domenica 30 settembre 2018

Paragoni



Se questi sono 70mila allora vuol dire che quando salgo sull’autobus pieno, dentro ci sono tremila persone!

Bentornato a casa don Paolo!!!




Dopo oltre tre mesi a causa di una bruttissima caduta, ecco il mitico don Paolo Costa ritornare nella casa di Cassego, luogo in cui ogni anno centinaia di giovani trascorrono settimane improntate alla meditazione, allo svago, all'amicizia. 
Un grande ritorno che ci riempie di gioia!!! 
Vamos don Paolo!!!

Ecco ad esempio


Leggete please, e ditemi voi se...

LO SCHIAFFO ALL’EUROPA E ANCHE AGLI ITALIANI
Francesco Manacorda per Repubblica 

La sfida all’Europa è lanciata, l’azzardo finale sull’Italia e sui suoi risparmiatori è realtà. La rete di sicurezza che il ministro Tria sembrava aver allestito in queste settimane finisce in brandelli in un solo giorno. Al suo posto sventola il panno rosso del deficit al 2,4% del Pil - non per uno, ma addirittura per tre anni - che già stamane ecciterà i mercati finanziari e infiammerà lo spread. A poco è valsa la moral suasion del Quirinale, che adesso arretra dalla trincea del rigore finanziario verso una ridotta dove si conta sulla permanenza al governo del ministro dell’Economia – ma basterà? - per evitare una fuga degli stessi mercati dal rischio Italia improvvisamente più alto.
Il risultato secco è che il rapporto tra deficit e Pil che lo stesso Tria, intessendo una trattativa con Bruxelles, aveva inizialmente fissato all’1,6% del Pil, sale di 0,8 punti. Sono oltre 13 miliardi di euro da destinare al "contratto" Lega-5S. Comprensibile la loro esultanza. Ora ci spiegheranno – hanno già cominciato a spiegarci – che quello che è andato in scena ieri tra i palazzi del potere e le piazze virtuali è il trionfo della democrazia e l’affermazione della vera politica.
Ora ci spiegheranno che la "manovra del popolo", per usare la retorica gonfia e vuota che piace a Di Maio, è anche la condanna definitiva della dittatura di quei tecnici "politicizzati" che nell’immaginario gialloverde sono annidati negli anfratti dei ministeri come un esercito di silenziosi untori.
È di queste certezze che sono piene le bandiere 5 Stelle che ieri sera sventolavano sotto Palazzo Chigi, riprese da Di Maio in una impressionante diretta su Facebook che porta il mito della democrazia diretta in una nuova dimensione.
Sarebbe bello se questo sforamento dei parametri europei – che di per sé non sono un dogma intoccabile – fosse sul serio il segno di un’epoca nuova, in cui una politica responsabile si fa carico di mettere in discussione regole che ritiene illogiche e si assume il compito di far ripartire un Paese che sta già rallentando. Ma non è così: il menù ricchissimo, tutto spese e niente tagli, tutto mance e niente investimenti, che le forze di governo si preparano a somministrare agli italiani è fatto dagli stessi piatti avariati che abbiamo già visto nella vetrina elettorale: condoni e assistenzialismo, ricerca del consenso tra i più anziani a spese dei più giovani.
E anche al di là delle cifre, è la composizione della manovra che si profila che disegna un’idea di Paese – di sviluppo, purtroppo non si può dire – da rigettare: l’ennesimo condono fiscale che premia i furbi e penalizza gli onesti; il vecchio assistenzialismo dc rinnovato prima con le pensioni di cittadinanza e poi – è la promessa – con un reddito di cittadinanza; e ancora la quota 100 sulle pensioni per accontentare le richieste di chi al Nord è entrato giovane in azienda, una carezza fiscale alle partite Iva. È un Cencelli del consenso, un buffet libero delle promesse elettorali dove ognuno può servirsi a suo piacere in attesa che altri paghino il conto.
Ma il conto chi lo pagherà?

«Insieme abbiamo dimostrato che cambiare il Paese si può e che i soldi ci sono», tuona trionfante ieri sera Di Maio. Sì, i soldi ci sono, ma sono nelle mani di chi deve comprare il nostro debito pubblico: uno stock accumulato di 2.300 miliardi, 400 miliardi che l’Italia chiede ai famigerati mercati ogni anno emettendo titoli di Stato. Da ieri sera diventa più difficile e più costoso trovare quei soldi. E il conto dello spread che corre ecco la promessa elettorale vera che i gialloverdi non hanno mai raccontato - lo pagheremo noi.

Travaglio incazzato


venerdì 28/09/2018
Il Consiglio supino della magistratura

di Marco Travaglio

“Vorrei capire come sia possibile che tanti uomini… talvolta sopportino un tiranno solo, che non ha altro potere se non quello che essi stessi gli accordano, che ha la capacità di nuocere loro solo finché sono disposti a tollerarlo, e che non potrebbe fare loro alcun male se essi non preferissero sopportarlo anziché opporglisi… Sono i popoli stessi che si lasciano incatenare, perché se smettessero di servire, sarebbero liberi. È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola da solo, che potendo scegliere tra servitù e libertà, rifiuta la sua indipendenza e si sottomette al giogo… Il padrone che vi domina ha solo due occhi, due mani, un corpo, niente di diverso dall’ultimo dei cittadini… salvo i mezzi per distruggervi che voi stessi gli fornite… Decidete una volta per tutte di non servire più, e sarete liberi”. Così scriveva nel ’500 il filosofo francese Étienne de La Boétie, nel Discorso sulla servitù volontaria. E chissà cosa scriverebbe oggi se avesse assistito all’ultimo ripugnante spettacolo andato in scena nel cosiddetto Consiglio superiore della magistratura. Lì un manipolo di magistrati delle correnti “di destra” MI e Unicost, in preda a una nuova Sindrome di Stoccolma detta Sindrome del Nazareno, si sono consegnati mani e piedi a quel che resta dell’Ancien Régime che ha sgovernato e rapinato l’Italia, devastando la legalità e soggiogando la magistratura e ogni altro potere di controllo e garanzia: Pd e FI.

Infatti hanno eletto vicepresidente del fu “organo di autogoverno” l’unico parlamentare presente fra i 27 membri, cioè l’ultimo che potesse garantire un barlume di autonomia: il turborenziano David Ermini. Questi ha raccolto 13 voti: quello del Pd (il suo), i 10 di MI e Unicost, più i capi della Cassazione (Mammone di MI e Fuzio di Unicost) che, anziché astenersi o votare un candidato apolitico, si sono accodati ai diktat delle correnti in barba all’ultimo monito di Mattarella (“I togati non devono decidere secondo logiche di pura appartenenza”). Dietro le quinte tirava i fili Cosimo Ferri, l’ex leader di MI che entrò nei governi Letta e Renzi in quota FI e ora è deputato Pd. L’altro candidato, Alberto Maria Benedetti, docente indipendente indicato dal M5S, ha avuto 11 preferenze: i 3 laici M5S e i 2 leghisti, i 4 togati di Area (corrente di sinistra) e i 2 di Autonomia e Indipendenza (Davigo e Ardita). Grazie ai voti decisivi dei vertici di Cassazione, i 2 laici berlusconiani si sono concessi il lusso di astenersi, nel tentativo di nascondere l’inciucio. Sono lontani i tempi in cui la peggior minaccia all’indipendenza delle toghe era la politica.

Ora è chiaro a tutti che sono gli stessi magistrati, o una bella fetta di essi, in preda alla servitù volontaria o – per dirla con Paolo Sylos Labini – alla “cupidigia di servilismo”. Ormai l’indipendenza della magistratura è affare troppo serio per lasciarlo nelle mani dei magistrati: solo una riforma costituzionale che abolisca i membri laici e designi i togati col sorteggio può restituirci l’autogoverno perduto. Del resto, senza la complicità di ampi settori togati, negli ultimi anni il Csm non avrebbe potuto trascinare alla gogna i pm più invisi al potere: Di Matteo, Woodcock, Robledo ecc. Né promuovere plotoni di toghe provenienti dal Parlamento, dai ministeri o da altre poltrone di nomina politica. Così, nei prossimi quattro anni, a guidare (per conto del capo dello Stato) il Csm che dovrebbe tutelare l’indipendenza dei magistrati sarà uno dei più ringhiosi portaordini di Renzi, che nell’ultima legislatura si è distinto per gli attacchi a chiunque osasse indagare sul suo capetto e i suoi compari e in proposte di legge per mettere il guinzaglio alle Procure e il bavaglio a quel che resta della libera stampa (oltre all’ideona della licenza di sparare ai ladri, ma solo di notte). “Escono notizie di una gravità inaudita. Prima si prende di mira Renzi e poi si lavora sulle indagini? Ci sono mandanti?”, sparava Ermini nei giorni del caso Consip, strillando al complotto (poi smentito dalla Cassazione) del capitano Scafarto e del pm Woodcock: “Scafarto non può aver fatto tutto da solo… vogliamo i mandanti”. E giù botte sull’“inchiesta inquietante” che vuol “colpire l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi” (in realtà sono indagati Lotti, papà Tiziano e altri renziani sfusi), “un atto gravissimo, una caccia all’uomo” per “attaccare un organo dello Stato”.

E poi la cena a Firenze di un’associazione anti-giudici con 300 invitati, fra cui lui, l’indagato Lotti, Carrai e il resto del Giglio Magico, per denunciare “la giustizia politicizzata” e la “gigantesca questione democratica” rappresentata non dai traffici per truccare il più grande appalto d’Europa, ma da chi osava indagare. Nel 2016 il Foglio scrisse (falsamente) che il giudice Morosini, membro del precedente Csm, aderiva ai comitati del No al referendum. Ermini prese subito la mira come un berlusconiano qualunque, e come se un giudice non potesse difendere la Costituzione su cui ha giurato: “Vedo che ci sono prese di posizione di membri della magistratura su scelte della politica. E io un domani dovrei farmi giudicare da uno così?”. Già che c’era, voleva pure tappare la bocca al Csm che aveva osato dare parere negativo (come previsto dalla legge) sul ddl anticorruzione di Renzi: “Giudizio incomprensibile e sconcertante”. A suo dire, i giudici non potevano parlare neppure di corruzione. Infatti, quando Davigo lo fece, Ermini lo fulminò all’istante: “Davigo cerca la rissa, ma non la trova. I giudici parlino con le sentenze”. Ora ben 12 magistrati del Csm chiamano questo bel tomo a difendere l’indipendenza della magistratura. La classica volpe a guardia del pollaio, con l’aggravante che ce l’hanno messa le galline. E soprattutto i polli.

Irreale



C'è qualcosa di strano che aleggia in questo povero ed agonizzante paese, ad iniziare dalla protesta montante su giornali,i oramai carta straccia, indignati per lo sforamento del parametro del deficit, che ritengo personalmente sacrosanto, visto che tende a recuperare la dignità delle persone irrise, prese per il culo in tutti questi anni, sia durante l'Era del Puttanesimo che, soprattutto, in quella del Ballismo, in cui una banda di aficiosados dei poteri forti, guidati da un Egoriferito, ammiccò con banche e Confindustria, sbeffeggiando la cosiddetta gente comune, immettendo nel mercato una forma di schiavismo 2.0 chiamata dai vari Poletti jobs act.
Tendere ad innalzare le pensioni minime, dare un reddito minimo a tanti disperati, legati però alla volontà di ricerca di un lavoro, mandare in pensione lavoratori a 62 anni, consentendogli dignità e un riposo strameritato, sono giustissime e sacrosante azioni tendenti a ridurre l'immane gap tra classi sociali presenti in queste lande oramai desolate e distrutte dalle scorribande precedenti. A chi, alloccamente, squittisce, vedi Repubblica, evidenziando lo sforamento del 2,4% sul deficit occorre rispondere di pari tono: ma chi cazzo lo ha fatto questo debito? Chi ha fatto sparire un miliardo dai conti correnti di gente onesta? Chi ha imprestato milioni di euro a ladri in cravatta ben sapendo di non rivederli mai più (li chiamano beffardamente sofferenze)? Chi cazzo ha lucrato su opere faraoniche che non servono a una minchia e non funzionano (Mose veneziano)? Chi ha fatto linee ferroviarie ad alta velocità ad un costo tre, quattro volte quello francese o tedesco?
Vedere poi il Giornale dell'evasore seriale, contestare lo sforamento, mette un'insana (o sana?) voglia di partire per Arcore con tanto di stoccafisso secco!
Stai a vedere che adesso la colpa del probabile, e teleguidato, spread sarà di chi, cercando onestamente di riportare uguaglianza sociale, sfora rischiando di far incazzare l'Europa (quella che una volta al mese trasporta il parlamento da Bruxelles a Strasburgo spendendo centinaia di milioni a cazzo)
Adesso manca solo la ciliegina: la galera per chi evade. Non Cesano Boscone, la galera!

Pelle d'oca


Dovremmo scendere nelle piazze, tutti ma proprio tutti, dopo aver ascoltato le parole di uno degli eroi del nostro tempo, il giudice Di Matteo, perché ciò che dichiara in questo video ha dell'incredibile: il Puttaniere avrebbe pagato la mafia anche da presidente del Consiglio!!! Tanto incredibili, tanto il disgusto, da far venir la voglia di disinteressarsi, concentrandosi sulle vicende del Grande Fratello Vip... ma è quello che vorrebbe il proprietario di Canale 5, foraggiatore, pare, di Riina.

Video

giovedì 27 settembre 2018

Edddaii!



Anni trascorsi ad assistere a mercati rionali, tra puttanieri, egoriferiti senza alcuna dignità, manovre penalizzanti i soliti ed impavidi coglioni, che siamo noi naturalmente, lustri ad assistere silenti all'agghiacciante sceneggiata in cui l'imbelle di turno, deputato al puro avanspettacolo, lanciava fregnacce di ogni genere promettendo la solita ed arcinota lotta all'evasione fiscale, rigorosamente in seguito irrisa da accordi sottobanco tra loschi figuri fingentisi politici e riccastri della malora assatanati come non mai ad eludere il dovere di partecipare alla spesa pubblica; ed oggi che un manipolo di sprovveduti tenta di raddrizzare il timone di questo Titanic italico, arrivando persino a progettare l'arresto per i ladroni incravattati, ecco tuonare il fronte di fuoco dissacrante, la prodigiosa macchina da guerra di giornaloni come questo, che fingendosi attenti, scrupolosi, ineccepibili, sperano in una caduta evitante una giusta e sacrosanta battaglia contro le disparità sociali. Vien infine da domandare a Repubblica: dove cazzo eravate al tempo in cui il vostro caro amato giullare Bomba, defenestrava i diritti dei lavoratori abolendo l'articolo 18, dove eravate allorché quella oramai triste e famosa banda dei disonesti creava artificiosamente il famigerato Jobs Act, dando il via ad una schiavitù 2.0? 
Dove eravate scribi del nulla? Foste stati attenti come lo siete ora, di certo ne avrebbe giovato la libertà di stampa, di opinione, di critica! Siete oramai comici e simili a coloro che s'immobilizzarono nei loro patetici girotondi, allorché il Pifferaio Rignanese infestò la penisola di fiabe urticanti, al tempo dell'Era del Ballismo, per fortuna ormai storia e ricordo mefitico.    

Termine corretto


Fai palestra, muoviti, cerca di dimagrire... ieri sera ho seguito i consigli... a modo mio: ho fatto i muscoli... anzi a dire il vero li ho mangiati.. così tanti che ora ho praticamente un vivaio nella bonza che mi porto appresso a marsupio. Se non siete di Spesa e chiamate cozze i muscoli, non proseguite nella lettura... e pentitevi! 
E ho fatto pure giardinaggio, visto che quando si mangiano i muscoli occorre necessariamente inaffiare a nastro con “gianco” di quello buono! Insomma: serata decisamente salubre... e sportiva! Buon stabulatore!

Bleah!


mercoledì 26/09/2018
Fate schifo

di Marco Travaglio

Noi non lo sapevamo, ma ogni volta che passavamo in auto sul ponte Morandi di Genova fungevamo da cavie di Autostrade per l’Italia, controllata da Atlantia della famiglia Benetton, che “utilizzava l’utenza, a sua insaputa, come strumento per il monitoraggio dell’opera”. Cavie peraltro inutili, inclusi i poveri 43 morti del 14 agosto: “pur a conoscenza di un accentuato degrado” delle strutture portanti, la concessionaria “non ha ritenuto di provvedere, come avrebbe dovuto, al loro immediato ripristino” né “adottato alcuna misura precauzionale a tutela” degli automobilisti. Lo scrive la Commissione ispettiva del ministero, nella relazione pubblicata dal ministro Danilo Toninelli. Autostrade-Atlantia-Benetton “non si è avvalsa… dei poteri limitativi e/o interdittivi regolatori del traffico sul viadotto” e non ha “eseguito gli interventi necessari per evitare il crollo”. Peggio: “minimizzò e celò” allo Stato “gli elementi conoscitivi” che avrebbero permesso all’organo di vigilanza di dare “compiutezza sostanziale ai suoi compiti”. Non aveva neppure “eseguito la valutazione di sicurezza del viadotto”: gl’ispettori l’hanno chiesta e, “contrariamente a quanto affermato nella comunicazione del 23.6.2017 della Società alla struttura di vigilanza”, hanno scoperto che “tale documento non esiste”. Le misure preventive di Autostrade “erano inappropriate e insufficienti considerata la gravità del problema”, malgrado la concessionaria fosse “in grado di cogliere qualitativamente l’evoluzione temporale dei problemi di ammaloramento… Tale evoluzione, ormai da anni, restituiva un quadro preoccupante, e incognito quantitativamente, per la sicurezza strutturale rispetto al crollo”.

Eppure si perseverò nella “irresponsabile minimizzazione dei necessari interventi, perfino di manutenzione ordinaria”. Così il ponte è crollato, non tanto per “la rottura di uno o più stralli”, quanto per “quella di uno dei restanti elementi strutturali (travi di bordo degli impalcati tampone) la cui sopravvivenza era condizionata dall’avanzato stato di corrosione negli elementi strutturali”. E la “mancanza di cura” nella posa dei sostegni dei carroponti potrebbe “aver diminuito la sezione resistente dell’armatura delle travi di bordo e aver contribuito al crollo”. Per 20 anni, i Benetton hanno incassato pedaggi e risparmiato in sicurezza: “Nonostante la vetustà dell’opera e l’accertato stato di degrado, i costi degli interventi strutturali negli ultimi 24 anni, sono trascurabili”. Occhio ai dati: “il 98% dell’importo (24.610.500 euro) è stato speso prima del 1999”, quando le Autostrade furono donate ai Benetton, e dopo “solo il 2%”.

Quando c’era lo Stato, l’investimento medio annuo fu di “1,3 milioni di euro nel 1982-1999”; con i Benetton si passò a “23 mila euro circa”. Il resto della relazione, che documenta anche il dolce far nulla dei concessionari, ben consci della marcescenza e persino della rottura di molti tiranti, lo trovate alle pag. 2 e 3. Ora provate a confrontare queste parole devastanti con ciò che avete letto in questi 40 giorni sulla grande stampa. E cioè, nell’ordine, che: per giudicare l’inadempimento di Autostrade (i Benetton era meglio non nominarli neppure) bisogna attendere le sentenze definitive della magistratura (una decina d’anni, se va bene); revocare subito la concessione sarebbe “giustizialismo”, “populismo”, “moralismo”, “giustizia sommaria”, “punizione cieca”, “voglia di ghigliottina” e di “Piazzale Loreto”, “sciacallaggio”, “speculazione politica”, “ansia vendicativa”, “barbarie umana e giuridica”, “cultura anti-impresa” che dice “no a tutto”, “pericolosa deriva autoritaria”, “ossessione del capro espiatorio”, “esplosione emotiva”, “punizione cieca”, “barbarie”, ”pressappochismo”, “improvvisazione”, “avventurismo”, “collettivismo”, “socialismo reale”, “oscurantismo” (Repubblica, Corriere, Stampa, il Giornale); l’eventuale revoca senz’attendere i tempi della giustizia costerebbe allo Stato 20 miliardi di penali; è sempre meglio il privato del pubblico, dunque le privatizzazioni non si toccano; il viadotto non sarebbe crollato se il M5S non avesse bloccato la Gronda (bloccata da chi governava, cioè da sinistra e destra, non dal M5S che non ha mai governato; senza contare che la Gronda avrebbe lasciato in funzione il ponte Morandi); e altre cazzate.

Repubblica: “In attesa che la magistratura faccia luce”, guai e fare di Atlantia “il capro espiatorio di processi sommari e riti di piazza”, “tipici del populismo”. Corriere: revocare la concessione sarebbe “una scorciatoia”, “un errore” e “un indizio di debolezza”. La Stampa: il crollo del ponte è “questione complessa” e nessuno deve gettare la croce addosso ai poveri Benetton (peraltro mai nominati), “sacrificati” come “capro espiatorio contro cui l’indignazione possa sfogarsi”, come nei “paesi barbari”. Parole ridicole anche per chi guardava le immagini del ponte crollato con occhi profani: se lo Stato affida un bene pubblico a un privato e questo lo lascia crollare dopo averci lucrato utili favolosi, l’inadempimento è nei fatti, la revoca è un atto dovuto e il concessore non deve nulla al concessionario. O, anche se gli dovesse qualcosa, sarebbero spiccioli (facilmente ammortizzabili con i pedaggi) rispetto al danno che deriverebbe dalla scelta immorale di lasciare quel bene in mani insanguinate. Ora però c’è pure la terrificante relazione ministeriale, che va oltre le peggiori aspettative. In un Paese serio, o almeno decente, i vertici di Autostrade-Atlantia-Benetton, anziché balbettare scuse o chiedere danni in attesa di farne altri, si dimetterebbero in blocco rinunciando alla concessione, per pudore. E i giornaloni si scuserebbero con i familiari dei 43 morti e uscirebbero su carta rossa. Per la vergogna.

martedì 25 settembre 2018

lunedì 24 settembre 2018

Est...


Così con naturalezza Sir Mick attende l’ottavo figlio!! Esssticcazzi!

Riflessione


MEMORIA E SEDIE VUOTE

Attilio Bolzoni


Così, in forma tanto plateale e irriguardosa, non era mai accaduto. Nemmeno nella Sicilia più ripiegata su se stessa, le terre agrigentine. Nel giorno in cui si ricordavano i giudici Rosario Livatino e Antonino Saetta — tutti e due della provincia di Agrigento e tutti e due uccisi in provincia di Agrigento — l’autorevole ospite chiamato a rievocarne la figura si è ritrovato quasi solo nel teatro comunale di Canicattì. Una diserzione di massa, il trionfo dell’indifferenza. Sul palco il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, in platea una trentina fra ufficiali dei carabinieri, poliziotti, il sindaco, due o tre cittadini, il prefetto. Non c’era un solo magistrato delle procure vicine. Non c’erano neppure i familiari di Saetta e di Livatino.
Una defezione che ha provocato la comprensibile irritazione del procuratore nazionale e segnala in tutta evidenza quella "stanchezza" che — in Sicilia come altrove — si è accumulata in questi ultimi anni davanti alle svariate commemorazioni. Sarà stata pure l’approssimativa preparazione dell’incontro, però il senso che si coglie intorno a questo abbandono ci porta a riflettere su ben altro. E non tanto sulla credibilità di cui gode ancora la mafia nel centro della Sicilia — sempre meno — ma sulla poca credibilità di cui gode lo Stato in quelle stesse zone. Il procuratore nazionale, giustamente adiratissimo, per le sue origini napoletane si è sentito catapultato nella Casal di Principe di una quindicina di anni fa e ha annunciato che «su Canicattì ci sarà un’attenzione particolare del mio ufficio » . Con tutto il rispetto e la stima che abbiamo sempre avuto per Federico Cafiero De Raho, per comprendere cosa abbia mai provocato un’assenza così clamorosa lo invitiamo a guardare per una volta non in direzione della mafia ma dall’altra parte.
Lì, nelle zone interne della Sicilia dove ieri l’altro ha trovato nessuno, lo Stato nell’ultimo decennio ha dato cattiva prova di sé. Con certi prefetti al servizio di lestofanti, funzionari del Viminale in combutta con imprenditori spregiudicati, rappresentanti delle Istituzioni nelle mani di un sistema criminale, ministri dell’Interno in vergognosa promiscuità con indagati di 416 bis, ufficiali dell’Arma e pezzi grossi della Dia a mendicare favori, personaggi al di sotto di ogni sospetto santificati da una parte della magistratura e da gran parte della stampa.
Un’opera di devastazione, culturale e civile, che ha sotterrato quella fiducia che i siciliani avevano cominciato a coltivare dopo le stragi del 1992, quando lo Stato aveva mostrato il suo volto migliore. Il procuratore nazionale antimafia è stato invitato proprio nel cuore di una Sicilia sfigurata dagli inganni. Ecco perché — secondo noi — quelle 256 poltrone del teatro comunale di Canicattì erano quasi tutte vuote.

domenica 23 settembre 2018

Biascicante



Come uno dei più importunanti ed ebbri mariachi, sorretto da una chirurgia estrema, trasformato da cerone e stucco in una macchietta da avanspettacolo, il bonzo delinquenziale ha parlato in quel di Fiuggi, permettendo alla sua tv Canale 5 di aprire il tg con un ampio e reverenziale servizio come se ancora fosse un perno della nostra politica. Questo ducetto oramai, per fortuna, alla fine del sacrosanto viale del tramonto, ha proferito le solite balle ad uso e consumo degli sparuti e devoti allocchi di corte, evidenziando tra l’altro il pericolo per uno sforamento del deficit, che potrebbe essere anche vero se non fosse proferito da uno come lui che durante la famigerata Era del Puttanesimo, sparpagliò denari e risorse in modo vergognoso, facendo rollare oltremodo la nave Italia, con il serio rischio di letale affondamento. Ma un comico del suo stampo, sicuro che oramai nessuno ricordi le sue inaudite gesta politiche di un tempo, ad uso e consumo delle sue ricchezze, biascicando, auspica il ritorno al governo, senza rendersi conto che sia il ciclo biologico che il ritrovato senno italico, lo abbiano già riposto in un’inaccessibile soffitta, assieme al suo nipotino rignanese.

Senza remore


Oggi pomeriggio sarà ospite nel programma educativo della D’Urso quel tale psicopatico di nome Rodrigo Alves che pare abbia già speso un milione di dollari per assomigliare a Ken. Oltre al Tso per questo idiota, chiuderei pure quell’immondezzaio televisivo, istigante al ritocco e alla sublimazione della finzione.

Un freno salutare



L’aggiornamento del sistema IOS permette allo smart di presentare il conto settimanale di utilizzo, che a me personalmente fa molto riflettere: l’ho smanecchiato per 15 ore, due ore al giorno. Troppe? Poche? Non so, tenendo conto che ho anche l’IPad e il Pc in casa forse sono tante, vorrei limitarmi, guardando di più facce di amici, di parenti, utilizzando le ormai roche corde vocali per un’interazione più umana, costruttiva. E allora ho deciso di fare, almeno due volte al mese, la giornata DDS, digiuno dai social, impegnandomi ad utilizzare le virtù umane, oramai atrofizzate per inutilizzo: chiacchierata al bar, discussioni per via, lettura, passeggiate con musica. Fondamentalmente per irrobustirmi in vista della sfida finale ormai prossima a venire, la realtà virtuale, tanto affascinante, l’ho provata, da trasformarci in amebe, in licheni con visore, sfanculanti il reale, che probabilmente diverrà insipido e senza attrattive di sorta. No, non voglio finire così!

Happy Birthday!



Attendendo tue nuove ed inebrianti novità musicali, a un passo dai 70, non ho che da dirti Buon compleanno Boss!

sabato 22 settembre 2018

Vomitevole



Ecco la razzista, l’inverecondo sindaco di Lodi che senza orpelli né fronzoli ha il coraggio e la faccia tosta di non permettere a bambini, bambini, figli di regolari stranieri, nati in Italia, quindi italiani come questa scimmietta vergognosa e scandalosa, di accedere alla mensa scolastica a tariffe agevolate, perché i loro genitori non si possono permettere l’intera spesa guadagnando neppure mille euro, essendo sfruttati dai cosiddetti buoni e bianchi. E come mangiano questi italiani figli di stranieri? In un locale spoglio portandosi i panini da casa! Dio strafulmini questi imbecilli razzisti, questo improvvido primo cittadino votato a maggioranza da una città quindi xenofoba, denigrante fratellanza e umanità! D’estate rimanga in quelle arse terre sindaco razzista! Non venga al mare! La ghettizziamo noi! E vaffanculo a chi la pensa come questa ribalda, compreso tutti coloro che odono il Cazzaro ragliare come questa stolta, senza far nulla! Fascisti di merda!

Questo è l’articolo infamante

sabato 22/09/2018
LA STORIA • LABORATORIO LODI
Niente più bambini stranieri a scuola
LA STRETTA DEL SINDACO LEGHISTA - PER BUS SCOLASTICI E MENSE BISOGNA CONSEGNARE CERTIFICATI DEI PAESI D’ORIGINE IMPOSSIBILI DA REPERIRE, ALTRIMENTI SI PAGA LA RETTA PIÙ ALTA. COSÌ 200 FIGLI DI STRANIERI MA NATI IN ITALIA SI PORTANO I PANINI DA CASA. E VENGONO, DI FATTO, ESCLUSI

di Davide Milosa

La prima campanella della mensa suona un quarto d’ora dopo mezzogiorno. Via Ettore Archinti, complesso scolastico Cabrini. Elementari e materna, qui a Lodi, a metà strada tra il centro e la città bassa. Le prime classi iniziano a scendere. Ragazzini ordinati dietro le maestre. La mensa è nel sotterraneo. Ambiente così e così, finestre a bocca di lupo lungo le pareti. A sinistra dell’ingresso della scuola, c’è una sala che nulla ha a che vedere con la mensa. Più che una sala, un’aula docenti, anche se prima era un magazzino. Le tapparelle sono abbassate, qualche disegno, appiccicato sugli armadi di metallo. In mezzo, due gruppi di banchi e tredici sedie, con altrettante tovagliette: la signora Anna ha apparecchiato da poco. Seduti ci sono 13 bambini, quasi tutti originari dell’Egitto, che da pochi minuti si sono messi a mangiare. Panini perlopiù, un po’ di verdura, qualche frutto: tutto cibo portato da casa. Sono 13 adesso. Nel secondo turno, ne arriveranno altri otto, di bambini.

Da due giorni è iniziata la mensa a scuola. Ovunque in Italia. E anche a Lodi. Ma qui le cose vanno diversamente. Almeno per questi 21 bambini. La mensa, quella tradizionale, per loro è blindata. Con tanto di guardiania a bloccare l’accesso. Vietato entrare.

Questi bambini sono tutti nati in Italia e tutti figli di immigrati. Sono figli di lavoratori, nel nostro Paese da molto tempo, alcuni da oltre vent’anni. Famiglie numerose, tre figli, a volte anche quattro. E uno stipendio che a metterlo insieme ora dopo ora, giorno dopo giorno, non supera gli 800 euro al mese, quando va bene. Devono pagare la retta più alta per la mensa e lo scuolabus, così dispone il Comune di Lodi. E se i loro genitori non ce la fanno, come nella maggioranza dei casi, la mensa salta. Per quasi 200 bambini in tutta la città.

Ma se guadagnano 800 euroa malapena al mese, come tante famiglie di italiani, perché non pagano tariffe agevolate? La risposta, tanto semplice quanto inquietante, sta in piazza Broletto, sede del Comune. Ai piani alti. Su su fino alla poltrona del sindaco. Casacca leghista da sempre, anche se è nel 2010 che Sara Casanova entra nel partito guidato da Matteo Salvini. Prima un po’ di gavetta, sempre a Lodi, poi nel 2013 il suo ingresso in Comune. Sarà eletta primo cittadino nel giugno del 2017. Qualche settimana dopo, firma una delibera del consiglio comunale che modifica una serie di articoli del “vigente regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate”. Fuori dai tecnicismi della pubblica amministrazione, e nella sostanza, si chiede agli stranieri, quelli non provenienti da Paesi non Ue e quindi extracomunitari, di portare, in aggiunta alla dichiarazione del reddito, anche le certificazioni di non possesso di case, conti correnti e auto nel loro Paese di origine. Documenti da recuperare in originale e per i quali non vale l’autocertificazione (pratica che invece resta in vigore per i cittadini italiani).

Tutto passa senza tanto clamore. L’anno scolastico è in corso, se ne riparlerà a settembre dell’anno successivo. E infatti oggi se ne riparla, e non poco. Il caso esplode. Qualcuno, sottovoce, parla di laboratorio Lodi. Fin da subito si comprende che dietro alla guerra di carte bollate, si gioca una partita politica tutta leghista e con un obiettivo chiaro: cacciare dalla scuola gli stranieri. E che la road map sia questa lo si comprende dalle carte e dagli obblighi: i documenti richiesti, infatti, sono da cercare al catasto dei vari Paesi, operazione quasi impossibile, costosa e da rifare ogni anno. In più non si chiede di certificare l’assenza di proprietà in una singola città, ma in tutto il territorio dello Stato di origine. Alla data del 7 settembre scorso, per il solo servizio mensa sono state presentate in Comune 132 domande: di queste 3, con documentazione ritenuta completa o ancora da valutare; 129 sono state invece rifiutate. Se si considera anche il servizio scuolabus, le domande salgono a 255. La delibera prevede una deroga solo per quattro Paesi per cui si ritiene impossibile avere accesso a tali documenti: Afghanistan, Libia, Siria, Yemen. Per definire questi Stati, è stato interpellato il ministero degli Esteri, che non ha risposto. Così il criterio scelto dal sindaco si basa su una lista di Paesi a rischio, stilata dalla società londinese Ihs Markit, ma sulla base di questioni relative agli scambi commerciali che non si capisce cosa centrino, come hanno sottolineato le opposizioni.

Niente documenti, niente mensa, insomma. “Chi vuole la tariffa agevolata per le prestazioni legate alla scuola deve portare la documentazione richiesta”, minimizza il sindaco. “Come deve fare chiunque. Loro, a maggior ragione, se vogliono integrarsi, qualche sforzo dovranno pur farlo, no?”. E intanto incassa la fiducia del governatore lombardo Attilio Fontana e dell’assessore regionale al Territorio, Pietro Foroni. Ma non pare il classico adagio leghista, “Prima gli Italiani”. Qui siamo al niente più bimbi stranieri a scuola, perché se la delibera non dovesse cambiare, il risultato è certo. E non è cosa da poco, fa notare un dirigente scolastico di Lodi che chiede l’anonimato. “Noi abbiamo il tempo pieno alle elementari, e la mensa è parte integrante del percorso didattico: è un obbligo oltreché un diritto”. E così Lodi, dopo la bufera giudiziaria sui comitati d’affari che ha portato a processo l’ex sindaco Pd Simone Uggetti, ora si ritrova agli onori delle cronache come città razzista e poco incline all’integrazione.

“L’anno scorso pagavo 1,20 euro al giorno per la mensa, ora dovrei pagarne oltre sei”. Saber viene dall’Egitto, è in Italia dal 1999. “Fino al 2013 ho sempre lavorato e ho sempre pagato le tasse qui, non certo in Egitto. Oggi vivo con un contratto di 16 ore settimanali, circa 800 euro al mese, finchè dura”. In casa, la moglie e tre bambini. Per ognuno, c’è la mensa e lo scuolabus che, con le tariffe più alte, costa 220 euro al mese per il primo figlio, 110 per il secondo, 95 per il terzo: 425 in totale ogni mese. Mohammed, di figli, ne ha uno. Attualmente in cassa integrazione, a volte lavora a Montanaso lombardo. “Anche mia figlia per ora porta il pasto da casa… non possiamo permetterci diversamente”.

Ma dalla prossima settimana, forse, niente più schiscetta in tutte le scuole di Lodi. Non che il pasto da casa verrà vietato in via generale, ma bisognerà seguire direttive precise imposte dall’Azienda sanitaria lombarda: “Dovrà anche essere valutata la modalità e il luogo di conservazione degli alimenti in attesa di essere consumati”, si legge. Ci vogliono insomma i frigoriferi. E i frigoriferi vanno comprati, e dunque? Il Provveditore scolastico di Lodi Iuri Coppi giovedì scorso, durante un incontro con i dirigenti delle varie scuole, ha proposto di imporre al Comune l’acquisto degli strumenti per la conservazione del cibo, perché non si può mandare a casa i bambini, soprattutto quelli di prima elementare, che iniziano ora il loro viaggio scolastico: è il suo ragionamento.

Le mamme di bimbi stranieri restano pessimiste. “Così andrà a finire che mio figlio a scuola non ci andrà – inizia Aisha, mamma egiziana di tre figli – e dovrò andarli a prendere, portarli a casa, farli mangiare, riportarli in classe”. Il tutto senza scuolabus, perché pure per quello dovrebbe pagare la retta massima. Le storie si accavallano una dopo l’altra. Si parla seduti ai tavolini dell’associazione Al Rahama, in via Borgo Adda. Sono le 10 del mattino. Oltre ai genitori, ci sono alcuni bambini che oggi a scuola non sono andati. L’associazione è elemento di raccordo per le famiglie, tante, almeno 150, che stanno protestando. Sono arrivati fin sotto il Comune, sabato scorso, in piazza. Breve incontro col sindaco e fumata nera: Sara Casanova va per la sua strada. Partono così i ricorsi, non al Tar, ma al Tribunale ordinario di Milano: azione civile contro la discriminazione, una discriminazione su basa etnica, dicono i legali dell’Asgi, l’associazione studi giuridici sull’immigrazione, e del Naga. Si punta il dito proprio sulla legge, applicata in modo erroneo, secondo Asgi e Naga che stanno raccogliendo i ricorsi. La legge a cui si fa riferimento è il Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri (Dpcm) del 2013, in relazione alla dichiarazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente-Isee, dove si prevede che l’autocertificazione valga sia per gli italiani sia per gli stranieri: “Senza alcuna distinzione”. Lo dimostra anche il caso di Voghera, altra città lombarda, dove nel 2013 una delibera identica a quella di Lodi era stata approvata, salvo poi essere modificata proprio in virtù della nuova disciplina statale in materia di Isee (il Dpcm del 2013) secondo cui le componenti reddituali - patrimonio all’estero compreso - vengono assoggettati ad autocertificazione.

I ricorsi a Lodi sono già partiti, e se il Comune dovesse perdere rischierebbe la bancarotta. Ma il sindaco prosegue: “La legge italiana non ammette autocertificazioni”. E il Dpcm del 2013? Chi ha ragione si vedrà. Nel frattempo il Comune ha già deliberato una cifra importante - circa 10 mila euro - per la difesa legale. Segno che qualche dubbio ai piani alti di piazza Broletto esiste.

Nell’attesa di una soluzione, resta il dato: oggi molti bambini a Lodi vengono discriminati, e rischiano di non andare più a scuola. Pur essendo nati qui, in Italia. Il Coordinamento uguali doveri, che riunisce opposizioni e società civile contrari all’iniziativa del sindaco, chiede alle famiglie comunque di iscriversi nella fascia più alta. Al denaro ci penserà un conto corrente comune. Il segnale che non tutta Lodi sta con il sindaco. Come il gruppo di genitori italiani che ha lanciato una raccolta firme contro la delibera, o gli hacker di AnonPLus che giovedì mattinata hanno bucato il sito della Provincia “chiedendo – si legge su Twitter – di prendere provvedimenti verso la sindaca del comune di Lodi che se la prende con i bambini”. Il primo cittadino del Carroccio di discriminazione e scelte criticabili pare intendersene. Oltre al caso mense, a inizio anno ha modificato il regolamento della Polizia locale allargando il Daspo urbano anche ai venditori ambulanti di fiori e di accendini. L’8 marzo scorso, per esempio, per la festa della donna, vigili in borghese hanno sequestrato 200 mazzi di mimose, e comminato multe per 3mila euro. L’intera vicenda è stata oggetto di conferenza stampa con le mimose esposte sul tavolo come panetti di cocaina colombiana purissima. Fiori e bambini. Qualcosa qui a Lodi non pare funzionare.

Comparazione


Ecco cosa vuol dire fare un giornale serio. Altri, i cosiddetti giornaloni, al tempo del Delinquente Naturale e del Bomba, nulla dissero in merito alle loro deficienze.

Il Fatto Quotidiano
sabato 22/09/2018
BILANCI - TUTTI GLI IMPEGNI DI SALVINI E DI MAIO
Governo: 12 promesse tradite da 5Stelle e Lega in 110 giorni
ACCISE, LEGGE FORNERO, BUONA SCUOLA, ILVA, LAVORO: LO SCARTO TRA LE PAROLE E I FATTI

di Tommaso Rodano

È ancora presto per un giudizio compiuto sul governo Conte – moltissimo dipenderà dalla manovra – ma dopo 110 giorni si può almeno registrare il primo scarto: tra i provvedimenti annunciati e quelli portati a casa. Cinque Stelle e Lega hanno promesso moltissimo. Prima del 4 marzo (quando nessuno sapeva quale fisionomia avrebbe assunto l’esecutivo) e dopo il primo giugno (quando il governo ha giurato al Quirinale). “Lo faremo entro l’estate” è stata una delle formule preferite da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Ora che la stagione è finita, gli si può chiedere conto delle promesse non mantenute.

 Accise. “L’anno scorso le accise sulla benzina hanno fruttato 27 miliardi e altri 12 l’Iva sulle accise, che sono la tassa sulla tassa. Bisogna eliminare le accise più antiche: è il primo impegno che manterrò. Lo farò durante il primo Consiglio dei ministri” (Matteo Salvini, 1 marzo). Non solo le accise non sono state ancora toccate, ma dal primo gennaio 2019 rischia di scattare l’aumento già programmato: la benzina può tornare verso i 2 euro al litro.

Sprechi. “Questo è il primo decreto legge del primo Cdm, se domenica ci darete la maggioranza. Un decreto in tre punti: al primo c’è il dimezzamento dello stipendio dei parlamentari, al secondo l’abolizione dei vitalizi e al terzo il taglio di 30 miliardi di sprechi. Bastano 20 minuti di Cdm per approvarlo”. (Luigi Di Maio, 2 marzo).

I 5Stelle come noto non hanno avuto la maggioranza, ma il dimezzamento degli stipendi degli onorevoli è scomparso dai radar. E per tagliare 30 miliardi di sprechi, ammesso ve ne siano, sarebbero serviti più di 20 minuti. Quello sui vitalizi è un successo di Di Maio e Fico alla Camera, mentre il Senato è in ritardo.

Pensioni. “Il primo punto del nostro programma è la pensione di cittadinanza per integrare le ‘minime’ fino a 780 euro e fino a 1.170 per le coppie” (Di Maio, 2 febbraio). “Il taglio delle pensioni d’oro lo vogliamo portare a casa per primo, lavoreremo perché sia approvato prima della pausa estiva” (Di Maio, 8 luglio); “La legge sulle pensioni d’oro entro l’estate spero di portarla a casa” (Di Maio, 13 luglio).

Il traguardo estivo fissato dal leader dei Cinque Stelle era ottimistico. Il testo sulle pensioni d’oro è stato al centro di un confronto tra M5S e Lega. Ritoccata la soglia verso l’alto (da 4mila a 4.500 euro netti) inizierà il percorso alla Camera la prossima settimana. Per quanto riguarda la pensione di cittadinanza, invece, se ne parlerà durante la manovra.

Fornero. “L’abolizione della legge Fornero è il primo punto del programma” (Salvini, 14 febbraio); “La legge Fornero è da cancellare subito. Va cambiata in cinque mesi, altro che 5 anni” (Salvini, 11 marzo).

Il governo lavora sulla “quota 100” (62 anni di età e 38 di contributi per andare in pensione). L’intervento sarà ben più complesso di come lo annunciava il leader della Lega.

 Antimafia.“La mafia è una merda, un cancro che si è allargato in tutta Italia” (Salvini, 10 luglio).

La commissione antimafia ancora non parte: non sono stati nominati il presidente e buona parte dei componenti.

 Trasparenza. “Chi finanzia un partito, se lo vuole fare, lo deve fare pubblicamente e non si può più nascondere nell’anonimato” (Di Maio, 6 settembre).

I dissidi tra M5S e Lega sulle norme per rendere trasparenti i finanziamenti a partiti e fondazioni sono il motivo per cui l’intero ddl Anticorruzione è bloccato a Palazzo Chigi da due settimane.

Articolo 18 “Vogliamo abolire il Jobs Act. E sopra i 15 dipendenti vogliamo ripristinare l’articolo 18” (Di Maio, 2 dicembre 2017)

Il decreto Dignità di Di Maio va nella direzione opposta rispetto al Jobs Act renziano ma sostenere che “abolisca” la riforma di Poletti è un atto di generoso ottimismo. La maggioranza ha invece votato contro la reintroduzione dell’Art. 18.

Musei gratis. “La bellezza in Italia si visita gratis. Sarebbe bello se si potesse lanciare la campagna: ‘La bellezza in Italia si visita gratis’” (Salvini, 28 febbraio).
Il nuovo ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli ha annunciato l’abolizione le domeniche gratis nei musei.

Legittima difesa. “È la prima legge da approvare in Parlamento; a casa nostra la difesa è sempre e comunque legittima” (Salvini, 28 aprile).

La legittima difesa non è ancora legge. I 5Stelle non sono così d’accordo.

 Scuola. “Noi la buona scuola la vogliamo abolire” (Di Maio, 1 marzo)
Per il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti “la Buona scuola va rivista, ma non con uno strappo secco” (il governo ha tolto la norma sulla chiamata diretta).

 Autonomia.“Conto che entro l’estate il Consiglio dei ministri possa approvare quello che Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna porteranno come richieste” (Salvini, 13 luglio).

L’estate è finita e l’autonomia è ancora tutta da definire, anche perché Lega e Cinque Stelle hanno idee diverse sulle concessioni.

Ilva. “Ci impegniamo a concretizzare i criteri di salvaguardia ambientale (…) attraverso un programma di riconversione economica basato sulla progressiva chiusura delle fonti inquinanti, per le quali è necessario provvedere alla bonifica” (contratto di governo Lega-M5S).

Di Maio ha ereditato dal governo precedente la gara vinta da ArcelorMittal, ha strappato un accordo che migliora gli impegni sull’ambiente, i numeri delle riassunzioni e soddisfa i sindacati. Ma l’Ilva non chiude e non sarà riconvertita alle rinnovabili come volevano i 5 Stelle e Beppe Grillo.

Templi del Lucro


In uno dei luoghi più consoni a questa forma adulterata di capitalismo, le farmacie, è in atto una nuova e becera moda: porgi la ricetta, ti prendono le scatole indi ti pongono la domanda: "vuole il sacchettino?" 
Visto che quattro scatole di medicinali da portare in mano potrebbero costituire un ottimo "fil rouge" tipico di Giochi senza Frontiere, sorge spontanea una domanda, che ho testé rivolto all'esercente: "perché me lo chiede?" 
"Ah sa, con i margini oramai ridotti che abbiamo sulle medicine, dobbiamo farli pagare!"; cinque centesimi per la precisione. La guardo attonito, miro la sua abbronzatura spettacolare, frutto di lunghe navigate con la classica barchetta del farmacista, comprendo quanto sia oramai degenerato questo sistema ove, in barba a tutte le filosofie, il lucro è adulato oramai ovunque, a cominciare da luoghi come questo in cui, a parte coloro che vi entrano per acquistare le varie "acquefresche" per ringiovanire, far ricrescere i capelli, spazzolare le rughe, trangugiare infusi per allocchi, molti ansiosamente sono alla ricerca di un qualcosa in grado di lenire dolori o sentenze solo rimandate.
Aveva ragione Fidel: una sanità gratuita, comprensiva di medicinali, è uno dei segnali da cui si deduce la crescita culturale di un popolo.
(il sacchettino non l'ho comprato e, tra gli applausi, mi sono incamminato verso casa in modalità consumato circense. Tiè!)

Travaglio


sabato 22/09/2018
Forchettoni senzatetto

di Marco Travaglio

Mi scuso in anticipo con il bel Beppe Severgnini se oggi mi occupo di Roberto Formigoni: non vorrei pensasse che ne sono “ossessionato”, come a suo dire lo sarei della Boschi (cioè: lui le dedica un soffietto di sei pagine sul Sette, e l’ossessionato sarei io). Ma è più forte di me: ho letto le due interviste dell’ex sgovernatore ciellino di Lombardia al Corriere e a Libero, e non riesco a tener ferme le mani. L’antefatto è noto: condannato in primo grado a 6 anni per associazione per delinquere, corruzione e finanziamento illecito, Forchettoni s’è visto confermare la condanna e aumentare la pena in appello a 7 anni e 6 mesi, con interdizione perpetua e sequestro confermato di una refurtiva pari a 6,6 milioni. E questo malgrado alcuni reati si fossero prescritti: a fare la differenza è stata la revoca delle attenuanti concesse dal Tribunale. Lui continua a dirsi innocente, com’è suo diritto. Anzi lo sarebbe se in appello non avesse chiesto di patteggiare 2 o 3 anni (i giudici ovviamente gli hanno riso in faccia per l’irrisorietà della pena): conoscete qualche innocente che chiede per sé 2 anni di galera? Naturalmente gl’intervistatori questo non glielo chiedono, sennò l’intervista finirebbe lì, prim’ancora di cominciare. E sarebbe un peccato, perché l’ex Celeste ormai tendente al marroncino è una miniera di baggianate.

Le sue risposte sarebbero perfette se, dopo tanti anni di calvario giudiziario, l’avessero assolto. Invece l’hanno condannato due volte. Allacciate le cinture, si parte. “Mi è andata bene che in Italia la legge non prevede la fucilazione, altrimenti sarei già davanti a un plotone di esecuzione”. Già, solo che i fucilatori morirebbero tutti prima di sparare: dal ridere. “Sono un caprio (testuale, ndr) espiatorio”. E vabbè, sarà la sindrome del Titanic. “Mi colpiscono perché ho aperto ai privati il sistema sanitario lombardo… Mi si accusa di aver favorito la Maugeri e il San Raffaele con delibere di giunta e con una legge. Ma sono atti collegiali che hanno coinvolto tutti gli altri membri della giunta, 17 persone, neanche tirati in ballo. Resta un solo colpevole: Formigoni. È assurdo”. Qui urgono un paio di precisazioni. 1) Forchettoni non è stato condannato per aver fatto una legge sulla sanità (detta spiritosamente “No profit”), che regalava montagne di “rimborsi” pubblici a varie cliniche private (circa 200 milioni alla Fondazione Maugeri e al San Raffaele). Ma perché riceveva soldi privati sotto forma di finanziamenti occulti, favori, benefit, regali, vacanze e cene gratis, yacht e ville da Pierangelo Daccò, dominus della Maugeri, cioè uno dei beneficiari.

Uno può fare tutte le leggi che vuole, ma gratis: se si fa pagare, è corruzione. Infatti assessori e consiglieri che votarono le leggi senza nulla in cambio sono intonsi. Ma – protesta lui – erano atti “legittimi” secondo tutte le autorità. E infatti esiste anche la corruzione per un atto d’ufficio: assegnare un appalto è legittimo, ma se il funzionario o il politico si fa pagare, è un corrotto. 2) Non è vero che abbiano condannato solo Roby: per tenergli compagnia, hanno avuto condanne o patteggiamenti anche Daccò, l’imprenditore Claudio Farina, l’ex assessore Simone e la sua signora. Ora il patteggiatore mancato non nega di aver avuto favori e soldi dal beneficiario delle sue leggi, che se lo portava in ferie ai Caraibi e lo manteneva come un nababbo (forse aveva equivocato sul voto di povertà). Ma dice che è stata tutta sfiga: “Io ho avuto la fortuna o la sfortuna (testuale, ndr) di avere un amico ricco. È un peccato avere un amico facoltoso?”. No, ma se fai una legge che lo favorisce, non devi farti offrire neppure un caffè. Figurarsi vacanze, yacht e ville. “D’altra parte anch’io ho invitato a cena Daccò decine di volte”. Ah beh allora, pari e patta. O quasi. “Se hai un amico facoltoso che per il compleanno ti regala un orologio tu rispondi con una cravatta. Così funziona tra amici”. Soprattutto se la differenza fra la cravatta e l’orologio ammonta a 200 milioni e li mette la Regione, cioè noi.

Alla luce di cotante risposte, dite la verità: che domanda gli fareste? A me, oltre a un prurito alle mani e a una risata omerica, sorgono spontanei un paio di quesiti: “Scusi, Celeste, ma lei ci è o ci fa?”, “Ma ci ha presi tutti per fessi?”. Invece agli intervistatori di Corriere e Libero spunta una lacrima sul viso per la vita di stenti di Forchettoni, affamato da sentenze e sequestri: “Come vive oggi Formigoni?”, “E come fa a tirare avanti?”. Il noto senzatetto, visibilmente denutrito, esala: “Vivo in una casa con altre persone (sempre in cambio di cravatte, ndr), per fortuna, quindi non ho sofferto la fame. Ho fatto le vacanze da un amico (tanto per cambiare, ndr). Avevo da parte 2.000 euro per un viaggio. Li ho messi via… Sui miei due conti correnti hanno trovato 18 euro in tutto”. Qui la tentazione sarebbe di metter mano al portafogli e avviare una colletta, se non fosse per la risposta più strepitosa del nostro eroe: quando il Corriere gli fa notare le balle raccontate sui regali di Daccò (“restituivo tutto”, anzi “fra amici non si usa”), lui obietta: “Le dichiarazioni che fanno testo sono quelle rese in tribunale”. Cioè: quando parla ai giornali e in tv, cioè a cittadini, elettori e giornalisti, lui non “fa testo”. Mente per principio. E se ne vanta. Quindi non “fa testo” neppure in questi due colloqui con Libero e il Corriere. Scemo chi legge. E pure chi intervista. Sono soddisfazioni.

Ps. Per carità di patria, pur essendo curiosi, rinunciamo ad approfondire la tipologia delle cravatte che Roby regalava a Pier in cambio dei Rolex o dei Patek Philippe. Ci limitiamo a sperare che non riciclasse le sue. Che, vedi ampia documentazione fotografica, giustificano largamente la celebre battuta di Woody Allen: “È la tua nuova cravatta o ti sei vomitato sulla camicia?”.

Mercì


D'accordissimo con il sottosegretario al digitale del governo francese, Mounir Mahjoubi, che non è anziano, tutt'altro visto che ha 34 anni. 
Pur essendo immerso per l'incarico nella tecnologia, esorta a staccarsi dai social, ad alzare la testa. 
Personalmente mi sto applicando in merito, anche se devo ammettere la grossa ed estenuante difficoltà: non riesco infatti nei momenti di pausa, o quando aspetto qualcuno, o se sono in treno a non prendere in mano lo smart per inebriarmi nell'eccitante palpazione del suo schermo.
I momenti infatti in cui non riesco a staccarmici, ad alzare lo sguardo, sono proprio quelli d'apparente ozio. Con cosa sostituire la navigata? Ci sono varie possibilità, dal parlare con qualcuno sino ad arrivare ad un preciso e professionale scaccolamento. La spinta decisiva però la troverò nel provare ad inquadrarmi dall'esterno, a vedermi intento ed attento nella classica posizione composta da sguardo rapito verso il sacro ninnolo, un braccio piegato e sorreggente la magica scatola e il dito dell'altra mano toccante al meglio il vetro sublime. Sono certo di apparire agli occhi della mia immaginazione come un povero imbelle senza arte né parte.
Grazie Mounir!

M'inchino




Profondamente felice di essere suo connazionale, dott.ssa Maria Cristina Deidda, medico operante presso nel Day Service di cure antalgiche e palliative dell'ospedale S.Giovanni di Dio di Cagliari! 
La profonda professionalità, la sua umanità le hanno permesso di lottare contro una forma acutizzata di razzismo, sorto incredibilmente in un ambiente pregno di dolore come quello in cui opera, e che spero aiutino, illuminandoli, coloro che ancora non hanno compreso quanto sia pericoloso avventurarsi in simili esternazioni, prima o poi fagocitate culturalmente per divenire normalità, trasformandoci in quello che mai nessuno dei nostri avi avrebbe immaginato.
Posto le sue dichiarazioni dott.ssa Deidda, ringraziandola veramente di cuore per come gestisce la sua indispensabile missione:

“Abbiamo aspettato per colpa di un negro”. Razzismo al san Giovanni di Dio. I parenti di un paziente si sono lamentati per l’attesa dovuta alle cure ad un senegalese. Arriva su facebook il post di scuse di Maria Cristina Deidda del Day service di cure antalgiche e palliative dello storico ospedale cittadino.

“Nel mio ambulatorio ci prendiamo cura di pazienti delicatissimi, con imponente dolore o per accompagnarli in ogni modo al loro termine ultimo”, scrive il medico, “tutto il personale lo fa con cortesia, amorevolmente e con dolcezza, come da formazione specialistica (avrei, altrimenti, fatto un altro lavoro). Ho purtroppo saputo, in ritardo, che pochi giorni or sono, mentre mi allontanavo dall’ambulatorio per accompagnare un mio paziente di origine senegalese, per una consulenza specialistica da me stessa richiesta, ben quattro persone, accompagnatori di altri miei pazienti in attesa di visita, si sono lamentati di dover attendere per “colpa di un negro”.
Premesso che: tutti i nostri pazienti, e sottolineo, indistintamente TUTTI, sono amorevolmente trattati e supportati, poiché questo comportamento nelle cure palliative è indispensabile.
-pur sentendo in tutta Italia di comportamenti intolleranti e discriminanti, mi ero illusa che nel nostro ambulatorio, proprio a causa della delicatezza delle patologie trattate, l’animo umano fosse più compassionevole verso l’altrui persona.
-io e le mie infermiere abbiamo fatto, molti anni addietro, il Giuramento di assistere chiunque ne avesse bisogno, senza discriminante di razza, sesso, religione, ideologia politica ecc.

Pertanto, chiedo SCUSA, a nome dei concittadini sconosciuti ma intolleranti nei riguardi del paziente. Mi vergogno profondamente”.
(Dott.ssa Maria Cristina Deidda - Cagliari) 

venerdì 21 settembre 2018

A volte serve...


Frequentando un ospedale ci si immerge in un'ambientazione particolare, umana, molto umana. Mentre fuori da esso infatti molte metodologie sociologiche inducono a credere in un'immortalità apparente, mi riferisco a labbra e seni gonfiati, zigomi irreali, capelli verniciati oscenamente, pensioni elargite oltre i 65 anni, lotte per olimpiadi nel 2026, programmi spaziali oltre il 2100, rateizzazioni di furti di soldi pubblici al 2094, vedi Lega, in un ospedale la vera durata dell'umanità è palesemente reale: persone ultraottantenni da operare ma, data l'età, lasciate all'abbrivio vitale, non per malasanità ma per il chiaro, lampante e incontrovertibile ciclo biologico. Tutto è apparenza attorno a noi, tutto è vanità, conferma da secoli la Bibbia. T'accorgi della volatilità della nostra esistenza quando t'immergi nel dolore, nella sofferenza. Comprendi l'esile, fragile e caduca essenza del soffio vitale, pronto a spegnersi alla prima forte e determinata spinta, naturale o indotta dalla malattia. Comprendi ed il cielo sopra di te si fa limpido, spazzando le finte, illogiche, insensate, abbacinanti, eteree, inconcludenti, atrofizzanti, puerili, rimbambenti finzioni che attanagliano questa vita, stupenda benché destinata ad esaurirsi dopo aver attraversato i vari tempi biologici.  

Xeno?



Sai che cazzo me ne frega che arrivino bastimenti carichi di riccastri che ci sparano merda tutto il giorno che ingurgitiamo a mo’ di fumento e poi vanno in giro coi pullman e ci fanno stare in coda indicendoci a mandarli a fare in culo?

Due letture, due misure


Bene! Prima consiglierei di leggere questa intervista alla bella Etruriana:

Intervista alla Boschi


E poi l'articolo di Marco Travaglio:

venerdì 21/09/2018
Rivieni avanti, aretina

di Marco Travaglio

Avevamo giurato, e sperato, di non occuparci mai più di Maria Etruria Boschi, lasciando agli storici la pratica di compilarne un breve profilo nel reparto “Minori del Novecento”. “Avvocaticchia della provincia aretina, classe 1981, inopinatamente promossa da Renzi nel 2014 ministra delle Riforme e Rapporti col Parlamento, e nel 2016 dall’incolpevole Gentiloni sottosegretaria a Palazzo Chigi, è nota per due crac: quello della Banca Etruria vicepresieduta e amministrata dal padre e quello della riforma costituzionale scritta a quattro piedi con Verdini e respinta con perdite dagli italiani. Rieletta a viva forza nel 2018 a Bolzano, dove ancora non la conoscevano, e munita per precauzione di ben 5 collegi-paracadute sparsi per l’Italia, fece perdere le sue tracce durante la sua seconda e ultima legislatura, poi tornò alla materia primigenia: il nulla”. Ma dobbiamo fare un’eccezione, perché la signorina ha concesso ben 6 pagine d’intervista al Sette diretto da Severgnini, annunciata in pompa magna col titolo “La nuova vita di MEB”. Vita, naturalmente, si fa per dire.
Chi scorre le risposte, ma soprattutto le domande di Stefania Chiale, è colto da una sensazione strana e straniante: quella che l’intervistata debba placare i bollenti spiriti dell’adorante intervistatrice. Alla quarta riga, per dire, la Chiale già stigmatizza “la violenza degli attacchi personali durante la vicenda Etruria”, guardandosi bene dal rammentare di che sta parlando: cioè di una ministra che non dovrebbe occuparsi di banche, giura in Parlamento di non essersi mai occupata di banche e invece viene colta col sorcio in bocca a raccomandare – tra una mezza dozzina di banche fallite – proprio quella paterna. Il dg Bankitalia, il presidente Consob e l’ex ad Unicredit – auditi in commissione Banche – la dipingono come una specie di stalker che, appena li incontrava, prima ancora dei saluti, li implorava di salvare la banca di papi. Ora, con gran sollievo degli italiani, soprattutto degli aretini, si occupa d’altro: “L’Onorevole (maiuscolo, ndr) Boschi sta finendo l’intervento in Aula (maiuscolo, ndr) sui vaccini”. Sono soddisfazioni. Ma preferiva fare la ministra: “Politicamente si stava meglio prima, su questo non c’è dubbio!” , afferma in lieve controtendenza con l’elettorato. Però il nuovo status non è male: “Negli anni di governo non ho mai spento il cellulare” (chiamava per Etruria pure di notte). Una vita d’inferno: “Ero abituata a svegliarmi più volte di notte per non perdere telefonate o messaggi quando ho avuto anche la responsabilità della Protezione Civile”.
Oddio, questa l’avevamo proprio rimossa: la Boschi alla Protezione civile. Fortuna che Madre Natura invece lo seppe e fu così gentile da risparmiarci in quel lasso di tempo altri disastri: bastava la Boschi. Invece, “il 1° giugno, quando si è insediato il nuovo governo, ho spento il telefono per la prima volta”. Anche perché erano settimane che non chiamava nessuno. E dire che, nel 2014, un sito di squilibrati l’aveva infilata addirittura “nella lista dei 28 personaggi che stanno cambiando l’Europa”. Chissà che si erano fumati. Altra perla: “Siamo stati più noi nelle periferie del M5S”, e infatti da allora le periferie votano M5S: l’hanno riconosciuta. Il 4 marzo “la mia prima scelta era Arezzo, per potermi togliere qualche sassolino dalle scarpe. Poi abbiamo (noi maiestatico, come il Papa, ndr) pensato a una candidatura altrove, per evitare che tutta la campagna venisse focalizzata sul tema banche”. Ma soprattutto che i sassolini dalle scarpe se li levassero gli aretini e la incontrassero per la strada. “Il collegio di Bolzano non è stato casuale: avevo lavorato sulle Autonomie Speciali, conoscevo come funziona la realtà dell’Alto Adige”. Ma tu pensa. La focosa intervistatrice lacrima per “gli attacchi che ha subìto, sui social e non solo (penso al Cosciometro del Fatto Quotidiano)”: una vignetta di Natangelo, roba che neanche l’Isis. Lei la rincuora: “Non so se sono stata il capro espiatorio”, però ha patito tanti “pregiudizi”. Domanda (si fa per dire): “L’essere donna crede abbia influito?”.  “Un po’ sì, quello che ho fatto io è stato accettato con più fatica che se l’avesse fatto un uomo”. In effetti, se a occuparsi di Etruria fosse stato il ministro dell’Economia che non aveva parenti in banca anziché la ministra delle Riforme figlia del vicepresidente, sarebbe stata un’altra cosa. Sistemati i sessisti del #MebToo, la patriota auspica una bella “crisi economica” che rovesci il governo. E le minacce non sono finite:  “riprendo il mio mestiere di avvocato”.  A noi risulta che abbia bussato ai maggiori studi legali, come Alfano, ma diversamente da lui ha trovato chiuso. Quindi al momento riesce a essere una tacca sotto Alfano (categoria che si riteneva impossibile in natura).

L’ultimo scoop è della Chiale: “Fraccaro propone cose non dissimili alle sue, come l’abolizione del Cnel e la riduzione dei parlamentari. Soddisfazione o amarezza?”. Balle: la Boschi&Verdini fu bocciata perché aboliva le elezioni del Senato per infarcirlo di consiglieri regionali e sindaci. Ma tanto non se lo ricorda nessuno, tantomeno la Boschi, che la sua “riforma” non solo non l’ha scritta, ma neppure letta. E Renzi? “È il politico più coraggioso che conosco”. Figurarsi gli altri. “Un difetto? Si fida troppo degli altri”. Ecco, è troppo buono. Ma ora passiamo alle cose serie: “Il libro che sta leggendo?”. “Due in contemporanea” (è una ragazza prodigio). Uno è Non si abbandona mai la battaglia (sottotitolo: nemmeno quando si è giurato di dimettersi in caso di sconfitta). Se la memoria non ci inganna, già il 13 agosto s’era fatta un selfie su Instagram con quel testo in grembo. Non saranno troppi 40 giorni per un solo libro? O in ferie guardava le figure?

giovedì 20 settembre 2018

Evve moscio



Abbronzato dal sole di Cortina, perennemente indaffarato tra una verticale di Krug e l'altra, con una decina di migliaia di euro di pensione al mese, questo giocherellone dei sentimenti di sinistra, dopo aver snocciolato per lustri fiabe e specchietti per allodole in tuta blu, trova l'ardire di riparlare, arrivando addirittura a pontificare con "evve" moscia, di come la sinistra abbia abbandonato il proprio popolo. Sarà stato mica colpa dell'ultimo aperitivo rinforzato a cui ha partecipato?

Travaglio!


giovedì 20/09/2018
Fisco per fiasco

di Marco Travaglio

Si può chiamarla come si vuole: voluntary disclosure, concordato fiscale, emersione del sommerso, rottamazione delle cartelle, definizione agevolata, ravvedimento operoso e altri sinonimi alla vaselina, come facevano i paraculi di destra e di sinistra; oppure pace fiscale, come fanno i paraculi giallo-verdi. Ma se una legge consente a chi non ha pagato le tasse di cavarsela versandone una parte, senza multe né conseguenze penali, condono è e condono rimane. Quindi un “governo del cambiamento” che si rispetti dovrebbe partire di qui: chiamando le cose col loro nome senza prendere in giro gli italiani. La pace presuppone una guerra e noi – parlo a nome di quei pirla che pagano le tasse fino all’ultimo euro – non ne abbiamo mai vista una. O meglio, una la combattiamo da sempre: contro gli evasori, che ci costringono a pagare molto più della media europea. Purtroppo l’abbiamo sempre persa, ma siamo un po’ stufi di continuare a perdere. Cioè a pagare anche per chi non paga. Anche perché non sapremmo proprio con chi farla, la pace. E ci girano vorticosamente le palle se la pace la fa chi non paga, trattato da pacifista anziché da evasore. Ciò premesso, non è ancora chiaro quanti saranno i neo-condonati, per quali importi evasi, in cambio di quali importi e per quale durata. Noi avevamo capito che M5S e Lega fossero vincolati a un contratto di governo. E, a scanso di equivoci, siamo andati a rileggerlo. Sull’evasione dice due cose.

1) “È opportuno instaurare una ‘pace fiscale’ con i contribuenti per rimuovere lo squilibrio economico delle obbligazioni assunte e favorire l’estinzione del debito mediante un saldo e stralcio dell’importo dovuto, in tutte quelle situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà economica. Esclusa ogni finalità condonistica, la misura può diventare un efficace aiuto ai cittadini in difficoltà ed il primo passo verso una ‘riscossione amica’ dei contribuenti”.

2) “Anche in considerazione della drastica riduzione del carico tributario grazie alla flat tax e alle altre misure… sul piano della lotta all’evasione fiscale, l’azione è volta a inasprire l’esistente quadro sanzionatorio, amministrativo e penale, per assicurare il ‘carcere vero’ per i grandi evasori”.

Nella sua prima intervista (al Fatto) e in quella di ieri alla Verità, il premier Conte ha raccontato la favola “pace fiscale non è condono”, senza sbottonarsi sulle cifre. Poi però si è attenuto al contratto: “La pace fiscale è imprescindibile”, ma solo nell’ambito di “un progetto organico di riforma (del fisco, ndr), basato su una nuova alleanza tra cittadino e fisco”.

Insomma “l’azzeramento delle pendenze” sotto una certa soglia “è funzionale per ripartire con un nuovo rapporto con il fisco”, che prevede le manette per chi poi sgarra: “L’inasprimento delle pene è un tassello fondamentale della nostra riforma fiscale… significa che chi commette reato deve andare in carcere”. Siccome il prof. è esperto di diritto privato e civile, ma non tributario, gli ricordiamo un piccolo dettaglio: aumentare le pene è sacrosanto, perché le attuali non consentono né custodia cautelare né intercettazioni e garantiscono la prescrizione assicurata; ma per commettere reato e dunque rischiare di finire sotto processo (per poi farla franca 99 volte su 100) bisogna superare soglie di evasione talmente alte che, anche volendo, possono farcela soltanto pochissimi miliardari. Quelle soglie, introdotte dal centrosinistra, furono poi abbassate da Tremonti (incredibile a dirsi) nel 2010 e rialzate a dismisura da Renzi. Quindi, prima di inasprire le pene, bisogna abbattere quei tetti e fare come nei Paesi civili: chi non paga le tasse commette reato, a prescindere da quante ne ha evase. E bisogna farlo subito, contestualmente allo sciagurato condono. Che si spera sia quello previsto dal contratto, limitato esclusivamente alle “situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà economica”, cioè a chi non ha pagato fino a un certo importo le cartelle Equitalia perché non aveva soldi, mentre prima della crisi aveva sempre pagato fino all’ultimo cent. E l’importo massimo non può essere 1 milione l’anno, come vorrebbe la Lega (che parla addirittura di una riapertura della voluntary disclosure, cioè del mega-scudo per i capitali all’estero), ma poche centinaia di migliaia di euro, non di più.

Solo così il condono (a quel punto mini) potrà essere digerito dai contribuenti onesti, che sono tanti e non ne possono più di veder premiati i ladri. E solo così si ridurrà al minimo quel devastante effetto-deterrente che ogni condono produce sulla fedeltà fiscale. In questi giorni, al solo evocare la “pace fiscale”, gli studi dei commercialisti sono presi d’assalto da clienti che domandano se sia proprio il caso di pagare le imposte (e anche l’ultima rata della rottamazione delle cartelle voluta da Renzi&C.). Se nessuno, dal governo, farà chiarezza sui limiti del condono di qui all’approvazione della manovra, si rischia un crollo del gettito che finirebbe per elidere gli eventuali introiti da evasione condonata (peraltro tutti da verificare: più condoni si fanno, più gli evasori evitano di aderirvi in attesa del successivo, sempre più conveniente del precedente). E quel pericolo si può evitare in un solo modo: inserendo subito nella manovra anche la parte organica della riforma fiscale: nuovo reato di evasione e di frode senza più soglie di impunità; e raddoppio delle pene. È l’unico modo per spaventare e dissuadere chi oggi è tentato di non pagare, en attendant la pace fiscale. Conte dice che “il fisco non dev’essere visto come nemico”. Ma dovrebbe aggiungere “dai contribuenti onesti”. Per gli evasori, invece, il fisco dev’essere un nemico acerrimo. E fare la guerra, non la pace.