mercoledì 30 giugno 2021

La Fine


Lo scempio del Grillo travolge quella strana idea di normalizzare il Paese, rendendolo dignitoso. Con magagne ed inesperienza eclatanti, il tentativo di riportare la democrazia nella nazione è deflagrato con l’editto bulgaro dell’Elevato, geloso di veder in tolda quell’avvocato che in Europa riuscì a far convogliare duecento miliardi sopra queste terre stravolte dalla pandemia. Il moto ondoso vergognoso che accerchiò l’allora Premier, rappresenta ancora oggi la cartina tornasole di come e quanto fastidio dette ai cosiddetti poteri forti. Basta infatti assistere all’indecoroso circo mediatico per averne conferma: il neo psicolabile Comico infatti è riuscito nell’intento di far esultare l’Ebetino al duepercento, i Giornaloni di proprietà di riccastri, il Minzo che riesce a farneticare dal basso della direzione di quell’opuscolo comico di proprietà di un pregiudicato; parlano irridendo ragione e dignità esponenti del partito azienda, i fascisti camuffati guidati da Sora Cicoria, i seguaci del Cazzaro, la Maglie, la Santanché, Gasparri, Gasparri, Gasparri che sbeffeggia il dietrofront ai due mandati, si proprio lui da oltre vent’anni inspiegabilmente in parlamento! Dietro nella penombra, godono camerieri e bibitari fingendosi addolorati da tale scempio ma in cuor loro ebbri di felicità per l’abbraccio a quella inamovibilità, marchio di fabbrica di lorsignori. 
È stato un sogno, quasi realizzato, da cui da tempo ormai mi sono discostato, scuotendomi pure la polvere dai calzari. L’arroganza di un insano cabarettista ha messo fine ad un progetto di liberazione, inscatolando trance di tonno oramai datati, perduti nei meandri dell’inverecondo teatrino dell’affarismo portato all’eccesso, che allocchi ed infatuati continuano a definire politica.

martedì 29 giugno 2021

Travaglio!


L’alternativa qual è?

di Marco Travaglio

Ieri Conte ha ributtato la palla nel campo di Grillo, ma con dentro una bomba a orologeria che ha già iniziato a ticchettare: quella della democrazia diretta, cioè del voto degli iscritti ai 5Stelle pro o contro il suo progetto di rifondazione del Movimento. È stata un’operazione di chiarezza davanti a tutti gli italiani: a quelli che ancora votano M5S (e sono tanti, a dispetto dei santi), a quelli che non li votano più ma si astengono in attesa di un nuovo motivo valido per farlo (e sono altrettanti), a quelli che non li hanno mai votati ma potrebbero cominciare a farlo se nascesse una cosa nuova, e a quelli che mai li voterebbero. Nessuno d’ora in poi potrà dire di non aver capito le ragioni dello scontro fra i due Giuseppe in quello che resta in Parlamento il partito di maggioranza relativa. Qualcuno aveva tentato di immiserirlo a una lite da portineria: uno che sbeffeggia, l’altro che fa l’offeso, prende cappello e pretende le scuse. Ecco: nulla di tutto questo. La questione non è personale: è politica, anche se il rapporto umano fra Conte e Grillo al momento è ai minimi storici e non sarà facile ricostruirlo.

Bene ha fatto l’ex premier a chiarire che non c’è alcun golpe o complotto per sfilare a Grillo la sua creatura, ma l’esigenza di tracciare i confini delle funzioni dell’uno e dell’altro nel movimento che lo stesso Grillo ha chiesto a Conte di ricostruire su basi nuove. Il capo fa il capo e il garante fa il garante, ma il garante conterà sempre più del capo perché il suo mandato è a vita e perché conserva il potere di proporre agli iscritti di sfiduciare l’altro. Fermo restando che il garante è anche il fondatore e qualunque sua sortita avrà un peso infinitamente superiore a quello codificato da qualsiasi regola statutaria. Quella di Conte non è una pretesa prevaricatrice, ma il minimo sindacale delle garanzie per poter avviare il percorso di “riossigenazione”. Un’avventura che, a giudicare dallo zoccolo duro tuttora legato al “marchio” (15-17%), dalla breve distanza dai tre partiti maggiori e dalle attese che Conte suscita nel Paese, può ancora riportare il M5S in cima al podio. Tutto ora dipende dall’intelligenza e dalla generosità di Grillo, che della prima abbonda e della seconda difetta. Ma le parole ferme e al contempo distensive pronunciate ieri dall’ex premier costringono il fondatore a scegliere, e in breve tempo. Se salta la leadership Conte, l’alternativa qual è? Dov’è un altro capo in grado di risollevare i 5S dopo un eventuale no a (o di) Conte? E soprattutto: come potrebbe il teorico della democrazia diretta negare agl’iscritti il diritto di voto sul progetto di Conte? Dopo mesi di battaglia politica e legale, Conte ha restituito al M5S la lista degli iscritti sequestrata da Casaleggio jr.. E ora Grillo che fa: li tratta da soprammobili?

Articolo

 

I valori fondanti
di Mattia Feltri
Caspita però quest'Europa, piena d'acciacchi e tenuta assieme col mastice, ma ancora vibrante di dignità sui valori fondanti. A Viktor Orbán non l'ha fatta passare liscia: con l'inevitabile unanimità sollecitata dalla misura colma, i capi di governo hanno messo l'ungherese all'angolo per la sua legge omofoba, in effetti una legge da teppista della democrazia, teppista qual è non da ieri ma da molti anni. In particolare mi ha acceso di ebbrezza la protesta del premier svedese: parlando del Recovery, si è detto indisposto a finanziare certe canagliate coi soldi dei suoi contribuenti. Pensate la disdetta: quando mesi fa si pensò di vincolare il Recovery al rispetto dello stato di diritto, l'Unione, allora molto meno ardente, in pratica un'acqua cheta, per non dispiacere al suddetto Orbán decise di demandare la questione alla Corte di giustizia, che si pronuncerà in un paio di comodi annetti. Quindi intanto i soldi si sganciano. E disdetta bis - sarà stata la frenesia - nulla da dire sulla legge che impone agli ungheresi, al capriccio dei datori di lavoro, di affrontare straordinari rigorosamente non pagati. Persino se i datori di lavoro fossero, per puro caso, tedeschi o francesi o italiani. Infine, disdetta ter, la riunione precedente convocata sull'emergenza dei migranti è durata solo qualche minuto, perché tanto non c'era niente da dire: una soluzione non si trova e forse nemmeno si cerca. Disdetta delle disdette, poiché negli ultimi venti anni, secondo stime necessariamente approssimative, di migranti nel Mediterraneo ne sono annegati più di quarantamila. I famosi valori affondanti.

Vai Marco!

AAA coglione cercasi
di Marco Travaglio
Nel 1997, dopo tre anni di direzione del Giornale al posto di Indro Montanelli, Vittorio Feltri se ne va. E Berlusconi (Silvio, non Paolo, sedicente editore) offre la direzione al cofondatore del quotidiano: Enzo Bettiza. Il quale accetta per qualche minuto, finché scopre che sarà direttore per finta, perché quello vero è Maurizio Belpietro: “Una cosa mai vista né sentita, un contratto nel quale si legge: ‘È escluso che lei possa avere responsabilità di indirizzo e di intervento nell’organizzazione aziendale’. Volevano un pennacchio, un francobollo nobile. Mi proponevano una sinecura ben retribuita: io a bighellonare come un perdigiorno nei corridoi, un fondo domenicale, qualche commento. Ma poteri zero, anzi uno: quello di sciropparmi, da direttore responsabile che non può dirigere nulla all’infuori di se stesso, tutta la grana delle tantissime querele che affluiscono al Giornale feltriano. Hanno tentato il vecchio metodo di issare un blasone moderato per tenere buoni i lettori liberali e conservatori. Ma in realtà vogliono conservare il feltrismo senza Feltri”. Inutile dire che, dopo il gran rifiuto di Bettiza, Berlusconi non trova nessuno: cioè il povero Cervi, Belpietro, Giordano, ri-Feltri, Sallusti, fino alla comica finale di Minzolini. La stessa mossa berlusconiana ha tentato Grillo per i 5Stelle, immaginando che Conte avrebbe accettato di fare il re travicello, il pennacchio tira-voti, il fiore o la pochette all’occhiello, mentre Beppe avrebbe seguitato a comandare con la lucidità che ultimamente gli è propria. Infatti ha suggerito a Conte, che si avvaleva di consiglieri come la Mazzucato, di “studiare cos’è il M5S” dopo aver consegnato la tessera onoraria a Draghi e a Cingolani, che invece cos’è il M5S lo sanno bene, infatti si circondano di liberisti e antiambientalisti.
Ora Conte, come Bettiza, non potrà che respingere la proposta indecente. E Grillo dovrà farla a qualcun altro. Ma chi potrà accettarla? Non certo un big in grado di recuperare o almeno mantenere i voti: al massimo un coglione, un servo sciocco a caccia di medagliette-patacca. E, senza un capo politico degno di questo nome, i 5Stelle defungeranno a breve. E lasceranno orfani milioni di elettori che costringeranno Conte, volente o nolente, a dare loro una casa. Delle due l’una: o Grillo si accorge del disastro che ha combinato e rimedia finché è in tempo; o tutto può accadere. Anche che, nel processo di omologazione ai suoi acerrimi nemici, lanci un anatema alla Fassino: “Se Conte vuol fare politica, fondi un partito e vediamo quanti voti prende”.

venerdì 25 giugno 2021

Marco vs Beppe


Il fondatore affondatore

di Marco Travaglio

Ci eravamo quasi riavuti dallo choc per la rivoluzionaria affermazione di Draghi “Lo Stato è laico” e già pregustavamo le successive, tipo “La pioggia è bagnata”, “Il ghiaccio è freddo”, “Per vedere la tv bisogna accenderla”, “All’Equatore fa decisamente più caldo che al Polo Nord”, “Meglio una donna giovane e bella che una vecchia racchia”, quando siamo stati folgorati da un’altra frase che definire sorprendente è riduttivo: “Lo statuto di Conte è diverso dal nostro”. L’ha detta ieri Grillo nel suo monologo ai parlamentari 5Stelle, sottolineando non a caso che “io sono un visionario e Conte no”. Solo un visionario, infatti, poteva notare che affidando a Conte il compito di guidare e rifondare i 5Stelle, lo statuto dei 5Stelle sarebbe stato diverso da quelli dei 5Stelle guidati da Grillo e da Di Maio. Se fosse stato ancor più visionario, Grillo l’avrebbe previsto già il 28 febbraio, quando convocò Conte e gli altri big per chiedere al primo di fare il capo politico e di riscrivere lo statuto. Ma evidentemente in quei giorni aveva già esaurito le visioni con Draghi e Cingolani, scambiandoli per grillini della prima ora e mandando il M5S al macello nel governo più restauratore mai visto (a proposito di chi “sa cosa sono i 5Stelle” e di chi se l’è scordato).

Ma il sospetto è che in quel caso, più che di visioni, si trattasse di allucinazioni. E che la sindrome persista, almeno a leggere altre perle di saggezza del visionario. Tipo che “è Conte ad avere bisogno di me”. In che senso un affermato avvocato civilista e docente universitario divenuto in tre anni il politico italiano più popolare, il premier che ha affrontato la pandemia e ottenuto il Recovery Fund, quello che ha risolto i casini altrui con Casaleggio, avrebbe bisogno di Grillo, è un concetto che sfugge ai più. Ma qui, più che di visioni, è questione di vocabolario. Cosa intendeva esattamente Grillo quando chiese a Conte di fare il capo politico, visto che ora pretende di decidere al suo posto la linea politica, la segreteria e la comunicazione? Ha presente la differenza tra capo politico e prestanome, portaborse, badante? L’affermazione “non sono un coglione”, detta dall’interessato, vale quel che vale. Ma qualunque capo politico accettasse di farsi dettare la linea politica, la segreteria e la comunicazione da un altro non sarebbe un capo politico: sarebbe un coglione. Come se ne esce? In due soli modi. 1) Gli eletti e gli iscritti ai 5Stelle votano sulla nuova piattaforma (“uno vale uno”) per decidere chi fa il capo e chi fa il coglione. 2) Conte si grillizza per un giorno, manda tutti affanculo e se ne torna a fare l’avvocato e il professore, dopo quattro mesi di volontariato senza stipendio, riconsegnando i 5Stelle a Grillo: è lui che li ha fondati, è giusto che sia lui ad affondarli.

martedì 22 giugno 2021

Probabilmente


Sarà stato probabilmente un getto di calore incontrollato in una delle magnifiche saune coccolanti lormonsignori ad insufflare in qualche mente avvolta nel bisso la lettera inviata allo stato italiano attorno al sacrosanto decreto Zan contro l’omofobia, un’ingerenza inaudita da parte di chi, per sbadataggine, non ha ancora tirato fuori quei cinque miliardi che ci devono per il mancato pagamento dell’Imu. Non spaventano certamente codesti principi del nulla; quello che preoccupa è comprendere se questo sberleffo sia partito con l’approvazione o meno dell’Argentino e, soprattutto, gli idioti che si fingono politici che cavalcheranno per l’ennesima volta ciò che arriva da Oltretevere per darsi l’ennesima verniciata di cattolicesimo, ravvivando lo smorto colore del sepolcro imbiancato che è in loro.

lunedì 21 giugno 2021

Vergognosi



Se è vero che non esistano quasi più le bandiere, è sotto gli occhi di tutti come invece i rumentoni continuino a scorrazzare per i campi di gioco, pronti al primo flebile fruscio di euroni a mettere da parte dignità, fierezza d’indossare i sacri colori e coerenza. Questi due poi avevano pure baciato gli stendardi, senza che nessuno gliel’avesse chiesto. Un turco, con lo sguardo da ebete, mantenuto e coccolato negli anni passati pur se dotato di un’efficacia pro squadra paragonabile a quella di una mosca difendente da un attacco di calabroni. L’altro caduto ahimè nelle grinfie di un grassone avido e lontano anni luce dal decoro di appartenenza, più del Cazzaro dalla buona politica. Due serpi in seno, agenti nell’ombra, nel sottobosco come squallide talpe, infanganti i colori, menefreghisti della beltà, dell’onore all’immensa sala dei trofei. Omuncoli che rimpiangeranno, sportivamente s’intende, di aver voluto trasmettere affetto, attaccamento rivelatosi cialtroneria, demenza, spessore morale tipico degli avventurieri. Prometto a me stesso e al Paron di essere presente al loro primo rientro nella Scala, versione corretta. Per accoglierli, per invitarli a riflettere sul loro sciabordio d’affetto insulso quanto quello di Mister Italiano. Perché non è vero un ciufolo che nel calcio non esistano più i valori, anzi: rimangono saldi e disponibili pure i Vaffanculo! Pensa te!


Fatto!


Secondo vaccino fatto, senza selfie. Tutto a posto o quasi. Infatti uscendo ho esclamato “Gezunt tsu ir” un antico saluto degli ashkenatizi in lingua yiddish, tra la perplessità degli astanti. Per il resto tutto bene!

sabato 19 giugno 2021

Da un piccolo foglietto...


Da un appiglio, un impercettibile pertugio è scaturito un tonitruante pensiero su un sistema, l'attuale, a mio parere indegno di una società autodefinentesi avanzata.

Uscendo da una farmacia, appallottolando lo scontrino, mi è tornata in cervice la domanda della signora in camice - "vuole un sacchettino?"- e la mia espressione dinanzi alle cinque scatoline, che tradotta significava "certo, se no dove me le metto le confezioni?" - e il successivo tocco del touch screen significante che l'involucro aveva un costo, per la precisione 0,04 centesimi. Zerovirgolazeroquattro centesimi: se ne usassero 1000 equivarrebbe ad una spesa di 40 euro! E dire che le miniere d'oro al top della classifica degli introiti nel pandemico che comunemente chiamiamo farmacie, non se la dovrebbero spassare male. Ma ce l'ho con loro, fanno il loro mestiere, gli è consentito dal sistema eretto senza nessun freno, nessuno scudo a protezione degli utenti. Lo stesso sistema che ha consentito a poche ed abnormi multinazionali di gestire la salute dell'umanità. E come non arrivare col pensiero a lei, la regina, la signora di Big Pharma? Si, proprio lei: Pfizer. Prendo alcuni dati da un articolo pubblicato oggi sul Fatto Quotidiano - leggetelo per restare vicini alla verità dei fatti, senza l'adulterazione dei padroni della gran parte della stampa italica, costruttori, banchieri, megaindustriali mannari, finanzieri. 

Pfizer, che ha già in saccoccia contratti per futuri vaccini per un importo stimato attorno ai 2,4 miliardi di dosi, lo scorso anno ha fatturato 41,9 miliardi di dollari con un utile netto di 9,6 miliardi, versando - udite udite! - solo il 6,4 % di tasse, e quest'anno le proiezioni le assicurano un fatturato di 73 miliardi di dollari. Alla faccia del ciufolo verrebbe da dire! La domanda regina è come faccia Pfizer a pagare così poche tasse; semplice: la multinazionale ha 313 società controllate, di queste ben 164 sono residenti in stati che dovremmo definire canaglia e che di norma invece sono detti "paradisi fiscali" - che insuffla una stortura all'idealizzazione di harem post mortem, sulla falsariga dell'altro termine "positivo" ora come non mai abbinato all'entrata in noi del bastardo virale-.

Ed ecco l'elenco delle società di Pfizer sonnecchianti nei luoghi ove la legge e i doveri vengono messe maleficamente alla porta: Pfizer ha 30 filiali in Olanda - Bimbo John ti ricorda qualcosa? - 15 in Irlanda - Apple docet - 13 nel Regno Unito - gli albionici sempre in mezzo yeah! - 5 a Singapore, 8 in Lussemburgo - simpatici questi compagni di viaggio europei quasi come gli orologiai - 4 a Hong Kong, 3 a Panama, 2 negli Emirati Arabi - ma ora sembra che le chiuderanno visto che da quelle parti pare stia arrivando il Rinascimento, vero Bimbominchia-  e - udite udite - 2 in Svizzera - e come potevano mancare loro, i precisissimi nostri confinanti, tanto simpatici quanto amichevoli! Le restanti 83 sono insediate nel Delaware, il paradiso a stelle e strisce, vero Joe? 

Da quello scontrino quindi mi si è srotolato un pensiero avviluppante la Sfera, la costrizione dell'eclatante errore di aver concesso troppo ai cosiddetti privati, delegando pure ricerca - Pfizer restituirà i miliardi elargitele per la ricerca del vaccino? Col ciufolo mi vien da pensare!- e scelta di politiche indirizzate ahimè esclusivamente al lucro. Mi si raggela la canala al pensiero, i suppose, dell'eventualità che qualcuno di lorsignori possa in futuro - l'avranno già fatto? - scoprire un farmaco efficace contro i malacci del tempo, ma molto meno remunerativo dell'attuale in commercio, e il suo conseguente nascondimento in qualche cassetto ultra protetto. O la scelta di produrre farmaci lucrosi a scapito di quelli di nicchia destinati a pochi, per loro e i loro scrigni. 

Ecco come da uno scontrino può scaturire un pensiero globale attorno alla nostra caducità e, soprattutto, alla nostro allocchismo conclamato.

Sabato travagliato

 

Tutti sulle barricate!
di Marco Travaglio
Sarà il caldo. Sarà la variante Delta, più devastante dell’Alzheimer. Sta di fatto che la dittatura sanitaria sta per diventare definitiva con l’ennesima proroga dello stato di emergenza, ma stavolta la Resistenza langue. Basterebbe riunire i partigiani che un anno fa strillavano sulle barricate contro la prima proroga contiana e a ottobre contro la seconda, per risparmiarci almeno quest’ultima, forse irreparabile svolta autoritaria. Ma stavolta il Cln appare svogliato, demotivato, disunito. Qualcuno ha financo scoperto che lo stato di emergenza è previsto dalla legge 225 del 1992 sulla Protezione Ccivile contro le calamità naturali e consente le ordinanze di PC per soccorsi, assistenza e approvvigionamenti con procedure semplificate e abbreviate: non sfiora nemmeno i poteri del premier, ma ha consentito di creare il Cts e il Commissariato anti-Covid (per gli acquisti di tutto ciò che occorre contro i contagi saltando le lentissime procedure ordinarie: vaccini, mascherine, camici, respiratori, guanti, tamponi, test sierologici, banchi scolastici, braccialetti elettronici…) e di adottare lo smart working senza gli accordi individuali previsti dalla legge. Sottigliezze da legulei. Tantopiù ora che, dopo la lunga e sanguinosa dittatura contiana, è sbocciata la democrazia draghiana. Quindi le forze partigiane di Lega, FI e Iv, con giornaloni e giuristi al seguito, che fieramente si opposero alle proroghe del duce Giuseppi, si mostrino all’altezza della situazione e avvertano subito a Draghi che di qui non si passa.
L’Espresso torni a diffidarlo dall’“allungare l’emergenza per tutto l’anno” come “strumento per conservare il potere”. Ernesto Che Cassese, che ha appena definito “inspiegabile” l’eventuale proroga, ritrovi la verve dei bei tempi e ripeta cento volte: “Anche Orbán cominciò la sua carriera politica su posizioni liberali: lo stato di emergenza è illegittimo”. Vladimir Il’icč Giannini avverta Super Mario che “prorogare fino alla fine dell’anno i suoi ‘poteri speciali’” trasformerebbe “la Camera in votificio” e “lo stato di emergenza in ‘stato di eccezione’”, poi ripubblichi l’editoriale di Cacciari “Un’illogica dittatura democratica”. Fidel Rosato ribadisca che “Palazzo Chigi abusa dell’emergenza”. Rosa Luxemburg Boralevi rituoni contro “il potere che ci tiene in stato d’emergenza come un regime sudamericano”. Il compagno Galli della Loggia ridica basta “forzature e colpi di mano del premier”. Il subcomandante Innominabile, dall’autogrill di Fiano Romano, ripeta con se stesso: “Non abbiamo tolto i pieni poteri a Salvini per darli a Draghi”, che “non ha il mojito, ma vuole un vulnus democratico”. Diamoci da fare: la democrazia è in pericolo, ma forse siamo ancora in tempo.

venerdì 18 giugno 2021

Risate garantite

 


Probabilmente gli storici che tra una trentina d'anni annalizzeranno questo periodo, resteranno basiti per come un ex direttore del TG1, famoso per aver occultato notizie e verità durante la squallida Era del Puttanesimo, celebre il servizio sulla toilette dei cani mentre il Pregiudicato se la spassava tra cene eleganti e barzellette sul culo e le mele, e soprattutto condannato per strisciare carte di credito aziendali per i propri porci comodi, sia potuto diventare direttore di un quotidiano, di proprietà della famiglia da sempre infangante le basi della democrazia di uno stato moderno.
Il Minzo direttore del Giornale invoglia normodotati a leggerne le panzane ivi contenute, quale monito per un futuro sempre più incerto, assoggettato come sembrerebbe ai diktat dei potentati economici. Dai Augusto facci ridere!!

Travaglio!

 

La Sacra Famiglia
di Marco Travaglio
La metamorfosi del Festival dei Due Mondi in Festival dei Due Casellati, grazie alla contemporanea presenza a Spoleto dei due rampolli della presidentessa del Senato, fa di lei la candidata ideale per il Quirinale. Chi può meglio simboleggiare la festosa Restaurazione italiana? Non le manca nulla: il vitalizio extralarge che ingloba anche il periodo in cui fece danni al Csm (seguìto, per par condicio, dalla restituzione degli assegni ai senatori pregiudicati); i voli di Stato per qualunque spostamento anche minimo (un giorno il suo parrucchiere se la vedrà atterrare sul tetto); e la prodigiosa ascesa sociale dei due figli, di pari passo alla sua. Lei peraltro aveva già preannunciato il tutto nell’atto di citazione da 150mila euro al Fatto, in veste di “notissimo avvocato matrimonialista che ha sempre condotto grandi battaglie a tutela delle donne, dei minori e in generale della famiglia in tutte le sue espressioni”. Soprattutto la sua: nel 2005, sottosegretaria alla Salute, assunse la figlia Ludovica come capo della sua segreteria con uno stipendio – scrisse Stella sul Corriere – “di 60mila euro l’anno, quasi il doppio di un funzionario ministeriale con 15 anni di anzianità”: promozione strameritata, essendo la ragazza dedita “per ragioni familiari al cicloturismo”, ergo “punto di riferimento per il mondo a due ruote e del web, dov’è conosciuta come Ladybici”. Poi citava il figlio Alvise, “violinista, manager e direttore d’orchestra”, “considerato uno dei talenti emergenti”: soprattutto dal cuore di mammà.
E lacrimava per i nostri articoli (“vituperio e vilipendio”) che segnalavano le strabilianti coincidenze fra i suoi viaggi istituzionali e i tour internazionali di Alvise nelle stesse località, pure in Colombia e in Azerbaijan. Ma per lei era “stalking mediatico”, che financo “la induce a rinunziare spiacevolmente e ingiustamente alla propria presenza ai concerti, e alla passione per la musica quando la musica è interpretata e diretta dal figlio”. Non ne ascolta nemmeno i dischi, per paura che la accusiamo di favorirlo. Immaginate come deve sentirsi ora, dopo avere scoperto sul Fatto che la sua amica Ada Urbani, “consigliere per lo sviluppo” del Festival dei Due Mondi, ha ingaggiato sia Alvise (per dirigere il coro di Santa Cecilia) sia Ludovica (testimonial della corsa SpoletoNorciaMtb). Bell’amica: a furia di dispetti, le farà perdere la causa col Fatto. Ora mettetevi nei suoi panni. Se va a Spoleto a vedere Alvise che dirige e la figlia che pedala, dicono che mancava solo lei per fare l’en plein. Se non ci va, dicono che è peggio la toppa del buco. Potrebbe andarci in bicicletta, ma poi il Fatto scriverebbe che fa pubblicità a Ladybici. No, no, meglio il classico volo di Stato, per non destare sospetti.

 

Gen. Figliuolo, no: non siam pronti alla morte
di Daniela Ranieri
Si fatica ancora a capire perché mai a un certo punto al Governo dei Migliori è venuto in mente di affidare la delicatissima macchina dell’immunizzazione di massa a un generale dell’Esercito. Cioè a uno che di medicina e sanità pubblica ne sa quanto un geometra, un sarto o noi giornalisti. Per la logistica, si dirà: ma la logistica funzionava anche prima, il problema era che non c’erano vaccini. È che bisognava segnare “un cambio di passo”, dare “fuoco alle polveri”, “fiato alle trombe” e la famosa “spallata”, e l’immagine dell’alpino in mimetica e anfibi, sempre in movimento come una palla matta da un lato all’altro d’Italia a dare ordini alle truppe vaccinali, era funzionale alla retorica dei Salvatori della Patria che sostiene, e in definitiva giustifica, l’avvento di Draghi. Una cosa è certa: a noi non sarebbe mai venuto in mente di dire, davanti alla catastrofica gestione delle vaccinazioni e alle (pur timide) rimostranze di qualcuno, una cosa come: “Non è il momento delle polemiche, è il momento di stringersi a coorte”, come ha detto Figliuolo martedì, una frase composta da due proposizioni entrambe sbagliate. “Basta polemiche”: davvero credeva, il Generale, che non avremmo fatto polemiche? Pensa di godere di qualche guarentigia? Vige forse il dogma dell’infallibilità commissariale? Che crede, che siamo in caserma, dove comandano i nonni e le reclute subiscono in silenzio? Come se il problema, poi, fossero le polemiche e non le morti per trombosi cerebrali. “Stringersi a coorte”: che c’entra l’amor di Patria dei singoli con la sicurezza sanitaria di una popolazione in una pandemia? Ciò che deve animare la volontà di vaccinarsi è la fiducia nella scienza e nei decisori politici motivata da evidenze razionali, non l’afflato patriottardo di stampo rinascimentale. Non siamo affatto pronti alla morte, per fargli raggiungere i suoi (disattesi) record vaccinali. A proposito: sempre martedì Figliuolo si vantava di aver superato le 500mila vaccinazioni al giorno, che però erano state promesse per metà aprile, dimenticando che ai primi di maggio, promettendone presso medici di base e farmacie, si impegnava per 1 milione di dosi al dì entro giugno. A ciò servivano gli Open Day: chiami in massa giovani, minorenni, maturandi a vaccinarsi per andare in vacanza, al grido di “i vaccini vanno impiegati tutti”, seguito da Curcio, capo della Protezione civile: “Tutto quello che abbiamo lo dobbiamo somministrare. A noi interessano le percentuali”; poi, se va male, com’era prevedibile visti gli accertati effetti avversi di AZ, redarguisci il popolo che non ama abbastanza la Patria.
Ogni volta che Figliuolo apre bocca fa danni. “Chiunque passa va vaccinato”, così, senza anamnesi, senza parere del medico di base, senza alcun filtro tra il cittadino e l’inoculatore, di modo che ogni eventuale malattia o difetto genetico viene fuori solo sul tavolo delle autopsie. “L’imperativo categorico è accelerare. Dobbiamo allungare il passo”. Sicuro? C’è una parte della popolazione che è sacrificabile? Visto che l’alternativa c’è (i vaccini a mRna), non è meglio togliere dalla circolazione AZ e J&J, farli sparire, preferibilmente non nei deltoidi dei cittadini?
Si sapeva dall’inizio che la tenuta bellica, l’eloquio marziale e i tonitruanti propositi, in caso di fallimento, si sarebbero rovesciati nel macchiettismo. È il destino del marziano a Roma.
Ma il disastro sanitario si porta dietro un disastro simbolico: il vaccino rappresenta la salvezza, la protezione; se la gente non si fida e non va a vaccinarsi, il danno è gravissimo. E se ci va senza tutele, è peggio. È forse vietato a un under-60 vaccinarsi con AZ? Se il Gen. avesse qualche elemento di medicina conoscerebbe il primo dei comandamenti per un clinico: non nuocere. Vuol dire che nessun fine sanitario giustifica il male procurato al singolo e che tra due rimedi bisogna usare quello che ha meno effetti collaterali. Immaginiamo cosa sarebbe successo se tutto questo l’avessero fatto Conte, i 5Stelle, Arcuri. Ma questo è il Governo dei Migliori voluto da Renzi e Mattarella, non può sbagliare per definizione. Infatti Draghi tace, forse spera che nessuno si accorga che il capo è lui. È il Governo di Tutti, quindi non è colpa di nessuno (poi si lamentano se la Meloni cresce). Se va bene, il merito è di Figliuolo, se va male è colpa di Speranza; il quale naturalmente non ha alcun merito per le 500mila somministrazioni. Quindi la colpa sarà dei ragazzi che sono andati a farsi vaccinare agli Open Day.
Infine, l’ultima trovata di un apparato commissariale confondente e confuso: il mix, anche detto cocktail. Il Cts sostiene che fare il richiamo con un vaccino a mRna dopo la prima dose con AZ sia efficace e sicuro, anzi: che dia ancora più protezione. E come mai allora a chi ha fatto la prima dose con Pfizer non viene consigliato il richiamo con AstraZeneca? Misteri. O no?

Daje Daniele!

 

Il “Vietnam afghano”: ghiaccioli, Bin Laden e Pamela Anderson
di Daniele Luttazzi
“Andare via dall’Afghanistan non sarebbe un atto politico, ma la rinuncia a esercitare il nostro ruolo politico nella comunità internazionale e ci isolerebbe in Europa e nel mondo” (Massimo D’Alema, 2007).
Continuo coi cenni storici sul Vietnam afghano (a cui abbiamo partecipato in barba alla Costituzione) perché non ho di meglio da fare, a quanto pare.
Luglio 1979: Gli Usa cominciano ad aiutare i mujaheddin. Brzezinsky, ex consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa, scrive una nota al presidente Carter: a suo parere quell’aiuto avrebbe determinato un intervento armato dell’Urss in Afghanistan. Quando a dicembre l’Urss invade l’Afghanistan, Carter si finge sorpreso. 1980: Usa e Arabia Saudita danno al Pakistan finanziamenti, intelligence, aiuti militari e abbonamenti a Penthouse per fermare l’avanzata sovietica in Afghanistan. La guerra contro l’Urss viene presentata al popolo afghano, e alle decine di migliaia di volontari arabi provenienti da tutto il mondo, come una guerra santa islamica (jihad) contro gli infedeli comunisti. Capito a cosa serve la religione? Il colonnello Trautman rintraccia Rambo in Thailandia e lo invia sotto copertura in Afghanistan, dove Stallone semina il panico fra le truppe sovietiche con la sua recitazione. 1989: l’Urss se ne va dall’Afghanistan, ma la successiva guerra civile fra i mujaheddin (sostenuti da Usa, Pakistan, Arabia Saudita, Iran e Cina) e il governo afghano filosovietico delude gli spettatori, che le preferiscono Baywatch. 1991: geniale inventore miliardario, sciupafemmine e filantropo, il giovane Bin Laden, che aveva partecipato alla guerriglia dei mujaheddin venendo ferito, si sposta in Sudan, dove crea una speciale armatura volante con magnete pettorale, e un vasto movimento islamico antiamericano. L’America inizia la guerra del Golfo contro l’Iraq, accusandolo di essere entrato in Kuwait senza usare le pattine. In Asia centrale è in atto il “Grande Gioco”. La zona è ricca di risorse naturali, fonti energetiche, materie prime e oppio, ed è via di transito per gasdotti, oleodotti e droga orientale. Per l’estrazione e il trasporto di gas e petrolio la fanno da padroni Russia (Gazprom), Usa (Unocal e Chevron), Turchia e Cina. Incomprensibilmente inutilizzati i vasti giacimenti di formaggio Dover presso Jalalabad. 1992: i mujaheddin abbattono il governo filosovietico del Pdpa: nasce lo Stato Islamico. Senza più nemici, ai mujaheddin non resta che farsi guerra fra loro: quelli capitanati da Rabbani e Massud (sostenuti da Iran, Russia e India) sconfiggono la compagine di Hekmatyar (sostenuta da Pakistan e Arabia Saudita), conquistando Kabul. Meritate le vacanze a Mordor. 1994: il Pakistan decide di appoggiare il movimento integralista islamico del mullah Omar, cioè i talebani: un governo filo-pachistano permetterebbe agli Usa di implementare il progetto Unocal di un gasdotto attraverso l’Afghanistan. Aiutati anche da Arabia Saudita e Qatar, in due anni i talebani si prendono buona parte del Paese, puntando, come indicato dalla loro carta degli Obiettivi, a Pamela Anderson. 1996: Gli Usa accusano Bin Laden di addestrare terroristi in Sudan, e sottopongono il Sudan a un embargo totale, ghiaccioli alla menta compresi, i preferiti da Bin Laden. Questi allora torna in Afghanistan, dove, grazie alle sue ingenti risorse finanziarie, scopre la cura contro il cancro. Quando il mullah Omar va al potere, i mujaheddin di Hekmatyar si ritirano con altre fazioni nel nord del Paese, formando “l’Alleanza del Nord”, perché “i Vendicatori” era già stato preso. (3. Continua)

Buongiorno

 


Niente di male
Mattia Feltri
Massimo D'Alema ha recapitato un video a New China Tv nella fausta circostanza dei cento anni del Partito comunista cinese a cui si devono, secondo la complessa contabilità degli storici, fra i quaranta e gli ottanta milioni di morti soltanto nella stagione del comando di Mao. Il comunismo ha fatto uscire ottocento milioni di persone dalla povertà, ha detto D'Alema col medesimo approccio costi-benefici di chi ricorda il miracolo economico di Hitler, che ereditò la Germania di Weimar sfiancata da disoccupazione e inflazione e ne fece una potenza. Mai nessun paese nella storia dell'umanità è riuscito in una tale impresa, ha aggiunto D'Alema (parlando della Cina, non della Germania) forse sedotto dall'attuale corso capitalistico del comunismo, cioè soldi e tirannia, a occhio e croce il più affine al nostro ex premier, che non per niente intrattiene felici rapporti d'affari con Pechino. Dei molti passaggi, sublime fra i sublimi è quello in cui D'Alema si rallegra di quanto fatto dalla Cina per l'ambiente (sarebbe delizioso se si riferisse a Mao quando insegnava che i cadaveri dei borghesi sono ottimi nella concimazione dei campi). Sono molto comprensivo verso l'indignazione permanente per i nostalgici del fascismo e verso la fascinazione irresistibile per i nostalgici del comunismo: da noi il fascismo ha messo in piedi una dittatura, il comunismo un'opposizione consociativa e per cui sì, mi sembra un'ovvietà insignificante e vagamente cretina quella di chi sostiene che il fascismo ha fatto anche qualcosa di buono. Volete mettere la creatività di D'Alema, secondo cui il comunismo non ha fatto niente di male?

mercoledì 16 giugno 2021

Auguri grande Zaki!

 


Nel giorno del suo compleanno, Zaki ancora nel carcere egiziano, invia gli auguri alla Nazionale. 

Buon compleanno Zaki! Resisti grande uomo! 

Seconda puntata

 

Afghanistan: vent’anni di guerra, centinaia di migliaia di morti e Isis

di Daniele Luttazzi

“Lo sviluppo batterà i talebani, ecco perché restiamo a Kabul. L’Afghanistan è una specie di gigantesca miniera non ancora sfruttata. Stiamo parlando di risorse energetiche come petrolio o gas, ma pure oro, ferro, rame e litio. L’ovest sotto nostro controllo è un terreno vergine dove ci sarebbero molte risorse da verificare e da esplorare. I nostri soldati sono in prima linea e combattono un nemico, ma nell’Afghanistan occidentale anche grazie allo sviluppo stiamo già conquistando i cuori e le menti degli afghani” (Paolo Romani, quando era Ministro per lo Sviluppo Economico del governo Berlusconi).

“L’Italia via dall’Afghanistan” (Agenzia DiRE, 8 giugno 2021).

Gli Usa fecero guerra all’Afghanistan dopo l’11 settembre col pretesto che i talebani non consegnavano bin Laden; ma, come ricordava ieri Massimo Fini su queste pagine, i talebani non c’entravano nulla con bin Laden, al Qaeda e l’11 settembre. La verità è che agli Usa di Bush interessavano le condotte di gas e petrolio in Afghanistan, e l’Italia si accodò alla guerra (in barba alla Costituzione) perché è una provincia dell’Eni (Altre aziende italiane coinvolte nel progetto di costruzione di infrastrutture in Afghanistan: Terna, Enel, Trevi, società agroalimentari e della refrigerazione). Gli errori madornali furono: instaurare un governo corrotto e incapace; imporre una democrazia centralizzata e un’economia di mercato a un’antica società tribale; la pianificazione sconclusionata (Whitlock, 2019); e cercare di ricostruire l’Afghanistan facendo contemporaneamente la guerra ai talebani, che sono pashtun, la fazione principale del Paese (Fisher, 2001). Fra l’altro, i talebani sono nemici dell’Isis, sicché gli Usa, attaccando i talebani, favorivano l’Isis. Senza dimenticare le cappelle alla Jerry Lewis, tipo quella di far finire nelle mani dei talebani circa 2,16 miliardi di dollari stanziati per promuovere lo sviluppo in Afghanistan, attraverso i subappalti di otto ditte di trasporti afghane. Risultato di 20 anni di guerra: centinaia di migliaia di morti; il rafforzarsi dei talebani e dell’Isis; niente democrazia, né stabilità, né sicurezza (un mese fa, un attentato contro una scuola ha ucciso 80 studentesse a Kabul). Il tutto alla modica somma di 133 miliardi di dollari, che aggiustati all’inflazione sono più di quanto gli Usa spesero in Europa col Piano Marshall, e la Rai per il contratto a Fabiofazio. Li avessero dati a me, avrebbero fatto meno danni, e li avrei spesi meglio (avrei comprato la Rai per licenziare Fabiofazio; e il resto l’avrei dato a Emergency). Come si è arrivati alla disfatta? I prossimi cenni storici vi sbalordiranno non poco, se di solito vi informate leggendo gli articoli di Gianni Riotta. Non si stupirà invece chi ha letto qua dei fallimentari interventi Usa in Iraq, Siria, Libia, Yemen, Haiti e Somalia. “Non abbiamo un modello di stabilizzazione post-conflitto che funzioni”, ammette oggi Stephen Hadley, che era national security adviser sotto Bush.

1973: un colpo di Stato in Afghanistan detronizza il re Zahir Shah. 1978: il Partito democratico del popolo afghano (Pdpa), filo-sovietico, instaura la Repubblica democratica dell’Afghanistan, guidata da Mohammad Taraki; ma le riforme del nuovo regime (sovietizzazione, laicizzazione) generano malcontento nella popolazione. In questo contesto comincia a organizzarsi la resistenza islamica armata. 1979: la guerriglia islamica (sostenuta da Iran, Pakistan e Cina) controlla quasi l’80% del territorio afghano. Taraki viene ucciso. L’Urss invade l’Afghanistan. Gli Usa rispondono per le rime: a Washington esce in prima mondiale il film Star Trek.

(2. Continua)

L'Amaca

 


La sacra bottiglia
di Michele Serra
Ignoriamo (per nostra fortuna) il dettaglio delle complicate situazioni contrattuali e legali che stanno dietro, sopra e sotto la cliccatissima lite tra Cristiano Ronaldo e una bottiglietta di Coca Cola. È però sicuro che, levandola dall’inquadratura televisiva, il bomber abbia fatto fibrillare decine di uffici legali in tutto il mondo: per primo quello che lo assiste. Aggiungendo che lui beve solo acqua, il caso è poi salito di grado fino all’incandescenza, fino a eguagliare i massimi incidenti diplomatici della storia, dallo schiaffo di Anagni all’attentato di Sarajevo.
Erano papi e imperatori, a quei tempi, a incarnare la sacralità del potere. Ora sono le merci: ma non è che ci siamo laicizzati più di tanto. La bottiglietta che presiede, accanto al microfono, la mondovisione calcistica, è un idolo. Un totem. Scansandola, e subito dopo dichiarando la sua estraneità alle bollicine, CR7 ha commesso qualcosa di abbastanza simile, tecnicamente, al sacrilegio. La reputazione delle merci, il loro buon nome, la loro onorabilità, il loro diritto di non essere nominate invano, sono difesi da un corpus giuridico formidabile, e da un clero aziendale, pubblicitario e forense agguerritissimo.
Provate a destinare a un marchio aziendale, sui giornali e sui social, anche solo la metà degli insulti che hanno normalmente per oggetto gli esseri umani, come categorie e come singoli individui: ne pagherete il prezzo. Chissà se verrà mai il giorno in cui le persone potranno godere di uguale prestigio, uguale tutela, di una bibita in bottiglia.

martedì 15 giugno 2021

Dalla satira s'impara

 

Guerrafondai, giornaloni e complottisti: cosa si sa finora sull’Afghanistan
di Daniele Luttazzi
“L’Italia via dall’Afghanistan” (Agenzia DiRE, 8 giugno 2021)
Raccontando la ritirata militare Nato dall’Afghanistan, i giornaloni scrivono che gli Usa di Bush fecero la guerra all’Afghanistan come reazione all’11 settembre. Così però non si capisce nulla. Perché attaccare l’Afghanistan, se 15 dei 19 terroristi dell’11 settembre venivano dall’Arabia Saudita? Perché l’Arabia Saudita è una delle due amanti legittime che gli Usa hanno in Medio Oriente (l’altra è Israele). Per fortuna, Bush aveva le prove che bin Laden era collegato a Goldfinger, e poté far partire la “guerra al terrore”. Come pretesto, Bush accusò i talebani di non volergli consegnare bin Laden. Gli Usa stanziarono pure una taglia su bin Laden: 25 milioni di dollari. Nessun risultato. Allora la aumentarono a 50 milioni. Perché è noto che i pastori di capre in Afghanistan non si alzano dal letto per meno di 50 milioni di dollari. Immagino i falchi neo-con: “25 milioni di dollari, capiamo perché non ce lo hanno consegnato. Ma con 50 milioni di dollari dovremmo convincerli”. “Per 25 milioni di dollari hanno detto di no?! Chi si credono di essere, Tom Cruise?” diceva nel 2007, a teatro, un comico che chiedeva a gran voce il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan, mentre il ministro della Difesa Parisi affermava al Tg2: “Quella in Afghanistan è una missione militare per la pace in una situazione che presenta molti tratti che richiamano la guerra”. Questa frase presentava molti tratti che richiamavano la stronzata: eravamo in guerra, nonostante la nostra Costituzione lo vieti (lo siamo stati fino al 2015). 

L’Italia berlusconiana e ulivista si era accodata agli Usa, che 10 anni prima stavano con i talebani, così come erano stati con Saddam, a cui fecero guerra due anni dopo con altri pretesti (Saddam non aveva “armi di distruzione di massa”; né legami con al Qaeda, nonostante la serie Homeland, pluripremiata, nella terza stagione accreditasse questa mistificazione). (Nota: negli anni 80, gli Usa di Bush padre avevano finanziato Saddam in funzione anti-iraniana, e gli avevano fornito tutto il gas necessario per sterminare i curdi, gas che era prodotto da una società di Bush padre. A parte che, se proprio vuoi eliminare tutti i dittatori dalla faccia della Terra, perché cominciare dalla lettera S? Vai almeno in ordine alfabetico, Cristo! Mussolini invade l’Abissinia. Perché? È alfabetico. Lui lo sapeva, Bush no). “Coi talebani o contro? Gli Usa si decidano, una buona volta, o il resto del mondo penserà che D’Alema non abbia una politica estera!”, diceva a teatro quel comico. 
Diventò una guerra in cui a un certo punto i talebani, che sono pashtun, venivano accolti come liberatori dalle popolazioni pashtun a sud e a est. Con gli Usa che ammettevano di non sapere quando sarebbe finita, ipotizzando addirittura la guerra all’Iran. Bush rassicurò: “Non c’è nessun piano di attacco contro l’Iran. Lo attaccheremo senza alcun piano, come con l’Afghanistan”. (La guerra all’Iran era un’altra delle idee da dottor Stranamore promosse dal “Progetto per un nuovo secolo americano”, think tank neo-con che annoverava guerrafondai del calibro di Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz, Libby, Perle, Bolton. Nel 2000, un loro documento, “Ricostruire le difese dell’America”, proponeva gli Usa come poliziotti del mondo per meglio garantire gli interessi Usa. Scrivevano: “Il processo di trasformazione risulterà molto lungo, se non si dovesse verificare un evento catastrofico e catalizzante, come una nuova Pearl Harbor”. Sicché i complottisti fecero due più due quando, l’anno dopo, ci fu l’11 settembre, l’evento catastrofico e catalizzante che proiettò gli Usa nelle guerre coloniali in Afghanistan e in Iraq).
(1. Continua)

Al solito: magico!

 

In fondo a destra
di Marco Travaglio
Accade ciclicamente di dimenticarsi cos’è la “destra” italiana. Poi per fortuna provvede essa stessa a ricordarcelo. Per solennizzare il ventennale dalla morte di Indro Montanelli, la famiglia Berlusconi ha nominato il nuovo direttore del Giornale. Dal 1994 all’altroieri aveva cercato quanto di più lontano dal fondatore, in un crescendo rossiniano all’incontrario partito da Feltri e giunto fino a Sallusti. Di peggio, si pensava, era difficile scovare. Ma, da quelle parti, mai disperare: infatti il nuovo direttore è Augusto Minzolini, che al Tg1 nascondeva le notizie e, quando proprio non poteva farne a meno, le taroccava (memorabile la prescrizione dell’avvocato Mills spacciata per assoluzione). Poi concluse in bellezza la sua carriera in Rai con una condanna per peculato perché rubava sulle note spese. Il che gli valse la promozione a senatore di FI, salvo poi dover lasciare il Senato per la legge Severino. Ora, non potendo più mettere piede in Parlamento, l’hanno piazzato al Giornale.
A Napoli, il candidato sindaco del centrodestra Catello Maresca, pm in aspettativa nella stessa città, dichiara: “Il Paese ha ancora bisogno di Berlusconi. Servono persone come lui in prima linea a Napoli. Io sono un costituzionalista convinto (sic, ndr) e la Costituzione ci impone il principio di non colpevolezza fino a sentenza passata in giudicato. Credo che il presidente Berlusconi abbia una sola condanna passata in giudicato” (segue supercazzola sulla Corte europea). Il sillogismo non fa una grinza: tutti sono innocenti fino a condanna definitiva; B. ha una condanna definitiva; dunque è innocente. E questo – è bene ripeterlo – è un pm che faceva le indagini fino all’altroieri e tornerà a farle da ottobre se sarà trombato. Il che pone ai napoletani un bel dilemma etico: votarlo perché faccia danni a Napoli ma smetta di farne alla giustizia, o non votarlo perché torni a far danni alla giustizia ma non cominci a farne a Napoli? Fino a un anno fa, a parte gli addetti ai lavori, nessuno sapeva chi fosse. Poi Massimo Giletti, che sta al giornalismo come Maresca alla toga, cominciò a invitarlo a “Non è l’Arena, è Salvini” per sostenere che le centinaia di boss usciti per il Covid (che poi erano tre) non li avevano scarcerati i giudici, ma il ministro Bonafede (che non ha mai scarcerato né incarcerato nessuno). Maresca non parlava ancora da “costituzionalista”, ma – diceva lui – da “tecnico”. Ora si candida col partito rappresentato a Napoli da Giggino ’a Purpetta, indagato per camorra con tre fratelli arrestati. Ma, da tecnico, da costituzionalista e da pm anticamorra in aspettativa, assicura che con Giggino sul palco non ci sale. Ha la moralità delle demi-vierges, convinte che la verginità sia questione di millimetri.

lunedì 14 giugno 2021

Un grande uomo!


Per Zielinski niente Bugatti: gioca con i bimbi dei suoi orfanatrofi

di Paolo Ziliani

Alzi la mano chi, anche inavvertitamente, sfogliando i giornali o navigando nel web non è incappato almeno una volta nel racconto del “favoloso garage” di Cristiano Ronaldo, un parco auto del valore di 20 milioni di euro, uno dei garage più invidiati al mondo potendo contare su diversi modelli di Ferrari, Porsche e Maserati e soprattutto sulla preziosissima Bugatti Centodieci da 8 milioni di euro prodotta in soli dieci esemplari; o nel racconto delle sue cene da mille e una notte con Georgina, come quella del 15 novembre 2018 allo “Scott’s” di Londra che la Gazzetta ci raccontò in un memorabile pezzo intitolato “Ronaldo, cena da superstar: ordina due vini da 30 mila euro” in cui venimmo a sapere che la scelta di CR7 era caduta su un “Richebourg Grand Cru, rarissimo Pinot Nero, prodotto da Henry Jayer, vignaiolo della Borgogna nato nel 1922” (extra carta-vini, costo 20 mila euro) e su un “Pomerol Petrus del 1982, un Merlot della zona di Bordeaux che è il più caro tra i vini del locale” (costo 10 mila euro). E alzi la mano chi, magari sfogliando una rivista dal parrucchiere o in sala d’aspetto dal dentista non è mai incappato almeno una volta nel racconto delle gesta di Mauro Icardi e Wanda Nara: come la cena a lume di candela in un ristorante di lusso milanese con consumazione di risotto alla milanese con foglio d’oro da 24 carati, naturalmente fotografato e postato sui social con il commento: “Risotto con zafferano e oro 24K… Cibo costoso @wanda_icardi”; o nella visione dei fantasmagorici tatuaggi dei nostri due eroi, come quello sul busto di Maurito che ritrae un leone con al fianco due piccole leonesse (in omaggio alle sue bambine Francesca e Isabella), un tatoo, ci è stato raccontato, che ha richiesto tre sessioni per cinque mesi di lavoro, fotografato e mostrato sui social in tutto il suo splendore assieme ad alcuni dei più riusciti “lati B” di Wanda.

E insomma: se nemmeno volendo riusciamo a scampare al racconto di simili prelibatezze, visto che i nostri media ne sono ghiotti come gli scoiattoli di nocciole, è stato con un senso di stupore misto a sollievo che nei giorni scorsi siamo venuti a conoscenza, grazie al quotidiano inglese Guardian, di un particolare di vita riguardante uno dei giocatori più silenziosi e trascurati (a dispetto del suo straordinario valore) della Serie A, Piotr Zielinski del Napoli, il 27enne centrocampista polacco nato a Ząbkowice. Che ha fatto di tanto strano Zielinski, a detta di tutti uno dei quattro migliori giocatori dell’ultimo campionato assieme a Lukaku, Kessie e Barella? A fari spenti, in silenzio, nel novembre del 2015 Piotr, che ancora giocava nell’Empoli, ha acquistato a Zabkowice due edifici che i suoi genitori hanno ristrutturato e trasformato in orfanotrofi fondando l’associazione “Piotrus Pan” (Peter Pan) dal nome del figlio. Qui la famiglia Zielinski si prende cura ogni giorno di bambini orfani e bambini con problemi familiari legati a genitori alcolisti, violenti o con gravi problemi economici. “Piotr - racconta il padre Boguslaw - torna qui ogni volta che può, va a trovare i ragazzi, gioca a calcio con loro e gli regala apparecchiature elettroniche che non usa: laptop, console di gioco, tablet. Recentemente un ragazzino che doveva ricevere la prima comunione non aveva nessuno che lo accompagnasse: Piotr è venuto dall’Italia apposta e gli ha fatto da padre e da padrino lui. Lui è così”.

Grazie di esistere Piotr.

domenica 13 giugno 2021

Non riesco proprio!

 


Più passa il tempo e più non riesco a togliermi dalla testa l'immagine di questa faccia di merda, scusate il francesismo, uno per il quale, lo confesso, ristabilirei la pena di morte mediante ghigliottina. Un esempio eclatante di quanto il male possegga abissi infiniti, perché costui è riuscito ad arrivare ad una profondità probabilmente sconosciuta, essendo riuscito a spillare soldi, tanti, troppi, a pazienti oncologici terminali.
Bastardo della peggior razza, Giuseppe Rizzi che solo sulla carta di professione faceva il dottore, per altro già licenziato in tronco dall'Istituto Tumori "Giovanni Paolo II" di Bari, aveva pure una fetida spalla nella compagna l'avvocato Maria Antonietta Sancipriani, ed insieme a lei è riuscito a spillare 130mila euro ad un paziente, poi morto, per somministrargli farmaci oncologici salvavita gratuiti. Come possano aver trovato il coraggio di accanirsi su un paziente in fin di vita, resterà probabilmente un mistero, a meno che fior fiori di criminologi non arrivino a sbrogliare questa mefitica matassa, da far vergognare l'intera umanità.
Durante le perquisizioni nella dimora di quest'orco furono trovate, naturalmente ingenti quantità di denaro, più di un milione pare.
Naturalmente questo vigliacco visitava pure i colpiti dal male del secolo, chiedendo per ogni visita, pare, 600 euro naturalmente e rigorosamente in nero.
Dai documenti d'inchiesta emerge pure un colloquio con un parente di una persona in cura e appena deceduta. Appresa la notizia, il bifolco rispose con una frase ricapitolante il degrado psicologico in cui l'avidità lo ha trascinato: "Si ricordi di saldare l'importo dell'ultima visita!"
Concordando che sempre e per sempre occorrerebbe seguire la linea illuminante la via maestra della giustizia democratica, non riesco però a trattenermi nel chiedere a gran voce a chicchessia di buttare, eccezionalmente, via per sempre la chiave della cella dove spero questo bifolco possa marcire per il resto dei suoi anni! Al momento però è ai domiciliari. Vergognosamente.

Giannini e i vaccini

 di Massimo Giannini

Sono un Sì-Vax adulto, convinto e consapevole. Lo sono perché ho fiducia nella scienza. Perché di fronte a ogni prova della vita resto inchiodato alle parole del Galileo di Bertolt Brecht: credo nella ragione e credo nell'uomo, che alla lunga non sa resisterle. Ci credo a maggior ragione adesso, di fronte a una pandemia che la vita ce l'ha stravolta e purtroppo anche tolta. E ci credo a maggior ragione dopo averla sopportata sulla mia pelle, questa pestilenza moderna che vuole risucchiarci dentro un altro Medioevo. Ho sentito lungo i 96 mila chilometri di vene arterie vasi sanguigni avviluppati nel mio corpo di cosa è capace questo agente patogeno, piccolo un decimillesimo del punto che vedrete alla fine di questa frase, eppure capace di mettere in ginocchio il mondo. Ho visto intorno a me, nella luce dolente e opalescente di un reparto di terapia intensiva, come circola, come aggredisce, come uccide.
Ma per tutti questi motivi oggi sono preoccupato. Dobbiamo essere onesti. Soprattutto noi, che combattiamo la superstizione e la strumentalizzazione, l'oscurantismo e il negazionismo, i No-Mask e i No-Vax. La morte di Camilla, diciottenne di Sestri Levante, ci ha colpito al cuore. Era una delle decine di migliaia di ragazzi che erano accorsi entusiasti agli Open Day vaccinali, lanciati dalle regioni e autorizzati dalla struttura Commissariale. Il messaggio era convincente: fate il vaccino, e riprendetevi l'estate, le vacanze e uno scampolo delle libertà perdute in un anno di lockdown. La reazione è stata straordinaria: tantissimi giovani in fila davanti agli hub. In un braccio l'iniezione, in una mano la Costituzione. Camilla se l'è portata via una trombosi, dopo una dose di Astrazeneca.
Non c'è antidoto al dolore dei suoi genitori, che hanno autorizzato la donazione degli organi. La loro figlia soffriva di una piastrinopenia autoimmune: l'inchiesta chiarirà chi ha sbagliato e perché. Ma a parte questo, ora qualche domanda dobbiamo farcela. E soprattutto dobbiamo farla alle autorità sanitarie, agli organismi della farmaco-vigilanza, al commissario straordinario, al ministro della Salute, al premier Draghi. Fino a quando deve durare, questo caos informativo ed emotivo sui cosiddetti vaccini "a vettore virale"? In conferenza stampa Locatelli, Figliuolo e Speranza provano a dare qualche risposta. Ma lo dico con amarezza: non ci siamo. Se non ci sono nuovi dati sugli effetti collaterali, perché ricambia di nuovo l'intero il piano vaccinale? Se Astrazeneca è un vaccino «sicuro ed efficace», perché se ne muta in continuazione l'utilizzo in base alle fasce d'età? Se invece non lo è, perché non viene vietato a tutti? E ancora: se il Comitato Tecnico Scientifico è un organismo credibile, perché formula semplici «raccomandazioni»? E perché il governo solo adesso sente il bisogno di tradurle «in modo perentorio»?
Sappiamo ancora poco su tutto, ma quel poco che sappiamo è che su Astrazeneca abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto. Sul fronte europeo, tre mesi fa 275 casi di trombo-embolia in Uk producono il primo stop alle somministrazioni. L'11 marzo sospendono Danimarca, Norvegia e Islanda. Il 15 si aggiunge l'Austria. Il 16 arrivano anche Germania, Francia, Italia, Spagna, e a ruota quasi tutta l'Unione: Bulgaria, Cipro, Estonia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Svezia. Il 18 marzo la direttrice generale dell'Ema, Emer Cook, annuncia tre cose: 1) c'è un nesso di causalità tra i decessi e l'inoculazione; 2) i benefici dell'immunizzazione superano i rischi di reazione avversa; 3) ogni Stato si regoli come crede. Comprensibili le prime due. Incomprensibile la terza. Quando è in gioco la tutela della vita umana, un'autorità comunitaria può lavare pilatescamente le sue mani e lasciare libere quelle di ogni singola nazione?
Può, purtroppo. Infatti ogni Stato fa a modo suo. Sul fronte italiano, il 9 febbraio una circolare ministeriale raccomanda Astrazeneca «per le persone dai 18 fino al compimento dei 55 anni». L'8 marzo si può somministrare «anche agli over 65». L'8 aprile è approvato «a partire dai 18 anni di età», ma è raccomandato un «uso preferenziale per gli over 80». Il 12 maggio, sull'onda dell'entusiasmo per l'arrivo di «20 milioni di dosi a giugno», il Cts certifica la validità degli Open Day, per offrire su base volontaria «i vaccini a vettore adenovirale a tutti i soggetti di età superiore ai 18 anni». Il 14 maggio la Struttura Commissariale invia il parere favorevole del Comitato alle Regioni, che dall'Emilia al Lazio lanciano la trionfale "campagna giovani", per maggiorenni e maturandi.
Dopo un mese di somministrazioni massicce, dopo la morte di Camilla, dopo il sequestro del lotto di vaccino già inoculato a lei e a un'altra giovane 34enne ora in ospedale, tutto cambia di nuovo: niente Astrazeneca per gli under 60, e chi l'ha già assunto con la prima dose farà la seconda con Pfizer o Moderna. Dovremmo essere soddisfatti. Ma non lo siamo. Perché pensiamo allo stato d'animo dei ragazzi che si sono vaccinati con Astrazeneca fino ad oggi. Perché ci chiediamo quanto varrà questa ulteriore raccomandazione (solo più «perentoria» delle altre) visto che le stesse autorità che la riformulano oggi l'avevano disattesa nei mesi scorsi. Perché non sopportiamo più lo scaricabarile sistematico, con le regioni che accusano il Commissario e l'Aifa che accusa le regioni.
Intendiamoci: come scrive Fareed Zakaria (Il mercato non basta – Dieci lezioni per il mondo dopo la pandemia, Feltrinelli) la scienza è innanzitutto un metodo di indagine: pone domande e mette rigorosamente alla prova le ipotesi. Dalla scienza non possiamo pretendere risposte semplici e definitive, meno che mai quando "opera nelle nebbie" in cerca di un virus sconosciuto. Solo a gennaio 2020 Anthony Fauci, il più grande immunologo del pianeta, diceva testualmente: «C'è un bassissimo rischio per gli Stati Uniti… Non è qualcosa di cui devono preoccuparsi gli americani o di cui essere spaventati». Abbiamo visto com'è finita, 4 milioni di morti dopo.
Lasciamo che gli scienziati facciano il loro lavoro (magari lontani dalla cerimonia cannibale dei talk televisivi). Ma è dai politici che dobbiamo esigere una maggiore assunzione di responsabilità. Anche quando si consumano tragedie impreviste, ma forse non imprevedibili come quella di Camilla. Anche quando si combatte una guerra asimmetrica contro un nemico invisibile come la pandemia, che fiacca le nostre economie e indebolisce le nostre democrazie. Vale per Salvini, che specula sulla morte di Camilla bombardando l'esecutivo di cui è "azionista" e accusandolo di aver usato bimbi e ragazzi come cavie da "laboratorio", neanche fossimo nella "clinica" del dottor Mengele ad Auschwitz. Ma vale anche per Figliuolo, per Speranza e per Draghi, che hanno il dovere di decidere in modo chiaro e di comunicare in modo tempestivo. Per citare ancora una volta Zakaria: come nel Novecento il dibattito pubblico è ruotato intorno alla "quantità di governo" (cioè la dimensione e il ruolo dello Stato nella società e nel mercato), in questa crisi epocale l'unica cosa che conta è la "qualità del governo" (cioè l'efficienza delle strutture e l'efficacia delle scelte).
I vaccini sono la sola nostra ancora di salvezza, in una tempesta che ciascuno di noi affronta su barche diverse. Io voglio che tutti si vaccinino. Voglio che il G7 costringa Big Pharma a rinunciare ai brevetti, perché il vaccino sia disponibile e accessibile anche alla metà povera del mondo che finora non l'ha avuto. Di più: come dissi all'allora premier Conte, nell'ultima puntata di "Porta a Porta" prima della sua caduta, voglio che il vaccino contro il Covid diventi obbligatorio per legge. Ma questa volontà, individuale o collettiva che sia, non può prescindere dalla fiducia. Se manca quella, non c'è resilienza possibile. Se manca quella, come dice Galileo, «la mattina non mi sento la forza di alzarmi dal letto». —
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L’amaca
Il dosaggio del vaccino
di Michele Serra
Non riesco più a leggere una sola riga sull’argomento vaccini.
Non credo sia incoscienza: devo ancora fare la seconda dose, mi sento pienamente coinvolto, e direi che niente, negli ultimi mesi, sia stato socialmente più rilevante della campagna di vaccinazione di massa. Credo sia saturazione.
Se non mi entra in testa più niente, al riguardo, è perché ho letto e sentito, da quando siamo in pandemia, circa un milione di volte la parola vaccino. Con tutto il corollario di opinioni, previsioni, statistiche, ordini e contrordini, pareri di esperti e pareri di passanti. Un bolo gigantesco che da un certo momento in poi non sono stato più in grado di assimilare.
La saturazione è un processo di autodifesa.
Si chiudono dei ricettori, si ostruiscono delle aperture, ci si chiude per sfinimento.
Siamo adulti e vaccinati (appunto) e dunque sappiamo bene che l’informazione è un valore della democrazia. Che il cittadino disinformato — perché è escluso dal circuito o per menefreghismo suo — non è un buon cittadino. Ma sul dosaggio, ancora non siamo diventati bravi. Né il venditore, né il cliente.
Sia chi somministra informazioni, sia chi le riceve, non ha trovato la misura.
Dovessimo fare uno studio scientifico sull’informazione e il Covid, credo ci accorgeremmo che le informazioni utili e verificate sono state appena una parte, forse anche minore, del totale. Il resto era emotività, retorica confezionata per fare audience, concorrenza tra bancarelle adiacenti (il mercato è mercato). L’esistenza delle autorità sanitarie, che decidono anche per mio conto, mi è stata, da un certo punto in poi, di grande sollievo.