MEMORIA E SEDIE VUOTE
Attilio Bolzoni
Così, in forma tanto plateale e irriguardosa, non era mai accaduto. Nemmeno nella Sicilia più ripiegata su se stessa, le terre agrigentine. Nel giorno in cui si ricordavano i giudici Rosario Livatino e Antonino Saetta — tutti e due della provincia di Agrigento e tutti e due uccisi in provincia di Agrigento — l’autorevole ospite chiamato a rievocarne la figura si è ritrovato quasi solo nel teatro comunale di Canicattì. Una diserzione di massa, il trionfo dell’indifferenza. Sul palco il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, in platea una trentina fra ufficiali dei carabinieri, poliziotti, il sindaco, due o tre cittadini, il prefetto. Non c’era un solo magistrato delle procure vicine. Non c’erano neppure i familiari di Saetta e di Livatino.
Una defezione che ha provocato la comprensibile irritazione del procuratore nazionale e segnala in tutta evidenza quella "stanchezza" che — in Sicilia come altrove — si è accumulata in questi ultimi anni davanti alle svariate commemorazioni. Sarà stata pure l’approssimativa preparazione dell’incontro, però il senso che si coglie intorno a questo abbandono ci porta a riflettere su ben altro. E non tanto sulla credibilità di cui gode ancora la mafia nel centro della Sicilia — sempre meno — ma sulla poca credibilità di cui gode lo Stato in quelle stesse zone. Il procuratore nazionale, giustamente adiratissimo, per le sue origini napoletane si è sentito catapultato nella Casal di Principe di una quindicina di anni fa e ha annunciato che «su Canicattì ci sarà un’attenzione particolare del mio ufficio » . Con tutto il rispetto e la stima che abbiamo sempre avuto per Federico Cafiero De Raho, per comprendere cosa abbia mai provocato un’assenza così clamorosa lo invitiamo a guardare per una volta non in direzione della mafia ma dall’altra parte.
Lì, nelle zone interne della Sicilia dove ieri l’altro ha trovato nessuno, lo Stato nell’ultimo decennio ha dato cattiva prova di sé. Con certi prefetti al servizio di lestofanti, funzionari del Viminale in combutta con imprenditori spregiudicati, rappresentanti delle Istituzioni nelle mani di un sistema criminale, ministri dell’Interno in vergognosa promiscuità con indagati di 416 bis, ufficiali dell’Arma e pezzi grossi della Dia a mendicare favori, personaggi al di sotto di ogni sospetto santificati da una parte della magistratura e da gran parte della stampa.
Un’opera di devastazione, culturale e civile, che ha sotterrato quella fiducia che i siciliani avevano cominciato a coltivare dopo le stragi del 1992, quando lo Stato aveva mostrato il suo volto migliore. Il procuratore nazionale antimafia è stato invitato proprio nel cuore di una Sicilia sfigurata dagli inganni. Ecco perché — secondo noi — quelle 256 poltrone del teatro comunale di Canicattì erano quasi tutte vuote.
Una defezione che ha provocato la comprensibile irritazione del procuratore nazionale e segnala in tutta evidenza quella "stanchezza" che — in Sicilia come altrove — si è accumulata in questi ultimi anni davanti alle svariate commemorazioni. Sarà stata pure l’approssimativa preparazione dell’incontro, però il senso che si coglie intorno a questo abbandono ci porta a riflettere su ben altro. E non tanto sulla credibilità di cui gode ancora la mafia nel centro della Sicilia — sempre meno — ma sulla poca credibilità di cui gode lo Stato in quelle stesse zone. Il procuratore nazionale, giustamente adiratissimo, per le sue origini napoletane si è sentito catapultato nella Casal di Principe di una quindicina di anni fa e ha annunciato che «su Canicattì ci sarà un’attenzione particolare del mio ufficio » . Con tutto il rispetto e la stima che abbiamo sempre avuto per Federico Cafiero De Raho, per comprendere cosa abbia mai provocato un’assenza così clamorosa lo invitiamo a guardare per una volta non in direzione della mafia ma dall’altra parte.
Lì, nelle zone interne della Sicilia dove ieri l’altro ha trovato nessuno, lo Stato nell’ultimo decennio ha dato cattiva prova di sé. Con certi prefetti al servizio di lestofanti, funzionari del Viminale in combutta con imprenditori spregiudicati, rappresentanti delle Istituzioni nelle mani di un sistema criminale, ministri dell’Interno in vergognosa promiscuità con indagati di 416 bis, ufficiali dell’Arma e pezzi grossi della Dia a mendicare favori, personaggi al di sotto di ogni sospetto santificati da una parte della magistratura e da gran parte della stampa.
Un’opera di devastazione, culturale e civile, che ha sotterrato quella fiducia che i siciliani avevano cominciato a coltivare dopo le stragi del 1992, quando lo Stato aveva mostrato il suo volto migliore. Il procuratore nazionale antimafia è stato invitato proprio nel cuore di una Sicilia sfigurata dagli inganni. Ecco perché — secondo noi — quelle 256 poltrone del teatro comunale di Canicattì erano quasi tutte vuote.
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