mercoledì 16 giugno 2021

Seconda puntata

 

Afghanistan: vent’anni di guerra, centinaia di migliaia di morti e Isis

di Daniele Luttazzi

“Lo sviluppo batterà i talebani, ecco perché restiamo a Kabul. L’Afghanistan è una specie di gigantesca miniera non ancora sfruttata. Stiamo parlando di risorse energetiche come petrolio o gas, ma pure oro, ferro, rame e litio. L’ovest sotto nostro controllo è un terreno vergine dove ci sarebbero molte risorse da verificare e da esplorare. I nostri soldati sono in prima linea e combattono un nemico, ma nell’Afghanistan occidentale anche grazie allo sviluppo stiamo già conquistando i cuori e le menti degli afghani” (Paolo Romani, quando era Ministro per lo Sviluppo Economico del governo Berlusconi).

“L’Italia via dall’Afghanistan” (Agenzia DiRE, 8 giugno 2021).

Gli Usa fecero guerra all’Afghanistan dopo l’11 settembre col pretesto che i talebani non consegnavano bin Laden; ma, come ricordava ieri Massimo Fini su queste pagine, i talebani non c’entravano nulla con bin Laden, al Qaeda e l’11 settembre. La verità è che agli Usa di Bush interessavano le condotte di gas e petrolio in Afghanistan, e l’Italia si accodò alla guerra (in barba alla Costituzione) perché è una provincia dell’Eni (Altre aziende italiane coinvolte nel progetto di costruzione di infrastrutture in Afghanistan: Terna, Enel, Trevi, società agroalimentari e della refrigerazione). Gli errori madornali furono: instaurare un governo corrotto e incapace; imporre una democrazia centralizzata e un’economia di mercato a un’antica società tribale; la pianificazione sconclusionata (Whitlock, 2019); e cercare di ricostruire l’Afghanistan facendo contemporaneamente la guerra ai talebani, che sono pashtun, la fazione principale del Paese (Fisher, 2001). Fra l’altro, i talebani sono nemici dell’Isis, sicché gli Usa, attaccando i talebani, favorivano l’Isis. Senza dimenticare le cappelle alla Jerry Lewis, tipo quella di far finire nelle mani dei talebani circa 2,16 miliardi di dollari stanziati per promuovere lo sviluppo in Afghanistan, attraverso i subappalti di otto ditte di trasporti afghane. Risultato di 20 anni di guerra: centinaia di migliaia di morti; il rafforzarsi dei talebani e dell’Isis; niente democrazia, né stabilità, né sicurezza (un mese fa, un attentato contro una scuola ha ucciso 80 studentesse a Kabul). Il tutto alla modica somma di 133 miliardi di dollari, che aggiustati all’inflazione sono più di quanto gli Usa spesero in Europa col Piano Marshall, e la Rai per il contratto a Fabiofazio. Li avessero dati a me, avrebbero fatto meno danni, e li avrei spesi meglio (avrei comprato la Rai per licenziare Fabiofazio; e il resto l’avrei dato a Emergency). Come si è arrivati alla disfatta? I prossimi cenni storici vi sbalordiranno non poco, se di solito vi informate leggendo gli articoli di Gianni Riotta. Non si stupirà invece chi ha letto qua dei fallimentari interventi Usa in Iraq, Siria, Libia, Yemen, Haiti e Somalia. “Non abbiamo un modello di stabilizzazione post-conflitto che funzioni”, ammette oggi Stephen Hadley, che era national security adviser sotto Bush.

1973: un colpo di Stato in Afghanistan detronizza il re Zahir Shah. 1978: il Partito democratico del popolo afghano (Pdpa), filo-sovietico, instaura la Repubblica democratica dell’Afghanistan, guidata da Mohammad Taraki; ma le riforme del nuovo regime (sovietizzazione, laicizzazione) generano malcontento nella popolazione. In questo contesto comincia a organizzarsi la resistenza islamica armata. 1979: la guerriglia islamica (sostenuta da Iran, Pakistan e Cina) controlla quasi l’80% del territorio afghano. Taraki viene ucciso. L’Urss invade l’Afghanistan. Gli Usa rispondono per le rime: a Washington esce in prima mondiale il film Star Trek.

(2. Continua)

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