che dà la garanzia di ritrovarsi con persone che non sono contagiose”. Un messaggio falso, antiscientifico, populista e molto dannoso, visti gli attuali dati dei vaccinati contagiati e ricoverati (e si sapeva da maggio, con Israele quasi tutto vaccinato con doppia dose, ma già travolto dai contagi). Anche nella conferenza stampa del 22 dicembre ha mentito due volte sapendo di mentire. Sulla riforma Irpef: “In termini percentuali, i maggiori benefici si concentrano sui lavoratori con 15mila euro di reddito” (ma l’Ufficio parlamentare di Bilancio l’aveva già sbugiardato: 368 euro di riduzione media d’imposta per i redditi sopra i 38mila euro contro i 162 previsti per quelli più bassi). E sul Pnrr: “Abbiamo raggiunto tutti e 51 gli obiettivi” (ma l’ha smentito l’indomani la relazione del suo governo sui vari target concordati con l’Ue incompiuti e sulla “ancora parziale funzionalità del sistema informativo unitario ReGiS” del Mef che deve monitorare e rendicontare i progetti). Brutta cosa le bugie, specie per il migliore presidente del Consiglio che vuol diventare il migliore presidente della Repubblica.

Quanto ci Costa-rà?

 



Questa svolta storica evocata dal Sottosegretario alla Salute Costa, assomiglia, a parer mio, a ricevere un passaggio, dopo aver abbandonato l’auto in panne in aperta campagna, da un mezzo della ditta Luigini Ecologia, il servizio di spurgo dei pozzi neri spezzino; lo stesso “profumo” che avvertirei allorché il camion di Luigini si fermasse ad un semaforo, lo ritrovo in quest’accordo tra pubblico e privato per costruire l’oramai famigerato nuovo nosocomio cittadino. Ammesso infatti che la filantropia sia oramai arte destinata alle opere natalizie - guardatevi al proposito il caritatevole video della Santa(de)ché sfoggiante il faraonico centrotavola natalizio e la sua conseguente pia sofferta meditazione sul fatto che molti, purtroppo, non se lo possano permettere - l’unica pietra miliare agevolante l’intervento privato in una struttura sanitaria è uno ed uno solo: fare grana, alias il profumo dell’automezzo Luigini fermo al semaforo.
Lo stile regionale infuso da Yoghi - Toti, tra l’altro già dichiaratosi grande elettore di un pregiudicato - puttaniere - pagatore seriale di tangenti alla mafia nella corsa quirinalizia, è palesemente tipico di quella nobiltà destrorsa e cattofascista assurta al governatorato di molte regioni: piano piano, lemme lemme, acquisire sempre più spazio, soffusamente, nel più grande granaio di spesa pubblica esistente, la sanità.
L’apripista di questa demoniaca e scellerata politica fu il mai dimenticato - quand’era in galera lo pensavo molto, immerso com’ero nel suono a festa di decine di campanili - pregiudicato, sommo vate pio, nonché memores domini, il Celeste Formiga, ideatore di uno dei più indecenti sciacallaggi di denari pubblici che la storia ricordi.
Recentemente Vittorio Agnoletto in merito alla riforma Moratti - altra papabile al colle più alto benché già condannata, quand’era sindaco di Milano, a versare oltre 591 mila euro per due voci di spesa: 11 incarichi dirigenziali esterni a non laureati per quasi 1 milione e 900 mila euro, e retribuzioni ritenute troppo costose, più di 1 milione, di alcuni addetti stampa - ha illustrato così i pericoli della penetrazione della logica liberista:
“Se la Lombardia fosse uno stato indipendente, come chiedeva Umberto Bossi, oggi sarebbe al 7° posto nel mondo come numero di morti per Covid in relazione agli abitanti: 343/100.000; nella prima fase della pandemia, la Lombardia era addirittura al primo posto: una tragedia nella tragedia, nella regione che si vanta di avere il miglior servizio sanitario del Paese.
Un modello di sanità portato in palmo di mano non solo dalla destra, ma anche da settori del centrosinistra.
In Lombardia circa il 40% della spesa sanitaria corrente è destinata alle strutture private convenzionate.
Per il privato, come in qualunque altro settore, l’obiettivo è fare profitti, ma in questo caso i profitti si fanno sulle malattie e sui malati, non sulle persone sane, quindi, la prevenzione per i privati è solo una pericolosa concorrente. Il privato sceglie i settori nei quali investire: non il pronto soccorso, né il dipartimento d’emergenza, ma la cura delle patologie croniche e la specialistica di alto livello.
Al contrario, il servizio pubblico più previene, meno persone si ammalano, più risparmia; ma in Lombardia (e non solo) il servizio pubblico da oltre venticinque anni è gestito con la stessa logica e i medesimi obiettivi del privato.
LA SPESA È ORIENTATA verso una medicina unicamente curativa, la parte del leone la fanno gli interventi di altissima specialità e le cure di ultima generazione, spesso ancora inserite nei trial di sperimentazione; queste eccellenze richiamano malati da ogni parte d’Italia, ma per le caratteristiche e per i costi che hanno (una terapia oncologica con gli ultimi farmaci può superare i 100.000 euro) possono riguardare un numero limitato di persone spesso curate in strutture private convenzionate, le quali si aggiudicano gran parte dei finanziamenti.
In assenza di una programmazione sanitaria pubblica a farne le spese, è stata la medicina preventiva e le strutture territoriali ridotte al minimo, private del personale e delle risorse necessarie: dalla carenza dei medici di medicina generale, all’esiguità dell’assistenza domiciliare, alle liste di attesa lunghe talvolta anche un anno, alla chiusura dei servizi di psichiatria, alla insufficienza di quelli dedicati ai minori, alla mancanza di personale nella medicina del lavoro ecc.”
Si comprendono quindi i rischi di far entrare soldi privati nella costruzione del nuovo ospedale cittadino, punta dell’iceberg del progetto di Yoghi che da una parte depotenzia, attraverso una cronica mancanza di personale, il servizio sanitario pubblico, con estenuanti liste di attesa per semplici esami, e dall’altra, con le RSA oramai quasi completamente in mano ai privati, incoraggia l’uso delle strutture private accreditate, dove tra sfavillii di luci e ninnoli, prontezza e rapidità degli esami, le persone vengono convinte ad abbracciare la nefasta scelta di affidare la prevenzione e la salute di noi tutti a chi di default è lì soltanto per ingigantire i suoi già sterminati guadagni sanitari, che alla fin fine paghiamo sempre noi.
Il nuovo ospedale corroborato da risorse private sarà il cuneo per la definitiva entrata della Liguria nei meandri di quel pressappochismo trasformante un diritto costituzionale in una stratosferica tavola imbandita per pochi Epuloni, apripista per quel progetto tanto caro ai soliti noti che vorrebbero affidare alle assicurazioni il destino della nostra salute, riducendo oltremodo i poco lucrosi controlli di prevenzione. La fermata dell'automezzo di Luigini al semaforo, appunto.

Vai Michele!

 

L’amaca
Sull’inutilità dei numeri
di Michele Serra
Pubblicare numeri sulla pandemia sostenendo che sono la prova dell’inutilità dei vaccini. Senza rendersi conto che quegli stessi dati documentano, al contrario, l’utilità dei vaccini. È capitato all’opinionista No Vax Diego Fusaro, molto deriso sui social per questa disavventura, ma non accanitevi su di lui.
È in folta compagnia.
Le ragioni della fede non attingono al mondo visibile e non ci sono più dubbi sul fatto che quella dei No Vax sia una fede allo stato puro: vedono in trascendenza, oltre la realtà, ciò che noi non sappiamo vedere. Ricevo lettere che compatiscono la mia ottusità di vaccinato invitandomi a prendere atto che i vaccinati sono un terzo dei ricoverati in terapia intensiva.
Secondo loro, sarebbe la prova del fallimento dei vaccini. Rispondo: ma si rende conto che gli altri due terzi dei posti sono occupati da non vaccinati, ed essendo costoro solo il 15 per cento della popolazione questo significa che i No Vax sono circa dodici volte più esposti al rischio di malattia grave, e occupano le terapie intensive, a spese della sanità pubblica, dodici volte più di quanto capiti ai vaccinati? Non credo serva a nulla.
Una conoscente No Vax, in ospedale con il Covid, twitta soddisfatta: “Così mi daranno il Green Pass senza avvelenarmi con il vaccino”. È imbottita di farmaci, dunque avvelenatissima, ma è convinta che il vaccino sia il demonio.
Preferisce il Covid al vaccino.
Mi ha sempre colpito che solo in Italia ci siano quasi un milione di Testimoni di Geova, quelli che rifiutano le trasfusioni di sangue a costo della loro vita. I cinque milioni di No Vax surclassano quel dato, e non solamente a rischio della loro vita, anche di quella altrui. Niente potrà mai più meravigliarmi, nemmeno un referendum vinto dai terrapiattisti. Forse noi non siamo capaci di vederlo, ma la Terra è piatta davvero.

Mannaggia!



Mi sconquasso leggendo questa ferale notizia, allontanante dal sacro golfo un’artista unica capace di danzare, recitare, tenere in piedi show grazie al suo innato magnetismo frutto di studi intensissimi, pregni della preparazione culturale tracimante che possiede, e che mette in secondo piano le doti ricevute da madre natura. Ci mancherà tanto l’indigeno commento confezionato appositamente al suo oramai ipotetico passaggio: “BelinBelen!” 

lunedì 27 dicembre 2021

Figuraemmerda!



E tu filosofo (di ‘sti ciufoli) sovranista Diego Fusaro, grande oppositore del Green Pass e scettico nei confronti dei vaccini: dai trasmettici le tue sensazioni dopo l’abnorme figura di merda che hai fatto dopo questo tweet! Hai persino commentato con “Chiaro, no?” miserrimo pensatore, rivoltante nella tomba i Socrate, i Platone! Certo che è chiaro! Un decimo di tamponi fatti nel 2020, rispetto ad oggi, e quasi undicimila positivi. Oggi con 900mila tamponi solo tre volte tanto. Chiaro no, filosofello da strapazzo? 12,37% di positivi nel 2020 e 3,61% nel 2021. Grazie ai vaccini, grazie al green pass, sapientello di ‘sti ciufoli!

Ottimo e non scontato

 

l sortilegio del Cavaliere
di Ezio Mauro
Nell’eterno ritorno italiano, ricominciano come vent’anni fa le telefonate dei giornalisti stranieri, increduli davanti all’ipotesi che Silvio Berlusconi possa davvero pensare di vincere la corsa del Quirinale. Vogliono sapere, non riescono a capire, finiscono per concludere con la stessa frase, probabilmente scuotendo la testa: «Non è possibile». Li ascolto, e ogni volta penso che proprio quelle parole rappresentano la formula magica berlusconiana per attraversare lo specchio, ed entrare ogni volta in quella realtà parallela che il Cavaliere ha costruito e nella quale cerca continuamente di attirare l’Italia.
Si potrebbe dire che la scalata al Quirinale gli interessa proprio perché non è possibile, dunque è fuori dal senso comune della politica ordinaria, dal codice condiviso del cursus honorum tradizionale, dal calcolo delle opportunità: anzi, crea uno scandalo istituzionale. Ma scegliere una soluzione scandalosa e renderla plausibile, sovvertire l’opinione dominante rovesciandola e piegare l’inverosimile provando a realizzarlo, tutto questo è già una prova di potere, un sigillo di legittimazione postuma sul ventennio, la conferma del carattere fuori da ogni regola, dunque extra ordinario, dell’avventura berlusconiana, concepita e vissuta nella sua vera essenza che oggi si rivela: un’eccezione permanente.
Significa anche che non c’è nulla da spiegare, niente da chiarire o da correggere nel percorso politico che il Cavaliere ha compiuto dopo aver ricreato la destra italiana, incarnandola. Si può gareggiare per il Quirinale senza sciogliere nemmeno un nodo dei tanti che tengono insieme le contraddizioni del Berlusconi politico: il grandioso conflitto d’interessi innestato in permanenza e irriformabile, perché è un elemento costitutivo della grandeur di questa leadership; lo strapotere economico che permette di alterare il mercato politico comperando parlamentari a grappoli; l’abuso mediatico, con il controllo proprietario di metà del cielo televisivo, quello privato, con cui si salda l’influenza politica della destra sulla tv pubblica; la deformazione del codice di procedura penale tagliando e cucendo norme sul profilo della silhouette del Cavaliere, ogni volta che serviva a salvarlo dai reati contestati dalla giustizia; l’esecutivo che usa il legislativo per bloccare il giudiziario, con buona pace della separazione dei poteri; le “cene eleganti” con le candidature politiche offerte alle ragazze del “bunga bunga”, una pratica che l’ex moglie dell’ex presidente del Consiglio ha definito «ciarpame politico».
In questa visione il Quirinale non è la sede della suprema magistratura della Repubblica ma diventa l’altare laico dove si brucia tutto ciò, si riordina il passato, si riscrive la vicenda del Paese sanificandola con l’epopea mitologica di una parte, e con questo sacrificio civile si chiude davvero la seconda Repubblica: per inaugurare un’età imperiale dove la sacralità costituzionale del ruolo supremo per il vincitore annulla i contrasti, supera le riserve e cancella le divisioni, perché riscrive la storia.
Non siamo semplicemente davanti ad una scelta di Camera e Senato riunite in seduta comune per decidere chi deve guidare lo Stato, un compito che reclama dignità, responsabilità, decoro e senso dell’onore repubblicano: ma ad una reincarnazione del berlusconismo esausto, ridotto nei numeri, logorato dagli anni, consumato nell’efficacia favolistica del racconto di sé. E tuttavia ancora dominato e agito dal demone della dismisura che ha governato tutta la vita pubblica dell’ex premier, e che oggi opera la sua trasfigurazione finale, pretendendo per un leader pregiudicato, che ha diviso il Paese abusando nel pubblico e nel privato del potere legittimo che si era conquistato, la ratifica non soltanto a patriota — già concessa da Giorgia Meloni — ma a padre della patria.
Com’è ben chiaro la questione è certamente politica, è inevitabilmente simbolica, ma soprattutto è profondamente, intimamente ideologica. Se infatti nella prima fase del berlusconismo è stato il popolo la fonte del consenso e la via di accesso al potere, adesso sono le istituzioni che devono imporre il sigillo della Repubblica su una storia controversa assumendola nel loro patrimonio valoriale e trasformandola addirittura in un giacimento di energia nazionale e di virtù civiche. Si tratta, in poche parole, di inscrivere il significato della destra battezzata ad Arcore nel codice genetico dello Stato, non solo come parte significativa della vicenda politica e protagonista di una stagione rilevante, com’è ovvio e naturale, ma come elemento costitutivo del carattere repubblicano contemporaneo, talmente marcato da essere portato alla guida dello Stato. Magari inconsciamente, è per questa ragione che Meloni e Salvini accettano di imbarcarsi in quest’avventura che apparentemente non ha respiro, è incongrua e sembra servire soltanto al soddisfacimento dell’egolatria berlusconiana, come la chiamava il professor Cordero: e invece è un upgrade definitivo della destra italiana.
La storia fa un giro, nemmeno tanto lungo. E all’appuntamento con l’impossibile trova Berlusconi che dice alla democrazia: la mia anomalia ti ha stremata, perché in realtà è talmente profonda e perfetta che non è risolvibile. È arrivato il momento di cambiare.
Introiettala e costituzionalizzala, portala al tuo vertice: ne uscirai manipolata, ma finalmente pacificata, e ogni cosa a quel punto troverà una sua nuova, deforme coerenza.
Tutto è chiaro, dunque, meno un punto: c’è qualcuno che dice no e si rifiuta di attraversare lo specchio magico del Cavaliere, guardando in faccia la realtà, e rifiutando il sortilegio?

Sembra e ci parla

 


Quel gommone che sembra un presepe
di Paolo Di Paolo
Un Natale gelido, un Natale in solitudine, un Natale in lutto, un Natale diverso da tutti gli altri, un Natale lontano dalle latitudini in cui sembra Natale.
Riesco a immaginare molti Natali, a figurarmi giorni di festa in cui la festa è solo un segno rosso sul calendario. Però un Natale in mare aperto non riesco a immaginarlo; e forse è perfino stupido dire Natale, come se il 24 e il 25 dicembre non fossero due giorni come altri – solo più disperati, se oltretutto preghi un altro Dio, e li passi su un gommone che imbarca acqua del Mediterraneo, al largo di Lampedusa. La mia immaginazione non può spingersi fin lì. È un limite oggettivo, che va ammesso.
Supporre di potere cogliere realmente la differenza – per certi versi incolpevole, e in ogni caso feroce – fra il mio 25 dicembre e quello di chi è ritratto in questa fotografia è un esercizio retorico. Come pure vedere in queste tre figure – un padre giovane, alto, una madre con il capo coperto e un’espressione che non è un sorriso, come sembra, ma l’incredulità di fronte alla salvezza, e il loro bambino – una sorta di presepe. Ma una storia millenaria a cui l’apocrifo aggiunge dettagli e colore spinge a vedercelo, a vederci un presepe, a disegnarlo come l’ha disegnato il santo di Assisi: un padre terreno, una madre con il capo coperto, un bambino, un riparo di fortuna, inaspettato. Il bue e l’asino sono un’invenzione posticcia; non il calore del loro fiato – se, come racconta Luca, il bambino fu avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia: «perché non c’era posto per loro nell’albergo». Non c’era posto per loro. Dovesse essere sfrondata della sua logica divina, resta una storia di gente in fuga, di gente spaesata. Viandanti nella notte.
«Oggi è nato per voi il Salvatore», dicono gli angeli. Ma, intanto, c’è qualcuno che lo salva. Qualcuno che salva il figlio dell’Uomo.
Duemila anni fa e l’altra mattina, sul presto, qualcuno salvava il figlio di un uomo. Strappandolo per un soffio, per un caso, per una ostinazione, alla folla dei sommersi. Sommersi, letteralmente: come i cadaveri di ventotto migranti ritrovati su una spiaggia della costa libica. La differenza radicale di cui ha parlato Primo Levi nel suo libro più importante, “I sommersi e i salvati”. Resta una «vergogna più vasta, la vergogna del mondo»; non riguarda colpe commesse direttamente. E tuttavia è irrevocabile, dimostra che «l’uomo, il genere umano, noi insomma, eravamo potenzialmente capaci di costruire una mole infinita di dolore; e che il dolore è la sola forza che si crei dal nulla, senza spesa e senza fatica. Basta non vedere, non ascoltare, non fare».
Oppure, al contrario – intanto – provare a salvare il figlio di un uomo.

domenica 26 dicembre 2021

venerdì 24 dicembre 2021

Luoghi natii



Ma guarda a volte il destino! Scopro ora con sommo interesse che Giancarlo Giorgetti è nato in provincia di Varese, a Cazzago Brabbia...

Problematiche risolte



Mi son sempre chiesto come mai continuassi ad accatastare in casa i sacchetti della spesa a caxxo...

giovedì 23 dicembre 2021

In effetti...

 


Come l'affonda lei, non lo affonda nessuno!
Renzi, un Narciso con sfondo di tavoletta del water
SMOKING MATTEO - L'ex premier si ritrae nei bagni del teatro, ma dimentica un particolare
DI DANIELA RANIERI
Cosa spinge gli uomini a fotografarsi nello specchio del bagno e a postare la foto sui social? Cosa c’è all’origine di questa piaga sociale?
Ce lo siamo chiesti guardando una foto che Renzi, il capo del non-partito Italia Viva, si è scattato per l’appunto in una toilette per signori e ha pubblicato su Instagram: “Io faccio sempre fatica a vedermi in smoking. Ma la serata della nuova inaugurazione del teatro dell’Opera… meritava il sacrificio”. Anche il sacrificio di chi guarda?, chiediamo.
Renzi è effettivamente in smoking, con papillon. È stranamente snello: il teatro dell’Opera ha specchi deformanti, per compiacere ego e trippe straripanti? Ha usato il filtro snellente delle influencer? Ha inclinato il telefono verso il basso, tipo prospettiva del Borromini a Palazzo Spada? Ha perso qualche chilo e ha ritenuto che il mondo dovesse sapere? Fatto sta che la figurina appare macrocefala, con effetto videocitofono, il che avvalorerebbe l’ipotesi di una qualche anamorfosi (smagrisci i fianchetti, ma le ossa del cranio quelle sono).
A destra, si intravede il coperchio del water alzato, con sopra il bottone per lo sciacquone. Che sia questo il punctum della foto di cui parlava Roland Barthes? Il centro emotivo del tutto? Alle spalle del soggetto, un quadro non identificato (bei tempi, quando impallava il Tondo Doni di Michelangelo agli Uffizi: ora gli toccano le croste nei cessi, sebbene upper class). Sul volto, l’espressione stolida di chi fa pipì in piscina, o dei gatti nella lettiera. Perché caratteristica precipua dell’autoscattista piastrellista è la totale assenza di autoironia; crede in sé stesso, anche se chissà quante prove ha fatto prima di scegliere lo scatto giusto, piegando il braccio secondo diversi angoli e parallassi. In generale, un’atmosfera triste, da privé di discoteca lituana (e se entrava qualcuno? Lo sanno gli inservienti dei bagni del teatro dell’Opera che dentro c’è un ex presidente del Consiglio che si sta selfando?).
Renzi ha la cognizione di quanto è amato, infatti limita i commenti ai suoi amici (tutti
complimenti
, c’è chi lo vede figo, elegante, persino bello: poi dice i terrapiattisti), infatti sugli altri social, dove la foto viene diffusa, lo massacrano.
Dopo questo stress test visivo, la risposta alla domanda iniziale (cosa spinge gli uomini a farsi le foto nei cessi) è: il narcisismo, certo, un’egolatria patologica, ma anche qualcosa di infinitamente più pericoloso per un politico: il delta incolmabile tra le aspettative su sé stessi e la realtà al di qua dello specchio.

Assordante

 

Per la serie "Quando c'era lui" occorre constatare, per l'ennesima volta, il "pronismo" dilagante verso sua maestà il "Dragone de noantri." Nessuna critica, nessun impercettibile dissenso attorno alla riduzione del parlamento ad una pletora di notai certificanti la manovra finanziaria, i tempi assurdi con cui verrà approvata, si parla della notte di Natale!
Sembra di sentire le soffuse parole del nostro bene nazionale, l'autodefinitosi "nonno d'Italia" che, con un ritardo incredibile, proporrà ai nostri rappresentanti di votare la manovra senza tentennamenti: "presto inferiori, poche pugnette mentali! Votate velocemente che ce ne andiamo a festeggiar il Natale!"
Se lo avesse fatto lui! Se Giuseppe Conte avesse portato la legge manovra in parlamento il 23 dicembre, vi immaginate che sarebbe successo? I cori di protesta, gli articoli al veleno degli attuali pennivendoli proni? "Conte mina le istituzioni" - "Conte deturpa la Costituzione" - "Il Parlamento depotenziato dall'Avvocato del popolo"
E invece il nulla. Silenzio. Applausi al ducetto delle banche. E le mancette, le classiche mancette di fine anno, per la gioia di lobbisti e santi protettori del regno della casta.
Qui sotto un compendio delle elargizioni a cura di Patrizia De Rubentis (nomen omen) pubblicate oggi dal Fatto Quotidiano:

Manovra in extremis, solite mancette à gogo
A VALANGA - In Senato pioggia di fondi: ippica, celebrazioni, fondazioni, florovivaisti, ponti e via dicendo. La brutta prassi (e pure illegale). Ci sono pure due assunti a Verduno e 350 mila euro per la Chiesa di San Pietro in Colle di Caldiero, nel Veronese
DI PATRIZIA DE RUBERTIS
La vicenda è paradossale e triste allo stesso tempo. Nemmeno una della manovre meno discusse in Parlamento della storia, frutto degli accordi tra maggioranza e governo, che non hanno mai fatto toccare palla alle Camere, ha sollevato le critiche degli onorevoli. In commissione Bilancio al Senato, però, è passata la solita vagonata di micro-norme, volgarmente dette “marchette”, che peraltro hanno dovuto ricomprendere anche quelle dei collegi deputati, visto che il testo arriverà blindato alla Camera il 28 e sarà approvato il 31 in extremis per vietare l’esercizio provvisorio. Un record a cui si aggiunge una violazione: la riforma del Bilancio ha imposto che la manovra sia per capitoli di spesa, senza norme ordinamentali e tanto più micro-settoriali. A disposizione c’erano 600 milioni, il grosso assorbito dalle modifiche più rilevanti (Superbonus, Ape sociale agli edili etc.), ma gli onorevoli si sono dati da fare. E rivendicato il risultato con dichiarazioni roboanti.
Fondazioni. È un settore caro ai politici perché i territori sono bacini di voti. E così la Fondazione reatina Istituto Filippo Cremonesi, il cui sito è aggiornato a Natale 2019, riceve 250.000 euro; alla Fondazione privata “Franco Zeffirelli onlus” vanno 200 mila euro; per festeggiare gli 80 anni dalla nascita della Dc ne sono previsti 200 mila: a spenderli sarà la Fondazione De Gasperi. Una nutritissima pattuglia bipartisan sarda ottiene 200 mila euro per l’Associazione dell’Identità Ogliastrina e della Barbagia di Seulo per promuovere il patrimonio genetico sardo. Come ogni anno, arriva il rifinanziamento per l’Ebri (l’istituto fondato dal premio Nobel Rita Levi Montalcini, 1,6 milioni). Le renziane Garavini e Brollini fanno ottenere 1 milione all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini. E sempre Garavini consegna mezzo milione alla Fondazione Antonino Scopelliti di Reggio Calabria.
Fede. In manovra si trovano pure 350 mila euro per la Chiesa di San Pietro in Colle di Caldiero, nel Veronese; al progetto pilota della Comunità di Sant’Egidio dedicata alle cure domiciliari per anziani vanno 5,8 milioni dal 2022 al 2024. Mentre l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù riceve un contributo di 2 milioni di euro. Poi, alla “Fondazione per le scienze religiose” vanno 2 milioni di euro per i prossimi due anni.
Infrastrutture. La bergamasca Maria Alessandra Gallone (FI) strappa 400mila euro per la prosecuzione dei lavori di un viadotto in provincia di Bergamo. E sempre con destinazione Bergamo, a “La casa di Leo”, che ospita i familiari dei pazienti pediatrici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, vanno 400 mila euro. Bergamo e Brescia, designate Capitali italiane della Cultura per il 2023, si spartiscono 1 milione. Una mini pattuglia di senatori forzisti ottiene 15 milioni di euro per il 2022, 19 milioni per il 2023 e 6 milioni per il 2024 per sostenere il servizio di trasporto urbano di navigazione lagunare di Venezia (con tanto di esultanza del veneziano ministro Renato Brunetta). Mentre, a 12 anni dal G8 alla Maddalena, alla struttura vanno 3,5 milioni per la manutenzione straordinaria. Il forzista Giuseppe Mangialavori, eletto in Calabria, fa ottenere al Comune calabro di Nicotera 2 milioni per i lavori di rifacimento del lungomare. I renziani Marino e Garavini ottengono per il Comune di Verduno (Cuneo) due nuove assunzioni: gode il sindaco, collega di partito.
Cultura. Rispettando la tradizione, la manovra foraggia le celebrazioni degli italiani famosi: 800 mila euro vengono assegnati per quelle di Pier Paolo Pasolini, Giacomo Matteotti ed Enrico Berlinguer a 100 anni dalla loro nascita/morte. Il lucchese Andrea Marcucci fa stanziare 9,5 milioni per la celebrazione del centenario della morte di Giacomo Puccini. Per promuovere gli “Archi romani antichi in Italia” il ministero della Cultura può contare su 400 mila euro, mentre i dem Antonio Misani e Franco Mirabelli fanno ottenere alle fondazioni “I pomeriggi musicali e Cultura Torino” 1 milione per la realizzazione del Festival internazionale della Musica Mito. Stesso importo va all’istituto dell’Enciclopedia italiana. All’appello non potevano mancare i carnevali storici (1 milione). La forzista Fiammetta Modena di Perugia ottiene, invece, 1 milione di euro per il centenario del pittore Pietro Vannucci, detto “il Perugino”. La padovana Roberta Toffanin (FI) consegna 125 mila euro all’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ad Arti di Padova. Il senatore Gasparri strappa 300mila euro per finanziare il viaggio del treno della Memoria: promuoverà la conoscenza degli eventi che portarono a Roma la salma del Milite ignoto. Il segretario del Pd, Enrico Letta, vincitore alle suppletive di Siena, è l’autore dell’emendamento che farà nascere il Biotecnopolo di Siena con un finanziamento di 37 milioni (poi 16 milioni l’anno alla fondazione), scelta criticata dalla scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo.
Sport. Le università che sostengono le attività sportive possono spartirsi 5 milioni per il prossimo biennio. Per la Federazione nuoto arrivano 5 milioni per l’organizzazione degli europei di nuoto di Roma, mentre la Federazione ciclistica avrà di 600 mila euro per il Giro d’Italia giovani under 23. Faraone (Iv) consegna agli ippodromi 7 milioni tra il 2022 e il 2023. Per il Gran Premio di Formula 1 di Monza, la Lega fa stanziare 10 milioni, mentre alla in house dell’Aci che promuove l’attività sportiva automobilistica vanno 5 milioni per il 2022 e 15 per il 2023. Il forzista Dario Damiani ottiene 600 mila euro per i campi sportivi dell’istituto Mennea di Barletta, sua città natale.
Istruzione. Alle università non statali legalmente riconosciute del Mezzogiorno sono assegnati 16 milioni per il biennio 2022-2023.
Attività. Confermatissimo il fondo da 5 milioni per il sostegno degli artigiani della ceramica e del vetro di Murano per il caro bollette del gas. L’emendamento leghista ha una lotta con Italia Viva e Fratelli d’Italia per la paternità. A metterci il sigillo il ministro Renato Brunetta: “Venezia fa l’Italia grande nel mondo”. Creato con 1 milione il fondo buone pratiche per il settore turistico: a hotel e ristoranti basterà cambiare il set cortesia degli ospiti. Maxi fondo da 56 milioni per il sostegno dell’enogastronomia e della pasticceria. Per i piccoli birrifici artigianali arriva uno sconto sulle accise.
Forze ordine. Stanziati 7 mila euro dal 2023 per l’esenzione dal pedaggio autostradale dei veicoli del Corpo valdostano dei Vigili del Fuoco, della Forestale e della Protezione civile.
Flora e fauna. Per promuovere la filiera apistica, della frutta a guscio e della canapa ci sono 12,75 milioni per il 2022 e 5 per il 2023/2024; per la coltura di piante aromatiche e officinali biologiche va 1,5 milioni per tre anni; 150 mila euro per la tutela del sughero nazionale.

mercoledì 22 dicembre 2021

Buoni propositi


Buon anno

Giovanni De Mauro

Tornare a viaggiare lontano, lontano. Andare alle isole Lofoten. Divertirmi di più. Pensare in grande e agire in piccolo. Cambiare casa senza cambiare quartiere. Comprare meno dischi. Disdire quel contratto. Vedere finalmente il film Popeye – Braccio di ferro di Robert Altman. Non essere frettolosa. Fare ordine nelle password. Lavorare a maglia tutto l’anno per confezionare maglioni e sciarpe da regalare a Natale del 2022. Vedere tanti, ma proprio tanti, tanti paesaggi diversi. Fare più attenzione. Concedermi qualche giorno di relax. Imparare a osservare. Piantare un ulivo. Andare a un concerto. Dedicarmi ai colori. Riciclare di più e sprecare di meno. Organizzare spettacoli pazzeschi in un piccolo teatro di quartiere. Sciare parecchio. Fare un viaggio in barca a vela. Trasferirmi in una casa con una lavastoviglie. Ricominciare. Leggere Tacito e Plutarco. Più film, meno serie. Smettere la raccolta differenziata e vivere in libertà finalmente. 42,195 chilometri. Diventare la regina delle verticali sulla testa. Dormire in un ryokan. Lavorare meno e giocare di più. Preparare una serie di copertine all’uncinetto. Pistol squat. Imparare a montare le cose. Leggere almeno un romanzo di fantascienza di Nnedi Okorafor. Passare più tempo nella natura. Realizzare quello dell’anno scorso. Sempre forza Lokomotiv Prenestino (verde e gialla). Il contrario del senso dell’umorismo. Roma-Ostia, non aggiungo altro. Spegnere il computer almeno una settimana all’anno. Godermi lo spettacolo dei miei figli che crescono. Diffondere i libri di bell hooks. Bere più vino. Risparmiare i nervi, e arrabbiarmi solo quando ne vale la pena. Leggere finalmente la Recherche di Proust. Non prendere un gatto. Andare a Mosca. Approfondire. Come ogni anno, questi sono i buoni propositi della redazione di Internazionale. E i vostri?

Accettante

 



Questa storia conferma oltremodo che la politica, come l’intende il Cazzaro, sia pura arte da saltimbanchi, oscurante definitivamente i grandi della risata nazionale.
Il grande clown di questa nuova narrazione si chiama Filippo Accetta ed è quello a destra del totem del nulla. Già capo degli ex detenuti e degli ambulanti, ad inizio agosto Accetta diventa pure leader dei No Vax - te pareva - riuscendo a coniugare, stressandoli, i pochi neuroni a disposizione con i molteplici incarichi, visto che non poteva chiederne in prestito qualcuno al suo leader, essendo quest’ultimo al riguardo in perenne deficit.
Ad agosto il segretario provinciale della Lega, Vincenzo Figuccia, organizzò una cena assieme al compendio dell’inettitudine nonché Cazzaro Magnum, ed Accetta vi partecipò con entusiasmo, e, probabilmente all’epoca, già aveva in mente il fantastico piano che ieri l’ha portato in galera: ha pagato infatti 450 euro per lucrare una finta vaccinazione, per lui e per i suoi due figli, quando si dice l’amore di un padre!
Filippo Accetta, che pare abbia accettato l’evidenza di essere un inarrivabile imbecille, è accusato di corruzione, peculato e falso. Pure l’impavida infermiera Anna Maria Lo Brano è stata sbattuta in gabbia, la telecamera nascosta ha rivelato infatti che codesta novella madame Curie svuotava le siringhe contenenti il vaccino dentro a del cotone, inserendo la siringa vuota nelle braccia degli adepti di questa nuova idiozia.
Ed ora ecco alcune dichiarazioni di Filippo Accetta, che come detto, dovrebbe aver accettato di essere un imbecille:
«Non mollate, bisogna resistere — è l’ultimo post prima dell’arresto — che a giorni ne sentiremo delle belle, la verità è vicina credetemi, la gente come noi non molla».
«Popolo sveglia, apritevi gli occhi, come ve lo devo dire… non basta con gli adulti, ora pure con i bambini se la prendono, dobbiamo solo resistere, la verità verrà a galla».
Sperando che venga buttata via la chiave, porgo cristianamente i migliori
auguri
di Buone Festa a Filippo Accetta, Anna Maria Lo Brano, Vincenzo Figuccia ed infine pure a lui, il bignami della fesseria, il rabdomante mai domo ad immergersi in ineguagliabili figure di merda, il Cazzaro per antonomasia.
A tutti loro, naturalmente, aggiungo l’oramai classico “vaffanculo” in modalità jingle bells!

Daje Marco!

 

Mente sapendo di smentire
di Marco Travaglio
La notizia più esilarante fra quelle, già spassosissime, sulla corsa al Quirinale è che c’è ancora qualcuno che parla con Zerovirgola. Memori delle rocciose prove di affidabilità fornite nei suoi primi e ultimi 10 anni di carriera politica, diversi leader o presunti tali di destra, di centro e di sinistra trattano con lui sul futuro capo dello Stato che, ça va sans dire, dev’essere “condiviso”. Con chi? Ma con lui. Il fatto che lo Statista di Rignano non abbia mai mantenuto la parola data in vita sua, è un dettaglio trascurabile, in una classe politica affetta da una coazione a ripetere a livelli sadomaso. Stiamo parlando di uno che si fece eleggere segretario del Pd col programma di Grillo e poi realizzò il programma di B.. Uno che giurò fedeltà al governo Letta e poi lo rovesciò nello spazio di un mattino, anzi di untweet (“Enricostaisereno”). Uno che promise a Gratteri il ministero della Giustizia e poi ci piazzò Orlando. Uno che fece il Patto del Nazareno con B. impegnandosi a condividere il successore di Napolitano e poi si elesse da solo Mattarella, mentre l’altro che sperava in Amato restò con un palmo di naso, anzi di nano. Uno che giurò di ritirarsi per sempre dalla politica se avesse perso il referendum, poi lo straperse ed è ancora lì (anche se, coerentemente, si occupa soprattutto di affari). Uno che trattò con Di Maio per il governo 5Stelle-Pd, poi andò da Fazio e disse che non ci pensava proprio. Uno che un anno dopo propose il governo 5Stelle-Pd contro Salvini e, appena nacque il Conte-2, si scisse dal Pd per farsi un partito dopo aver detto peste e corna di tutte le scissioni, e prese a trescare con Salvini per buttar giù Conte e riportare su Salvini, fallendo solo a causa del Covid.
Ci riuscì 14 mesi dopo, mentre fingeva di trattare sul Conte-3, poi prese a dire che il governo Draghi l’aveva inventato lui (per la gioia di Draghi, immaginiamo): come uno che scassa la sua macchina e poi si vanta perché arriva lo sfasciacarrozze o un piromane che incendia il suo palazzo e poi si pavoneggia per l’intervento dei pompieri. Uno che chiedeva a tutti i politici di esibire il loro estratto conto perché chi sta in Parlamento non deve fare affari, poi corse a incassare da Bin Salman e si mise a piagnucolare perché i pm rovistavano nel suo conto corrente e i giornali ne parlavano. È per questo pedigree che l’altro Matteo, la cui affidabilità è quasi altrettanto proverbiale, tratta con lui sul Colle. E lo fa pure quel gran genio di Miccichè: “Renzi mi ha detto che voterà Berlusconi”. L’altro ovviamente l’ha negato. Ora, visti i precedenti, non si sa se abbia mentito quando gliel’ha detto o quando l’ha smentito. Ma è probabile che, violando pure il principio di non contraddizione, abbia mentito sia la prima sia la seconda volta.