giovedì 4 settembre 2025

 


Sono passati già dieci anni da questa terribile foto, preludio della scomparsa della civiltà, dell’umanità da questo sgangherato pianeta. 

Dieci anni fa questo bimbo provocò un’enorme sdegno comune, un pianto di cuori liberi che scosse le menti degli idioti al potere. Ma la nostra comune nemica, madame Assuefazione, lavorò subliminalmente, come un batterio, ovattando quasi alla perfezione i moti naturali e di pensiero capaci di farci inorridire, provocando moti quasi insurrezionali. Oggi, a dieci anni di distanza, insonorizzati come siamo, restiamo inerti ed inermi dinnanzi al martirio di migliaia di compagni di questo bimbo, imbrigliati da plotoni di idioti al potere indaffarati a cercare il nemico per spendere miliardi in armi, proteggendo quella che, secondo loro, è l’unica democrazia del medio oriente di stokazzo! Barbarie e barbari hanno preso il sopravvento, tra somme idiozie e torpori insufflati da media condiscendenti. Quel bimbo fu monito inascoltato, grida nel deserto, preannunzio di sciagure epocali già in atto graniticamente. 

Fine del nepotismo

 


Quattrocentomila euro all’anno, sgombrando finalmente il campo da vaghe idee di nepotismo, perché questo è ragazzo capace, ideale per la presidenza dell’Aci, e non c’entra nulla il fatto che di cognome faccia La Russa! E pure Geronimo!

L’Essenza

 


Ecco l’utilità, l’essenza, la fragranza del cinema! The voice of Hind Rajab” che racconta gli ultimi giorni di vita della piccola palestinese Hind, uccisa, assassinata a Gaza, riscuote un’ovazione di oltre venti minuti, scuote coscienze, rendendo sempre più netta la differenza tra normodotati e orchi aguzzini, tra persone sane di cuore e balordi silenti come la nostra, la loro premier. Film prodotto da Joaquin Phoenix, quest’opera un giorno potrebbe lenire il disprezzo di chi ci succederà quaggiù, visto che saranno attoniti nel comprendere come nessuno dei cosiddetti potenti fece qualcosa per evitare questo genocidio, a parte dichiarazioni fetecchie che lasciano il tempo che trovano perché pronunciate da idioti misteriosamente ancora al potere.

Realtà

 

La Sicilia del Ponte, dove tutte le strade portano a un buco
DI ANTONELLO CAPORALE
Inviato a Messina e Siracusa. In attesa del Ponte, che ancora non c’è, si arriva a Messina al solito modo: Caronte traghetta, e siamo al monopolio o quasi, tutto nella norma. Prendiamo il treno per Catania, che non c’è per via del doppio binario in costruzione. C’è invece l’autostrada. “In coda ogni giorno, anche un’ora e mezza”, dice Gianni, 48 anni, trasportatore “di cui venti vissuti da fermo, in coda come sempre”.
Se in Calabria il binario è morto, qui in Sicilia tutte le strade portano a un buco, a un tunnel, a una voragine spesso attesa. E ogni questione semplice si fa complessa. Esempio? La Sicilia è assetata anche per via della più straordinaria costruzione di una diga che la storia contemporanea ricordi: quella di Blufi, sulle Madonie. Dovrebbe servire a far bere la porzione dell’isola, quella a sud tra Agrigento e Caltanissetta, sempre assetata. Ma per 60 anni opere, varianti, rescissioni contrattuali, indagini, intoppi: e dunque zero carbonella. Ideata nel 1964, annunciata alla metà degli anni Ottanta, poi alla fine del Novecento, poi agli inizi del nuovo secolo.
Tutto in Sicilia funziona così, nel senso che non funziona e non si aggiusta. Esiste l’istinto inerziale alla statica come soluzione politica, disegno filosofico, modo di vivere. Se lavori nel pubblico fare male e nel tempo allungato dell’altrui disperazione. Col Ponte sullo Stretto, e la voglia salviniana di dare gloria all’Italia nel mondo, si giungerà rapidamente nell’apocalisse della direttissima Messina-Palermo: viadotti, bretelle, sensi unici alternati. Calce, cemento, lavori in corso. C’è l’Anas che non smette di avviare le opere senza però terminarle, e c’è il Cas, consorzio autostrade siciliane, che neanche ci prova a iniziarle. “Abbiamo perso 330 milioni di euro già stanziati per il tratto che da Modica porta a Scicli perché il Cas, questa incredibile agenzia regionale che ostruisce invece di accelerare, non aveva pronto il progetto esecutivo”, denuncia Anthony Barbagallo, deputato del Pd.
La specificità siciliana è che le incompiute non hanno colore: sia quando governa il centrodestra sia il centrosinistra tutto rallenta, migra altrove, diviene un problema.
Mancano le strade ma nessuno se la sente di prendere il treno: “Da Siracusa a Trapani finisce che uno ci sta dentro un giorno intero”, dice Roberta, bottegaia di Gela, la città corrosa dalla mafia, infiltrata fin nelle ossa. Un esubero cementizio, un surplus di acciaio ossidato, di buche cittadine e ponti sbarrati. Sarebbero 48 mila le buche – secondo un conto di un movimento dei consumatori, sulla cui esattezza non ci sentiamo di giurare – in cui inciampano i siciliani ogni giorno. Poi ci sono i grandi vuoti. Gela, sud dell’isola, dovrebbe essere collegata al nord, a Tusa. Un filo che darebbe alla Sicilia interna mobilità, connessione, sviluppo. Enna, che ha i suoi problemi e vive in altura, distante dalla politica del palazzo dei Normanni ma anche dal mare che bagna in ogni suo lato questa terra bellissima, va dimagrendo anno per anno perché ha collegamenti precari e un corridoio nord-sud le servirebbe come l’aria. “Da Enna si scappa perché non c’è modo di resistere, non c’è connessione con il resto del mondo. Chiedo a Salvini: ci fa il Ponte e lo ringraziamo, ma poi ad Enna come ci si arriva?”. Così il professor Nisticò, ottant’anni di ferro, “con me latino e greco a campanello, al liceo promossi o bocciati, con me non esisteva l’esame di riparazione. Qui adesso è un ingorgo di ignoranti”.
Enna sta svilendosi per davvero e la conta degli abitanti, che l’anagrafe ufficiale stima in oltre ventottomila, invece regredisce rapidamente. È un albero che perde continuamente foglie: “È come essere senza futuro. Enna fa oggi 24 mila abitanti, e ne perderà ancora. Così come Nicosia, Mistretta, Leonforte”, dice Barbagallo.
La corsa per raggiungere Agrigento (la capitale della cultura, ricordate?) da Palermo è dentro l’esatto principio dell’odissea omerica. Dal bivio della Bolognetta in poi la percezione che i siciliani siano persone che mirano all’eternità. “Non è che non ci arrabbiamo, è che siamo disgustati, anzi sconfortati. Non ci facciamo più caso, non diciamo granché né di bene né di male, la politica così è”, dice il nostro Caronte, si chiama Ottavio, cittadino di Siracusa ma con il cuore dall’altra parte della Sicilia: “Vuoi venire a vedere cos’è la stazione di Alcamo? Le rondini tra le mura, i binari ormai arrostiti? La Sicilia è un buco nero anche per colpa nostra, diciamocelo”.
Il sole sempiterno, il mare meraviglioso, la cultura araba, la civiltà normanna, l’archeologia monumentale, l’agricoltura di eccellenza, il sottosuolo gonfio di gas, anche petrolio.
La Sicilia ha tutto, ma manca tutto. Catania, per dire, è l’unica città italiana decisamente metropolitana. L’area urbana conta un milione di abitanti e scivola lungo le pendici dell’Etna, comprendendo vari comuni. Metà di questa popolazione non gode di un servizio pubblico né su ferro né su strada. Aspettano l’Etnarail, la metropolitana leggera. Ma si farà?
Intanto, e siamo sempre dal professor Nisticò: “Solo un pazzo può pensare che con 15 miliardi di euro si realizza il Ponte. Vedrà che quando faranno i conti, perché a me risulta che non esiste un progetto esecutivo, i miliardi raddoppieranno, e quando faranno gli studi troveranno il mare che sbuffa, la roccia che scuote”.
L’opera se verrà alla luce collegherà rapidamente la Calabria rotta alla Sicilia incompiuta.
Magari da Polifemo in poi ciascuno ha sognato di raggiungere Cariddi senza l’aiuto dei remi. Ma l’isola dove ancora distribuisce carte Totò Cuffaro democristiano primordiale, deve accontentarsi della misura del passo di Renato Schifani, politico berlusconiano di seconda fila, giunto alla presidenza della Regione per volere di Ignazio La Russa, che gestisce da Palazzo Madama il traffico politico isolano, per un caso che Giorgio Mulè, compagno di partito di Schifani, destina alle curve diaboliche del potere: “La mia candidatura saltò per un cavillo anagrafico (la residenza in Sicilia ndr) e così si aprirono le porte per quello lì”.
L’imprevisto nell’isola dell’incompiuto. Ponte o meno, la Sicilia stagna sull’enorme fardello dei suoi stessi sprechi e sulla dimensione del suo tempo, ormai impunemente perduto.

Finzioni crosettiane

 

L’ira funesta
DI MARCO TRAVAGLIO
Leggo sul sito di Repubblica: “In Libano Israele lancia granate vicino alla missione Unifil. Ira di Crosetto: ‘Scelta, non errore’”. Ira ampiamente giustificata: ma come, noi siamo il terzo Paese fornitore di armi a Israele al mondo e Israele le usa per spararci contro? Cos’è, uno scherzo? Ora però c’è da tremare pensando a cosa porterà l’ira funesta del melìde Guido. Perché lui è buono e caro, ma quando s’incazza sono cazzi per tutti. Oggi potremmo svegliarci e scoprirci in guerra contro Israele. Metti che gli torni in mente quella simpatica filastrocca dell’aggressore e aggredito che andava di moda tre anni fa per Russia e Ucraina: qui l’aggressore dei nostri soldati in Libano è Netanyahu, quindi il Crosetto furioso potrebbe invocare il mitico articolo 5 della Nato per scatenarne i 32 eserciti contro l’Idf. Non solo. Metti che l’ira non gli sbolla e decida di girare ai palestinesi le armi destinate a Kiev (un po’ per uno non fa male a nessuno) per sostenerne l’eroica resistenza contro Netanyahu. Che basterà chiamare “orco” per ottenere l’arruolamento di Macron in un club di Volenterosi 2.0 appositamente dedicato a Gaza, con truppe, garanzie di sicurezza modello Nato, scudi aerei e satellitari anti-cyberattacchi, missili a lunga gittata per poter colpire in profondità in territorio israeliano, ’ndo cojo cojo, come in Russia. Ove mai non volesse arrivare a tanto, è scontato che il nostro fumantino ministro varerà immantinente sanzioni draconiane contro lo Stato di Israele e i suoi governanti, dal ritiro dell’ambasciatore, al blocco delle relazioni commerciali all’embargo sulle armi: 18 pacchetti di sanzioni, a occhio e croce, dovrebbero bastare. Anche per evitare che i palestinesi si facciano l’idea che la loro vita vale meno di un millesimo di quella degli occidentali. E poi, come dice sempre la Meloni, “la deterrenza innanzitutto: si vis pacem para bellum”. Quanno ce vo’, ce vo’.
A proposito di deterrenza. Il 14.10.2024 l’Agi titolò: “Attacco di Israele all’Unifil, l’ira dell’Italia. Crosetto: ‘Crimine di guerra, non è stato un errore né un incidente’”. Poi l’ira dell’Ue: “Attacco inaccettabile”. E l’ira congiunta di Francia, Italia e Spagna: “Basta attacchi all’Unifil”. Siccome a cotanta ira non seguì una cippa, il 15.10 una granata israeliana cadde sulla base italiana a Shama e fu un miracolo se non esplose ammazzando qualcuno. Voi non ci crederete, ma subito scattò l’ira di Crosetto e pure di Tajani. Che chiese “chiarimenti” al governo Netanyahu e lo ringraziò per la squisita “disponibilità”: “Mi ha garantito un’immediata inchiesta”. Nessuno ne seppe più nulla, se non che ieri Israele ha attaccato i caschi blu italiani coi droni, incurante dell’ormai proverbiale ira di Crosetto: questo Netanyahu dev’essere proprio un temerario.

L'Amaca

 

Una politica che tutti capiscono
di MICHELE SERRA
Nel composito equipaggio della Sumud Flotilla in rotta verso Gaza ci sono anche quattro parlamentari italiani(due eurodeputate). Sono del Pd, Avs, Cinquestelle. Faranno la stessa vita e correranno gli stessi rischi degli altri imbarcati.
È vero che la spedizione non è stata convocata “dall’alto”, nessun governo o istituzione ne avrebbe avuto la forza o il coraggio, o più semplicemente le buone idee non fioriscono più dentro la politica “ufficiale”. Ma in questo caso vale la pena sospendere le lagnanze e i rimbrotti: c’è una sintonia verificabile e attiva tra questi cittadini e alcuni dei loro eletti. Faranno, in questa occasione, la stessa politica, con gli stessi convincimenti e lo stesso obiettivo: sfondare almeno simbolicamente, e se possibile anche fisicamente, usando i loro corpi disarmati, il muro di segregazione eretto da Israele attorno a Gaza.
L’altra sera sulla Sette c’erano, in collegamento, Greta Thunberg e Elly Schlein e hanno parlato la stessa lingua, cosa tutt’altro che frequente quando a prendere la parola sono una attivista “di base”, per quanto celebre, e una leader di partito. Era piuttosto emozionante riscoprire (dopo quanto tempo?) che la politica può anche essere coinvolgente, potente e soprattutto facile da capire. Riconoscibile da chiunque sappia ancora farlo: il viaggio di quella gente verso Gaza rimanda alle pagine importanti della storia umana.

mercoledì 3 settembre 2025

Macabra Barza 2

 

C’è un cinese despota infoiato che incontra un russo da 25 anni al potere che debella avversari col polonio e un coreano che uccide col cannone chi non si spella le mani al suo passaggio…




L'incontro

 


Incontrai Emilio, ieri scomparso, il 29 agosto 2009 in occasione del primo derby senza Kaka, finito 0-4 per i cugini. 

Ero in tribuna e alla fine della partita, scendemmo in una sala dove passavano i vip provenienti dalla tribuna d'onore. Arrivò col suo maglioncino sulle spalle come quello in foto, abbronzato ed in procinto di andare al ristorante e chissà, forse a qualche cena elegante tipica dell'Era del Puttanesimo. Quando mi passò vicino gli dissi "Emilio fai qualcosa, parla con Silvio, digli che compri qualcuno!" 

Si fermò col suo classico sorriso sfanculatorio e mi disse "Guarda che LUI sa tutto, non c'è bisogno di dirgli nulla! LUI sa di cosa abbiamo bisogno, non ti preoccupare vedrai che tutto s'aggiusterà!" 

Ebbi un attimo di tentennamento: si riferirà a Silvio o all'Altissimo?  Fu solo un attimo però, visto che le due entità per lui erano le stesse. 

Personalmente l'ho sempre considerato un grandissimo comico, i suoi TG4 li gustavo come al sabato alle 13 guardavo le comiche sul secondo canale appena uscito da scuola. 

Erano irresistibili le foto dei "nemici di Silvio" che apparivano sullo sfondo, da Prodi a qualche altro comunista, presi in pose strane coi volti arricciati, smorfie incredibili che li rendevano grotteschi, mentre Silvio era sempre contornato da un alone divino, a conferma di quanto detto sopra. 

Penso che avrebbero dovuto esaudire il suo ultimo desiderio, essere sepolto nel mausoleo accanto al suo vate, se non altro perché "l'argomento" su cui dialogare per l'eternità lo avrebbero sicuramente avuto! 

Fai buon viaggio Emilio! 


Ci stordiscono


 Cyberbufale ibride

DI MARCO TRAVAGLIO
Problema: come convincere i popoli europei impoveriti da recessione, disoccupazione, precariato, inflazione e caro-energia, a impoverirsi vieppiù spostando altre centinaia di miliardi dal welfare al riarmo, dal burro ai cannoni? Piano A: raccontare che la Russia sta per invaderci e la Nato non ci difende più. Problema: purtroppo la gente vede susseguirsi i vertici Nato; ricorda che negli ultimi 30 anni è stata la Nato a espandersi 16 volte a Est e non la Russia a Ovest, almeno finché la Nato non iniziò a papparsi pure Kiev; sa che la Russia non ha bisogno di espandersi, essendo il Paese più vasto del pianeta, e che l’unico Stato extra-Ue ad attaccarne uno dell’Ue è stata Kiev coi gasdotti in Germania. Quindi, piano B: raccontare che con Trump non si sa mai e l’Ue deve riarmarsi almeno quanto la Russia. Problema: prima Cottarelli e ora l’Eda (Agenzia europea per la difesa) certificano che spendiamo in armi molto più della Russia (e pure della Cina). Senza avere nemici. Nel 2024 – cioè prima Rearm Eu da 800 miliardi e dell’aumento della quota Nato al 5% – la spesa militare dei Paesi Ue è stata di 343 miliardi (+19% sul 2023): un terzo in più della Russia, che a parità di potere d’acquisto ne ha spesi 234, dovendo fra l’altro finanziare una guerra e mantenere il più grande esercito e il primo arsenale nucleare del mondo. Ergo, piano C: Putin ci sta già attaccando con la “guerra ibrida”. E, siccome la fanno tutti, bisogna sfornare 2-3 cyber-attacchi russi al giorno per dimostrare che lui ne fa più degli altri.
L’ultimo domina le prime pagine dei quotidiani di ieri: “Ursula, l’aereo in tilt: la pista russa” (Corriere), “Nel mirino dei russi il jet di Von der Leyen” (Rep), “Ombre russe sul volo di VdL” (Sole 24 Ore), “Putin-Europa, il fronte dei cieli” (Stampa), “Sabotato il volo di Ursula. L’Ue: ‘Sono stati i russi’”, “La ‘Guerra fredda’ del Gps che minaccia gli aerei europei” (Messaggero), “Putin minaccia i nostri aerei” (Giornale), “VdL e il giallo dell’aereo. I sospetti dell’Ue: ‘Interferenze russe’” (Domani). Qualcuno ha verificato la notizia? Ci mancherebbe. È bastato che un portavoce della Commissione affermasse che “le autorità bulgare sospettano una palese interferenza da parte della Russia” nota per le sue “minacce e condotte ostili”. Purtroppo il ministro dell’Interno bulgaro Mitov ha subito “escluso categoricamente un attacco informatico”. Il maggior sito di tracciamenti aerei, Flightradar24, ha notato che il volo è atterrato con appena 9 minuti di ritardo e “il transponder segnalava una buona qualità del segnale Gps dal decollo all’atterraggio”. Persino Crosetto ha “qualche dubbio”. Ma la libera stampa no. Ci prendono per fessi e, se continuiamo a bere tutto senza ribellarci, hanno ragione loro.

L'Amaca

 

Il paradiso dei farabutti
di Michele Serra
L’unica maniera per levare le proprie immagini (rubate) dal noto sito per guardoni del quale tanto si parla era: se paghi, accettiamo di togliere le tue foto.
Essendo quelle immagini refurtiva, è la vecchia logica dell’estorsione. “Ti hanno rubato il motorino? Se mi dai cinquecento euro te lo faccio ritrovare sotto casa. E ti faccio pure un favore”. In genere, è quello che ti ha rubato il motorino.
Si deve prendere atto, anche se sgomenta, che quella logica — che castiga la vittima e premia il delinquente — in rete è legge. In rete è consentito agire sotto anonimato (ferale, imperdonabile vizio nativo di quel mondo, fonte di ogni successivo disastro) e si è messi di fronte al fatto compiuto: furti di identità, furti di immagine, false notizie su personaggi pubblici usate come esca per lenzuolate pubblicitarie. Ed è sempre a carico del derubato, del calunniato l’onere della prova: sei tu che devi dimostrare di essere tu, mentre chi ti ha rubato il nome e il volto lo fa impunemente. E anche se riesci a dimostrarlo, che tu sei tu, il tuo rapitore quasi sempre continua a tenerti in ostaggio, perché le piattaforme, la cui etica ha più buchi di un gruviera, trovano comodo e conveniente mantenere alto il traffico, e scomodo e costoso tutelare la dignità delle persone.
Esemplare — tra mille — il caso del poeta per bambini Bruno Tognolini. Da un anno e mezzo uno o più mascalzoni gli hanno “scippato” il sito Yahoo e usano il suo nome, e le sue poesie, per pubblicizzare il gioco d’azzardo. Per bloccarli le ha tentate tutte: denunce, ricorsi, è in ballo anche una interrogazione parlamentare. Risultati: zero.
I titolari di quel sito fraudolento sono inconoscibili. Impuniti e impunibili. Che volete che gliene freghi, ai padroni della rete, di un poeta per bambini.

martedì 2 settembre 2025

Ricordi

 Lo scemo del bar quello su cui, dopo il caffè, passavi misericordiosamente la mano sulla nuca…






Ricconi e sbruffoni

 

Macron deve incolpare il dumping del fido Renzi
DI DANIELA RANIERI
Italia paradiso fiscale per riccastri di tutto il mondo, seconda parte. La notizia pubblicata dal Financial Times secondo cui sotto il Duomo di Milano si stanno riunendo i super ricchi di ogni Paese approfittando della legge fiscale italiana molto lasca nei confronti dei loro patrimoni (ci volevano i britannici per scoprirlo), è arrivata fino in Francia, causando un rosicamento mai visto del premier François Bayrou.
Ora questo Bayrou, una specie di Tajani messo lì da Macron dopo la caduta del governo di Michel Barnier, l’esponente di un partito di destra arrivato ultimo alle elezioni e quindi a sua volta nominato da Macron purché al governo non andasse qualcuno del Noveau Front Populaire, l’unione delle sinistre guidate da Mélenchon che le elezioni le aveva vinte, ha accusato l’Italia di praticare “dumping fiscale”, cioè in sostanza di rubare i ricchi alla Francia, grazie alla tassazione favorevole. Il nostro governo, che non ha niente a cui pensare, ne ha fatto un caso diplomatico (“L’ira di Palazzo Chigi”, Corriere), a pochi giorni da quello causato da Salvini, che aveva invitato Macron ad “attaccarsi al tram” in merito alla proposta di mandare truppe in Ucraina. Allora si era espresso anche Renzi, subito interpellato da Repubblica in quanto statista e uomo di mondo, il quale aveva naturalmente preso le difese di Macron contro quel peracottaro di Salvini; ma il caso attuale dà luogo a uno spassoso cortocircuito, per cui – seguiteci – questo Bayrou, pura emanazione macroniana, ha deprecato una misura fiscale inventata e varata non già dal governo Meloni, bensì proprio da Renzi, che di Macron è da sempre il più affermato esegeta e supporter, anzi: per i nostri giornali ne è una specie di doppelgänger, scaltri e vincenti come sono entrambi. Non solo: si dà il caso che Renzi aveva fissato la quota della flat tax per i milionari (di cui en passant fa parte) a 100 mila euro, mentre Meloni l’ha alzata a 200 mila.
Capite che è un caso psicologico: che farà adesso Matteo? Difende Bayrou, e quindi il suo mito Macron (di cui imitava pure i pranzi al sacco in maniche di camicia bianca, come quei picchiatelli vestiti da Elvis che si fanno fotografare nei motel e nelle sagre del bisonte nel Wisconsin), o la sua legge del 2016? Il post che scrive su X a seguito del fattaccio è alquanto arcano: “Quelle che Bayrou chiama politiche di dumping fiscale sono scelte fatte dal mio Governo nel 2016. Il mio amico François evidentemente non è informato. Il dumping non lo fa l’Italia. Il Governo francese impari a riconoscere gli alleati dai nemici”. Questo insieme di frasi accroccate senza nessuna relazione l’una con l’altra chiude il fronte “è stato Renzi a introdurre il forfait per i super-ricchi” (ma va’? Noi pensavamo ci stessero indagando i Ris di Parma) e ne apre un altro: con chi ce l’ha, Renzi? Chi fa dumping? L’Arabia Saudita? Il solito Lussemburgo? La classica Svizzera? A dire il vero, proprio la Svizzera, la cassaforte dei nostri più incalliti evasori, recentemente si è risentita con noi perché due manager di peso hanno lasciato Ginevra per prendere la residenza da noi (v. Palombi sul Fatto del 19 agosto), denunciando la nostra concorrenza sleale nell’imbarcare i riccastri egiziani, russi, arabi che ormai preferiscono il provolone agli orologi di precisione. Quindi Bayrou deve essersi già informato: se c’è qualcuno che fa dumping in Europa, quella è l’Italia, se è vero, come è vero, che nel corso di quest’anno sono attesi circa 3600 nuovi ricconi (conosciuti nell’ambiente con l’acronimo Hnwi, che sta per High Net Worth Individual, individuo ad alto patrimonio netto, tra i 5 e i 30 milioni di euro). Meloni e il sottostante Tajani si sono indignati, ma non si capisce perché: non è esattamente il programma di governo (e non solo: del neoliberalismo tutto) quello di attirare gli abbienti ed espellere i poveri, sia stranieri che italiani?
A concorrere all’effetto comico del tutto, il fatto che Bayrou, che rischia di andare a casa tra una settimana perché i governi assemblati da Macron si tengono su con lo scotch, ha tirato fuori questa cosa del dumping fiscale per spaventare i francesi con lo spauracchio di una patrimoniale per i ricchi ventilata dai socialisti per rianimare le casse dello Stato. È l’orco che il blocco borghese tira fuori ogni volta che si parla di alzare un pochino le tasse a questi poveri ricchi, costretti a migrare con la loro ventiquattr’ore piena di banconote per tutta l’Europa in cerca di una tassazione più umana. È il motivo per cui ogni elezione tutti i media padronali fanno il tifo per il fantomatico “centro”, incarnato da Renzi e Calenda, i quali – stando ai giornali borghesi – dovrebbero poter contare almeno sul 30% dei voti, invece inopinatamente ne hanno meno di un decimo, segno che questi super ricchi hanno preso la residenza in Italia, ma non hanno ancora la cittadinanza per votare.

Pugliesemente

 

La notte della taranta
DI MARCO TRAVAGLIO
Ci vorrebbe un enigmista, o uno psichiatra, per spiegare il caso Puglia. Un anno fa la destra tentò la spallata elettorale con la minaccia di commissariare per mafia il Comune di Bari, allora guidato da Decaro, senza alcun presupposto: un autogol che favorì Decaro. Poi, fra Comune e Regione, furono indagati vari trasformisti di destra che Decaro e il suo predecessore Emiliano passato in Regione avevano reclutato proprio per i motivi oggetto delle inchieste: i voti di scambio (anche comprati a 50 euro l’uno). Decaro, scaduto il secondo mandato, traslocò in Europa con 495.774 voti, il suo braccio destro Leccese andò al Comune e la destra continuò a non toccare palla. Tant’è che, ora che si vota per la Regione, non trova un candidato a perdere. Ma mai disperare, se c’è di mezzo il Pd dei buoni a nulla capaci di tutto: persino di perdere un’elezione già vinta anche se nessun altro si presentasse. Decaro, dopo un anno a Bruxelles, si candida a succedere a Emiliano. Che, dopo due mandati da presidente, si candida a consigliere regionale. Il fido capogruppo Boccia e la segretaria Schlein sono con lui.
Siccome l’appetito vien mangiando, l’ex presidente Vendola (due mandati fino a dieci anni fa) annuncia che farà lo stesso con Avs. E pazienza se è stato condannato a 3 anni e mezzo per concussione nel processo Ilva “Ambiente svenduto”, poi annullato per ripartire da zero a Potenza e lì riposare in pace per prescrizione. Processo nato dalle denunce del verde Bonelli, che plaudì alle condanne e accusò Vendola di “delegittimare la magistratura come fa la destra sul processo a Salvini”. Vendola tuonò contro i “piccoli avvoltoi che usano cinicamente la Puglia per costruire fortune elettorali” e nel 2018 fece saltare a Bonelli la candidatura alle Politiche perché “semina odio e menzogne con violenza e volgarità e vuol portare Taranto alla guerra civile”. Bonelli tornò in Parlamento nel ’22 in duo con Fratoianni, già assessore e coimputato di Vendola (accuse prescritte). E ora difende Vendola dai “veti del Pd”, che in realtà non può imporne in casa d’altri visto che non ne mette in casa propria. Così Decaro medita di restarsene a Bruxelles perché non gli levano dai piedi Emiliano&Vendola e non vuole altri galli nel pollaio: tre sistemi di potere di centrosinistra in una sola Regione sono troppi anche per un ras delle preferenze come lui. In questo stallo messicano tutto interno alla “sinistra”, sarebbe bello sapere perché la Schlein tace. Non sa cosa dire? Sostiene Emiliano per logorare Decaro nelle sue ambizioni da leader? Ha un formidabile piano B che nessuno conosce? Sia come sia, gli elettori assistono increduli a quest’infinita notte della taranta. E, sanità regionale permettendo, attendono l’arrivo dell’ambulanza.

L'Amaca

 

Spargere dollari sulle rovine
di MICHELE SERRA
Solo la satira (vedi Una modesta proposta di Swift) poteva concepire qualcosa di simile al piano di eradicazione dei gazawi da Gaza per fare di quel litorale un resort di lusso. Eliminare i poveri e spianare le loro case per fare posto ai ricchi in vacanza. Il beffardo procedimento logico di Swift (è socialmente utile, scrisse il grande irlandese, che i bambini poveri vengano dati in pasto ai ricchi, così da problema diventano risorsa) fu identico a quello degli odierni pianificatori americani e israeliani: con la differenza che passa tra un pamphlet satirico, il cui scopo era mettere in luce la mostruosità del classismo, e un progetto economico-politico che in quella mostruosità invece confida, la propugna e la vuole mettere in atto.
È difficile immaginare una visione più disgustosa e violenta del mondo, ma tant’è, questo è il menù che passa il convento: ecco un business che si nutre di sterminio, deportazione, esproprio, umiliazione. Sulle rovine della città distrutta, per impedire ad alcuno di rimpiangerla o peggio ricostruirla, non spargeranno sale ma dollari: e ne saranno anche fieri, convinti di avere bonificato, con i loro resort di merda, la morte sottostante.
Se mai vedremo (e niente, in questo momento, ci sembra impossibile) un tale abominio, saremo autorizzati a considerarlo un significativo test su ciò che resta di umano, tra gli umani: odiare New Gaza, i suoi progettisti, i suoi costruttori, i suoi frequentatori, per quanto mi riguarda sarà condizione indispensabile per continuare a considerarsi umani. E come i lettori sanno, odiare non è un verbo che spendo con spensieratezza.

lunedì 1 settembre 2025

Perché finisce sempre così?

 

Debiti non pagati, opere rinviate e la montagna sventrata: ecco l’effetto delle Olimpiadi 2026 su Livigno | Foto

Sarà il contenitore ludico dei Giochi di Milano-Cortina, con effetti pesanti sull'ambiente e i lavori promessi ultimati (forse) dopo la manifestazione. Anche i cittadini denunciano gli sprechi e il "disastro naturale"
Debiti non pagati, opere rinviate e la montagna sventrata: ecco l’effetto delle Olimpiadi 2026 su Livigno | Foto
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LIVIGNO – Due decreti ingiuntivi contro Società infrastrutture Milano Cortina 2026 per il pagamento di forniture e servizi per 580mila euro. Il nuovo parcheggio interrato del Mottolino da 34 milioni di euro che verrà ultimato solo a fine settembre 2026. Un impianto di risalita da 44 milioni di euro irrimediabilmente rinviato a dopo le Olimpiadi. Un bacino a quota 2.600 metri, per consentire l’innevamento artificiale. Infine, una serie di interventi che hanno sbancato i due splendidi versanti, con conseguente disboscamento e alterazione massiccia della morfologia. Più ci si avvicina alle Olimpiadi, più Livigno si sta trasformando in un contenitore ludico, nel teatro di rappresentazione delle gare molto spettacolari di Freestyle Skiing Moguls, Snowboard, Snowboard Cross e Halfpipe, che sono destinate a lasciare un segno pesante nell’equilibrio ambientale di una valle incantata. A documentarlo, al di là dei cantieri disseminati nel paese ai confini con la Svizzera, c’è anche una mostra di controinformazione e denuncia realizzata da alcuni cittadini.

DEBITI NON PAGATI – Almeno una decina di imprese lombarde, trentine e friulane, come denunciato da ilfattoquotidiano.it, avanzano qualche milione di euro per forniture e lavori eseguiti nel parcheggio interrato al Mottolino. I rapporti economici erano tenuti, in qualità di fornitori, con un paio di società che sono state sostituite nell’appalto durante l’estate 2024. Così hanno consegnato micropali e altro materiale necessario per sostenere la collina e la costruzione interrata, ma non sono stati pagati. Hanno scritto lettere alla società pubblica Simico che si sta occupando della realizzazione degli impianti pubblici, ma finora hanno ricevuto rifiuti, sulla base dell’assunto che gli impegni erano stati assunti da imprese private. La trentina Tecnoimpianti aveva però firmato un contratto che vincola Simico, almeno in una delle due commesse, a sopperire in caso di mancato pagamento. Il titolare Michele De Francesco ha così notificato a Simico due decreti di ingiunzione, chiedendo la liquidazione di 280mila e 300mila euro. La risposta di Simico è stata l’impugnazione: non vuole pagare sostenendo che la questione non è di competenza di Trento, ma di Roma, in ogni caso sono pendenti contenziosi civili e un arbitrato tra le parti private coinvolte. “Noi siamo imprese che lavorano, lo abbiamo fatto, ma non ci vogliono dare il corrispettivo. È vergognoso. Se questa è la gestione delle Olimpiadi…” commenta con amarezza e rabbia De Francesco.

IL PARCHEGGIO DOPO I GIOCHI – Che il parcheggio avesse dei problemi lo dimostra la lentezza dei lavori. L’appalto è stato assegnato nella primavera 2024, il contratto firmato il 29 maggio. Simico aveva assicurato la conclusione dei lavori entro il 30 ottobre 2025. Aggiudicataria è risultata Ar.Co. Lavori scc di Ravenna. Tre le consorziate esecutrici: Baronchelli Costruzioni Generali srl di Novate Milanese, C.R.S. Impianti e costruzioni spa di Gorle (Bergamo), C.R.T. Group di Borgomanero (Novara). Baronchelli e Crt si sono consorziate in Mottolino 2026. Nel luglio 2024 Ar. Co. ha sostituito le consorziate con Livipark, una nuova società consortile (Hana e Seli Manutenzioni Generali). Ciò ha comportato ritardi, infatti nell’ultimo aggiornamento di Simico sullo stato dei lavori risulta che solo la copertura del parcheggio da 500 posti auto sarà ultimata a metà ottobre per consentire l’arrivo delle gare, mentre la parte interrata finirà tra un anno. Così sarà realizzato un parcheggio provvisorio all’aperto nello splendido prato del Mottolino.

I VERSANTI SVENTRATI – Come documentano le fotografie e il masterplan in corso di realizzazione, lo sbancamento al Mottolino è imponente. Centinaia di larici e abeti sono stati tagliati. I livelli sono stati modificati e qualche decina di cittadini si è vista occupare aree di proprietà. Lo stesso è accaduto sul versante opposto, con la realizzazione di gobbetrampolini, strutture di gara, mentre sono in corso di installazione impianti provvisori per atleti, tecnici e pubblico di Aerials & Moguls. Praticamente ci si trova di fronte a un ambiente artificiale, che farà forse la gioia di praticanti e appassionati, molto meno di chi ama la montagna nella sua naturale bellezza.

UN BACINO ALPINO IN QUOTA – Lo sbancamento è ancora più evidente se si sale in quota, sul Monte Sponda, dove si sta lavorando a un bacino artificiale da 22 milioni di euro, a servizio della venue di gara dello snowboard. Pochi giorni fa il leghista Alessandro Morelli, sottosegretario alla politica economica del governo Meloni, ha pontificato: “E’ un cantiere pazzesco, consentirà di avere le piste sempre completamente innevate ed è uno dei grandi doni delle Olimpiadi che rimarranno sul territorio”. Al di là dello scempio ambientale, c’è da sottolineare come non verrà pagato con gli incassi delle Olimpiadi, ma dai contribuenti italiani.

CABINOVIA RINVIATA – Va alle calende greche un collegamento a fune in due tratti fra i versanti contrapposti, con un nuovo parcheggio interrato per altre 500 auto. Simico aveva annunciato il fine lavori per gennaio 2026, un mese prima delle Olimpiadi. È stato tutto accantonato a causa dei ritardi e della mancanza di costruttori. L’avvio dell’appalto è annunciato per settembre 2025, l’inizio lavori per il prossimo novembre (piuttosto improbabile visto che si stanno allestendo le aree di gara) e la conclusione solo nel luglio 2027, un anno e mezzo dopo la consegna prevista.

FOTO DI CONTROINFORMAZIONE – Nei locali di una ex pizzeria è stata allestita una mostra che denuncia gli sprechi e i danni ambientali provocati dalle Olimpiadi. A promuoverla sono due cittadini dissidenti, Savio Peri e Carletto Bormolini, che dicono: “Sono Olimpiadi sostenibili o un disastro naturale? Sono state calate dall’alto dai politici, senza aver coinvolto i cittadini a cui sono stati espropriati i terreni. Amministratori, vergognatevi”.