sabato 30 settembre 2017

Detto 2


Quando vai a Orentano da Benito il vegano è totalmente intristito!


Detto


La pastasciutta piccante di Benito ti da la certezza che credere nell’arte non sia un comportamento stranito!


Scritto di Aldo Busi


Tema “Il maestro Bianchi”
(Contro quella cagata pazzesca dei referendum per l’autonomia della Lombardia e del Veneto e per abolire lo statuto speciale delle regioni che l’hanno già)

di Aldo Busi

Il maestro Bianchi era il maestro Bianchi e, come prima di lui la maestra Pozzi e dopo di lui il maestro Turelli, non aveva nome, era il maestro Bianchi e basta, e anch’io mica ero Aldo, ero o Busi o Barbì, il figliolino della capra per via dei miei capelli ricciolini, nessuno si chiamava per nome a quel tempo, donne a parte e solo tra di loro faccia a faccia, tanto si chiamavano quasi tutte Mariô, e se non ci si chiamava per cognome era per nomignolo, Bèk, Polastrel, Ciaelô, Gosatù, Rescàt, Bèlôfigô, sempre per un uomo.
Eravamo più la radice che la gemma, ci suonava storto se qualcuno nel declinare le proprie generalità osava anteporre al cognome il nome che per pudore andava posposto, e per la fusione della radice con la gemma nel frutto c’era tutto il tempo. Io mi sono reso conto che si chiamava Agostino solo decenni dopo, dal suo coinvolgimento nel fondare e allestire – da sanguigno, suppongo, partigiano mai ex – il Museo Storico del Risorgimento nell’abside della Chiesa del Suffragio, o forse l’ho saputo addirittura dai manifesti funerari che dicevano anche che era nato nel 1921, ma pure adesso faccio fatica a ricordarmelo con quel suo nome di battesimo, però so come fare a ingannare la memoria mai impressa da scolaretto: passo dall’omonimo romanzo di Moravia e ci sono, e eccolo lì per intero, maestro Bianchi Agostino, come fosse il titolo di un quadro di Chagall e lui un uomo allampanato e sognatore che vola sopra i tetti delle scuole elementari di Piazza Trento recando per me nella destra un trofeo prodigioso: un coloratissimo pesciolino piatto con le guance paffutelle tutte rosa e gli occhioni neri e la coda verde bandiera e la boccuccia rosa tirata in su che… ride!

Nel 1956 sono entrato da lui in terza e rimasi subito colpito all’udito, perché parlava una lingua straniera… con la maestra Pozzi di prima e seconda gli sfoghi in dialetto erano prassi quotidiana… che poi scoprii essere l’italiano toscano ovvero l’italiano e basta, idioma esotico che a pieno titolo si iniziò a imparare a parlare non grazie alla televisione e alla radio, che i più non avevano, ma grazie a lui e con lui e quasi poi con nessun altro a Montichiari fuori da scuola, perché era come darsi delle arie, ci si vergognava, come facevi a dire a quei bruti del pirlo “perché” anziché “perchè” alla lombarda o “quattórdici” facendo la bocca a agnolotto per pronunciare quella “o” stretta stretta anziché “quattòrdici” per non dire proprio “quatordes” alla vataciao tua di nascita, ti tiravano dietro un cuspitù indecifrabile, “pàrlô come ta maiet, encülat a machinô”… che poi scoprii, sempre decenni dopo, trattarsi della macchina da cucire Singer, allora arrivata da poco nelle case, che dispiegava sulle pezze spesso riciclate dai vecchi materassi quell’ago micidiale che andava dentro e fuori a mitraglietta, da cui perciò “parla come mangi, inculato a macchina”… a meno che l’italiano non fosse usato per parlare con i forestieri, che avevano lingue molto più italianizzate del dialetto bresciano o che per farsi capire a dovere ricorrevano a una lingua meticcia italianizzata, a un esperanto dialettale standard quando si trovavano fuori dal loro territorio, tipo i veneti e friulani “balutì de caài”, i mediatori di bestiame… ma di preferenza di cavalli da macello… che venivano a mezza mattinata del venerdì giorno di mercato a mangiare la trippa, il baccalà e le lumache con gli spinaci o, specie in inverno, a scolarsi un marsalino o a sorseggiare un punch al mandarino alla Trattoria del Cervo dei miei e, in seguito, i ricchi allevatori e commercianti emiliani e piemontesi che il giovedì pernottavano all’Aquila D’Oro – locanda con cucina gestita sempre dai miei, di vocazione oste nomade lui, per via della buonuscita che faceva sparire in merende diuturne e assaggi prolungati fuori casa, e disperata bestia da soma cuoca tuttofare con frustrata aspirazione stanziale mia madre, veneta di ferro dalle mani e dalla favella d’oro – e che di sera tardi pretendevano la brocca di acqua calda in camera per radersi, dicevano, e “spuzzare di buono”… di Prep, di Acqua Velva, di Vétiver, che sopra la puzza di stalla erano la definitiva resurrezione dei miasmi del letame, e a parte la scia di rivoltante gelsomino lasciatogli addosso dalle due moraccione in visita di soppiatto… per il grandioso foro boario dell’indomani che iniziava alle quattro del mattino, di cui si diceva fosse il secondo d’Italia dopo quello di Cremona.

Il maestro Bianchi non arrivò alla fine del primo giorno di scuola che già aveva tirato fuori dalla sua cartella di cuoio consunto ma passato scrupolosamente a cera un aggeggio bislungo di ferro con una lametta seghettata che si chiamava “traforo”, parola fino a quel momento associata da poco al solo Monte Bianco, poi delle assicelle di compensato, un vasetto di colla e dei tubetti di colori a olio e, dopo avere tratteggiato i contorni a matita, cominciò a produrre con le sue mani minuscoli trucioli, e quel rumore della lametta seghettata che forzava il compensato a vagheggiare il raglio ostinato di asini piccolini.
E improvvisamente, seppure ancora allo stato grezzo e senza carteggiatura, ecco che quelle mani ossute e bianche e forti dalle unghie immacolate libravano davanti ai nostri occhi incantati un pino, una casetta, uno squalo, e addirittura Pinocchio, “Sono il nuovo Geppetto”, disse lui già tutto impolverato, e giorno dopo giorno Biancaneve e la Sirena, una donna, vestitissima seppure solo delle sue chiome, con la coda di pesce, creature di fiaba che di lì a pochi giorni riapparivano in fila sulla cattedra dipinte con uno strabiliante amore del dettaglio e della sfumatura. E una volta lì schierati diventavano i Premi Per I Più Bravi: per Il Più Bravo In Geografia, in Storia, in Aritmetica, in Disegno, nelle tabelline a memoria, nel tema, nel dettato, nella lettura a alta voce “con sentimento”, nell’analisi logica, ma anche per Il Più Bravo A Stare In Castigo, Il Più Bravo a Scaccolarsi, il Più Bravo A Non Fare i Compiti A Casa e, con le penultime rondini di aprile, Il Più Bravo A Sgraffignare I Panini Degli Altri Nella Gita A Solferino E San Martino, sicché, meritevoli così e meritevoli cosà, a fine anno ci ritrovammo tutti e trentasei… e alla fin fine anch’io… con una di quelle meravigliose creature che ci spronavano alla manualità e ci insufflavano i rudimenti dell’estetica, che in soldoni consistono, sì, nel fatto che l’occhio vuole la sua parte ma, ci disse lui, soprattutto nel fatto che andava “messo a fuoco l’occhio della mente”, “la vista fantastica”, e chi ci capì qualcosa al volo alzi la mano, ma il maestro Bianchi questo lo sapeva, buttava lì dei precedenti indizi per farti individuare la tua strada davanti proprio come Pollicino buttava dietro di sé i sassolini bianchi per ritrovare la strada verso casa, era l’indispensabile prima volta di un seme a contatto con una zolla a sua volta vergine, il raccolto delle idee organizzate e strutturate sarebbe venuto da sé, e le cose più belle e importanti sono quelle che ancora ignoriamo o che non capiamo subito, un vero maestro non si accontenta di dirti quello che sai già e nella sola forma che afferri, sperimenta, sollecita, provoca, crea collegamenti intellettuali tra bellezza e bruttezza e tra bene e male dai significati impensati e solo dagli sciocchi ritenuti “non adatti a quell’età”, ti prepara una dote di emozioni compiute di cui sei il padrone in divenire, e senza averne l’aria ti fa gli artigli di più lunga durata e maggiore presa contro gli ostacoli e i dispiaceri della vita che incombono, gli artigli dell’allegria e dell’autoironia che fanno fuori ogni inclinazione all’autocommiserarsi e invitano alla gratitudine per il tanto, per il poco e anche per il meno ancora, e intanto lui distribuiva i premi dei suoi arcobaleni dalle fattezze più buffe e incredibili.
Ricordo una mucca pezzata che non esisteva in natura perché era pezzata di lilla a pois gialli data a uno dei Campagnoli che non era il più bravo in niente perché prima di venire a scuola doveva andare in stalla a mungere e arrivava stanco morto con le candele che gli piovevano in bocca giù dal naso schiacciato da una rastrellata che si era dato mettendoci su il piede col gambale e niente fazzoletto, solo le maniche della blusa nera, e il maestro Bianchi gli diede quel capolavoro di bovina metafisica solo perché per un po’ l’aveva convinto a non servirsi di nascosto anche delle maniche del compagno di banco e poi, senza neanche sbuffare, si risolse a darglielo lui un fazzoletto, non suo del tutto perché, per qualche misteriosa ragione o parentela, era “un fazzoletto di Battista” e lo rivoleva indietro lavato e stirato.

Il maestro Bianchi abitava con la moglie “la Bianchi” in una casa più corridoi e finestroni su un cortile non suo che altro, un due stanzine incuneate tra l’osteria dal maestoso pergolato Alle Due Chiavi, insegna da noi grandicelli completata con “e alle tre anche”, e la casa alta e stretta dalla bellissima cancellata in ferro battuto dipinto di verde della famiglia Bioni dei due cinema, il Gloria, proprio lì di fronte, e il Moderno, in fondo al viale degli ippocastani, quasi a allontanare la peccaminosità dei film in cartellone (impensabile che per esempio Senso e La contessa di Castiglione e, qualche anno dopo, La ciociara venissero dati non al Cinema Moderno, più indicato per le marocchinate di fine guerra su prede cenciose e affrante quali la Loren oltre che per le procaci scollature di Alida Valli e Yvonne De Carlo, ma al Gloria, così vicino al duomo di Santa Maria Assunta… ma assunta da chi e per fare cosa non lo sapevo, e più cercavano di ficcarmelo in testa che significava “volata in cielo”, ma mai il maestro Bianchi, più mi entrava da una parte e mi usciva dall’altra, “Che assunta assurda!”, dicevo, e insistevo per sapere da don Pierino, dalla perfida verga di salice che lasciava la cicatrice, o da don Tullio Spurchignù, tenuto sempre a due metri da me anche per il fiato di merda, se le davano il giorno di riposo all’Assunta… e poi, il Cinema Gloria, attaccato com’era da una parte alla chiesa di San Pietro e dall’altra al convento delle Suore Canossiane del Sacro Cuore, era un posto di per sé più per robe da chierichetti dal doppio fine, che avevano l’entrata gratis, tipo Ridolini o Stanlio e Ollio, o per catechisti in costume pro Gloria In Excelsis Deo tipo La Tunica con la t maiuscola o Ben Hur o tutti i Doncamilli e i Pepponi o finalmente Marcellino pane e vino, che invece delle solite catacombe e dei gladiatori nell’arena col suo pastone di cristiani pronti a immolarsi alle fauci fameliche delle bestie feroci… inutile dire per chi tenevo io… aveva le celle del convento e, al posto dei leoni nel chiostro, i suoi frati che dicevano il rosario facendo il trenino e finivano salmodiando in cantina con Marcellino a miccare il pane nel vino).

Oltre all’odore di acqua ragia, dell’abitazione dei Bianchi ricordo questo corridoio che immetteva in un altro perché una volta, una domenica del 1957, tra metà e fine giugno, a scuole già chiuse e pagelle appena consegnate, e io ormai senza un dono del suo traforo, lì ci sono stato, di mattina prestissimo per non essere battuto dagli ingordi a sbafo della mia classe, e la giovane coppia di sposi, non ricordo se già con prole o ancora senza, una volta che per vie traverse arrivammo tutti e tre in cucina, mi mise subito davanti a una scodella di caffellatte bollente con dentro in più una cucchiaiata di cacao per mano di lei, che si sarebbe chiamata Ramazzotti Giulia pur vezzeggiata in Mimì se qualcuno non l’avesse chiamata, per l’appunto, la Bianchi e s-ciao, e zucchero e biscotti a volontà, biscotti così voluttuosi al palato, così friabili, che si scioglievano in bocca come neve alla vaniglia di cui adesso non mi viene il nome, e quando mi si chiese che cosa era successo ovvero che ero venuto a fare a quell’ora, era troppo tardi, le ganasce andavano a mille e non me lo ricordavo più. Mica vivevo nel morso della fame in una delle baracche degli sfollati di Borgosotto, quei cibi, esclusi quei biscotti speciali, li avevo anche a casa mia, visto che era un’osteria e che con il cacao in polvere e il latte ci facevamo la cioccolata calda per le donne delle frazioni che lasciavano lì la bicicletta in deposito e per due moraccione di zingare pulite e profumate, si fa per dire, di gelsomino che venivano “a dare un’occhiata” ai gentili clienti che pernottavano lì, quel bigotto di mio padre le cacciava fuori dall’ingresso principale, mia madre, che le aveva prese a cuore più per senso pratico che per spirito di misericordia, le tirava dentro dal portone a fianco usato dai birocci perché, gli gridava dietro, “ognuno si guadagna il pane come può, e poi danno via del loro”, e non era del tutto vero che fossi capitato in casa dei Bianchi come un fulmine a ciel sereno per elemosinare una casetta con la nuvoletta intarsiata nel camino o un porcellino con la coda a cavatappi che non mi spettava, se non aveva voluto darmi niente, nemmeno lo volevo più, ma adesso mica potevo “confessare” che volevo verificare dal vivo l’effetto dell’espressione appena sentita “cogliere nel sonno”, la morte aveva colto nel sonno qualcuno degli avventori e io volevo cogliere nel sonno la vita del mio maestro Bianchi, che non mi aveva ancora dato niente in premio, per arrivare prima della morte, svegliarlo e salvarlo, e con lui la figurina di compensato colorato che bramavo in segreto ma alla quale avevo detto addio per sempre e, oscuramente, con la figurina finita comunque nelle mie mani per un qualche testacoda della fortuna, salvare me, scappare con lei in tasca e mettermi in salvo, non morire ammazzato io nel sonno, tutto qui.

Che invidiabili farneticazioni hanno i bambini per cavarsi una curiosità ordendo dal poco e niente grandi avventure del sapere con chi hanno a che fare quando si dicono “io” e non afferrano ancora bene io chi è! Sempre che non mi fossi inventato tutto un vocabolario per non dire proprio la cosa che mi pesava sul cuore, che non era certo l’essere stato escluso da quel segno, anche grezzo e senza colori, di una qualche stima, e ero corso dal maestro Bianchi appena possibile per dimenticare quella certa cosa ancora dolorante addosso, non certo per parlargliene…

Compleanno



Quattrocentoquarantasei anni fa, il 29 settembre 1571, nasceva uno dei più grandi e discussi pittori della storia, Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, il signore delle luci e delle ombre, l'incantatore di retine, l'ammaliatore dei sensi, l'annunciatore della presenza dell'Arte attorno a noi.
Ogni qualvolta mi reco a Roma non posso esimermi dall'andare nella chiesa di S. Luigi dei Francesi, vicino al Pantheon, per ammirare, estasiato, il ciclo pittorico su San Matteo


con ad esempio la tela della Vocazione, un capolavoro tanto affascinante dove il miracolo di narrare un fatto con un fotogramma si compie davanti ai nostri occhi. 

Buon compleanno Sommo Maestro! 

Ossessione


Sarà un'ossessione, una passione velata?

Al di là delle colpe e dei meriti, mai evidenziati, ci sono due ricconi padroni di giornali che proprio non si tolgono dalla testa di dare visibilità sui loro quotidiani al sindaco di Roma. 

Partiamo però dal telegiornale nazionale che siamo costretti a finanziare con la bolletta della luce. 

Guardate questa foto esplicativa presa dal web:


Il commento è di Marco Travaglio e la dice lunga su come vengano trattate le notizie al TG1

Torniamo ai due signorotti e alle loro mire distruggenti:


Sono le prime pagine di oggi di Repubblica e il Messaggero. 

Serve altro per evidenziare questo comportamento anti democratico? Stampa libera? Ma mi faccia il piacere!

venerdì 29 settembre 2017

Volano bassi!


Ryanair ha tentato di mettere uno dei suoi cartelli blu tipici negli aeroporti, nelle vicende legate alla cancellazione dei voli.
Ma non c'è riuscita. 
Perché la frottola, almeno in parte, del dover far fare le ferie al proprio personale di volo, non ha retto. C'è molto di più in questa vicenda figlia della globalizzazione: personale mal pagato anzi, schiavizzato, vedi ad esempio gli assistenti di volo che vengono pagati solo per l'effettiva durata del tragitto a 16-17 euro l'ora e che quando sono in aerostazione nulla recepiscono. Ferie e malattie? Una chimera. Devono stare a disposizione per nuovi viaggi anche sino a 9 ore. 
E i piloti? Pare se ne siano andati in settecento, verso altre compagnie più umane.
A parte l'incazzatura di chi ha prenotato con largo anticipo il volo, anche se quanto detto sopra è anche conseguenza di poter viaggiare in Europa spendendo pochi euro, sarebbe cosa buona e giusta se a questi novelli schiavi se ne aggiungessero anche altri, vedi coloro che consegnano i pasti in bicicletta rischiando la vita e prendendo spiccioli, chi ti accoglie nei megacentri tecnologici, chi lavora nei call center e tutti i giovani impegnati in convegni, mega cene e quant'altro adorni la vita dei vip! 
Nessuno s'erge più a dire che la schiavitù e tornata più forte che mai nelle startup, nei vascelli del nuovo ed imperante capitalismo sfociante in sottomissioni anche culturali abnormi, in orari e turnazioni imposte da autentici negrieri. 
La modernità sfancula i sogni delle nuove generazioni più che la catena di montaggio di una volta. 
Quegli ambienti lindi, splendenti, adornati da splendidi sorrisi nascondono biechi ricatti e spettri di licenziamento senza più controllo e limiti.
Bene hanno fatto i piloti schiavizzati di Rayanair a mandare a quel paese dirigenti e padroni, per ottenere da altri la giusta mercede. 
Alla faccia di quel sorridente amministratore Michael O'Leary che in queste ore si sarà accorto, suo malgrado, che a volte gli inferiori riescono ancora a cogitare per riappropriarsi della propria dignità, un bene inestimabile non certamente appartenente a molti degli aurei ed ipertecnologici imprenditori d'oggi.

Dannoso problema


Questa sotto riportata è una stupenda lettera inviata alla Lucarelli, da una ristoratrice flagellata dagli idioti destatisi dal loro sonno primordiale, in novelli Cracco o Cannavacciuolo, assetati di vanagloria mediante lo smerdante TripAdvisor.
Personalmente quando vado al ristorante non uso di queste slappate per esternare il mio apprezzamento o, a volte, il disappunto in quanto penso a come sia facile trovare quattro coglioni con arsura di euro, per invitarli a smerdare il ristoratore rivale. 
Il buon ristorante è facilmente rintracciabile attraverso la serietà e la dedizione del personale, insufflati dai passaparola degli amici. 
In caso di luoghi lontani credo basti l’edicolante, il tassista o la parrucchiera locale. 
Leggete questo sfogo di persona seria e soprattutto evoluta.

“L'ennesimo (sacrosanto) sfogo di un ristoratore su Tripadvisor e le varie "farfallina93": 

Carissima Selvaggia, vorrei riportare la tua attenzione su un argomento da te già trattato e nemmeno dei più seri, ma dall'ottica di un'addetta ai lavori: TRIPADVISOR.
Ho 38 anni e da 20 lavoro nel ristorante della mia famiglia, con passione per tutto ciò che riguarda il cibo, il vino, i loro abbinamenti la stagionalità dei prodotti e l'attenzione al cliente, nell'ascolto delle singole esigenze dall'arrivo al commiato, cercando di fare dell'ospitalità il nostro punto forte.
Fare il lavoro del ristoratore dopo la nascita di questo portale ha sin da subito inasprito le rivalità interne nel settore, dando vita in brevissimo tempo a recensioni inviate allo scopo di affossare chi si trova "alto in classifica". 
La cosa che ha fatto degenerare il tutto poi è stata la proliferazione in TV di programmi di cucina, grazie ai quali anche gli ex partecipanti della Corrida hanno avuto accesso al magico mondo della ristorazione. 
Improvvisamente il nostro ristorante può essere massacrato da una qualsiasi "farfallina93", che senza troppo pensare e con un solo clic, può scaricare la frustrazione di una settimana intera. Sul nostro lavoro di anni. Lungi da me dire che non sbagliamo nulla, ma davvero certe recensioni non si possono leggere...che poi chi sarebbe "farfallina93" per giudicare in modo così "finto/tecnico" il lavoro che noi portiamo avanti da 20 anni con studio, fatica e una vita completamente stravolta?
Sarà mica la commessa della merceria sotto casa che si è dimenticata di mettermi metà delle cose acquistate nel sacchetto? 
Sara' mica l'infermiera che stamattina mi ha trattata male perché non mi ero tolta la giacca prima di entrare in sala prelievi?
Sara' forse l'ufficiale dell'anagrafe che ha sbagliato il nome di mia nipote che ora si chiama Lavigna?
Lo sai che queste persone hanno sempre qualcosa da dire? 
Leggono il menù e poi ti chiedono se hai la sogliola, vengono a gennaio e ti chiedono il melone bianco, ti fanno vedere la foto della fettina che si sono cotti a casa e ti chiedono se saresti in grado di rifargliela  uguale.
Ti danno consigli sul voltaggio delle lampadine alla luce delle quali vorrebbero cenare, si presentano con le loro bottiglie di vino dicendo che loro preferiscono bere quello...cosa che noi, nonostante cerchiamo di mantenere un buon livello, gli lasciamo fare, in nome della tanto decantata ospitalità e con il terrore che se non lo concedessimo potremmo trovare una recensione falsa dopo poche ore.
Abbiamo istituito anche una nuova figura professionale, "il salva recensione": sarebbe il cameriere meno impegnato in quel momento, che viene inviato al tavolo di cui si prevede lo scontento, "a fare conversazione". Basta poco per evitare la pubblica gogna, serve solo ricoprire il ruolo di psicologo per 20 minuti, facendosi sommariamente prendere per il culo dal cliente di turno: 
•ma come fate voi a cenare alle 17,30?
•Io il cameriere non lo farei mai per non prendere ordini dalla gente...
•riesci a mettere dei soldi da parte con questo lavoro?
•ti sei almeno diplomato?
. E se sei diplomato perché stai qua a portare i piatti?
Questo non vuole essere un racconto, ma un dossier, che faccia riflettere tutte le persone per le quali fare una recensione negativa è più facile che dirmi di non aver trovato un piatto di proprio gradimento, senza dare al ristoratore la possibilità di metterci una pezza, come si usa su eBay.
Un' ultima cosa: come mai se quando ordinano sembrano tutti i figli della regina Elisabetta, a fine servizio la toilette e' ridotta puntualmente come quella della stazione Termini?
Questo mi premeva dirlo affinché tutti gli utenti di tripadvisor, prima di usare l'app, imparino ad usare un bagno.
Grazie e scusa lo sfogo. 
Vanessa

Il Viaggio del Pedissequo


Tra non molto, ahimè, assisteremo ad un inverecondo spettacolo: il viaggio in treno del Bomba, alias il Pedissequo, meglio conosciuto come l'Egoriferito di Rignano, colui che fingendosi rottamatore ha inanellato una presa di potere senza precedenti, vedasi Rai, Enel, Eni, Poste Italiane etc. etc. 
Questo Pedissequo sfrontato ha in mente di girare l'Italia su un treno, naturalmente privato, che costerà alle casse esangui del partito, pare, almeno 300mila euro. 
Girerà da bullo raccontandoci fiabe oramai stantie, senza succo, inconcludenti, promettendo terre e lidi inesistenti, fingendosi di sinistra con gli oramai sparuti rossi, democratico con tutti i "balenebianche" ancora esistenti, che sono tanti, mascherando il vero scopo, il vero fine, la ripresa del potere per lui e per il suo modello unico di cui appunto è pedissequo, colui che oggi compie 81 anni e da almeno venti succhia nettari pregiati alla nazione per i suoi porci comodi familiari e soprattutto per il forziere privato, già immenso di suo.
Ancora una volta la nazione intera ondeggerà sentimentalmente sulle rotaie di questo mestierante, grazie all'evidenza mediatica che i suoi proni concederanno alle sue gesta, sapide e senza mordente, velanti l'obbiettivo finale, la presa del potere del padre di tutti gli inciuci per una nuova stagione di questa casta tecno-rapto-finanziaria che protegge i potentati e elargisce mance al popolino. 
Come possono non aver pensato che un treno privato striderà agli occhi dei molti già irritati per tutte le concessioni, gli agi che questa politica trangugiante privilegi si è furbescamente impossessata?
Se avesse voluto dare una nuova immagine di sé, il Pifferaio di Rignano avrebbe dovuto salire sui regionali italiani, tastando le sofferenze quotidiane che il popolo dei pendolari subisce. Ed invece no! Scorrazzerà fiabescamente in ogni regione, nel suo lindo e dorato convoglio, in cerca di visibilità, per lui e lo Zio Puttaniere, scagliandosi in ogni dove contro un populismo orrendo, per lui, che però al momento ha riconsegnato una cinquantina di milioni di finanziamenti pubblici ai partiti, cosa questa mai portata in superficie da media a loro servili, praticamente tutti, a differenza invece di inciampi pentastellati derivanti da inesperienza che vengono sbattuti in prima pagina da giornalacci di parte, pure Repubblica si è conformata a questa squallida moda servile. Il nemico da battere non sarà dunque il signorotto padrone e signore nell'Era del Puttanesimo, tutt'altro! Quello sarà un compagno di viaggio per la disfatta finale. 
Ciuff! Ciuff!  

giovedì 28 settembre 2017

Io sto con Papa Francesco!


Ho aderito con la mia firma alla petizione indetta da Don Giulio Mignani, parroco di Bonassola, per manifestare la mia vicinanza a Papa Francesco, infastidito da quella accozzaglia di tradizionalisti, impegnati sempre più a distruggere il cammino della Chiesa, con il loro livore, la loro saccenteria portante al nulla eterno. 

Se volete leggere le bellissime parole di Don Giulio e firmare la petizione, cliccate qui sotto. Lunga vita a Papa Francesco e grazie don Giulio! 

Petizione "io sto con Papa Francesco" di don Giulio Mignani  

Articolo


giovedì 28/09/2017
AL POSTO GIUSTO
Banche, Casini capo della commissione che definì “nefasta”
OPS - ELETTO PRESIDENTE DELL’ORGANO D’INCHIESTA CHE FINO AD APRILE CONSIDERAVA UN PERICOLO: DOVRÀ SILENZIARE IL CASO ETRURIA-BOSCHI

di Marco Palombi

Che si deve fare per campare e farsi ricandidare. Il povero Pier Ferdinando Casini deve averlo pensato nel momento esatto in cui, dopo giorni di tentennamenti, s’è lasciato convincere ad abbandonare la cara, vecchia poltrona di presidente della commissione Esteri del Senato per quella, ugualmente presidenziale, della commissione d’inchiesta parlamentare sul settore bancario. Ieri infatti l’ex presidente della Camera ed ex leader dell’Udc, oggi tra i contraenti dell’associazione politica “Alfano e affini”, è stato eletto per un solo voto (21 su 40) all’alto compito di guidare l’inchiesta parlamentare sulle banche.

Con che spirito e quali fini può spiegarlo in modo inequivocabile un’intervista rilasciata a Repubblica il 28 dicembre 2015, dopo che Matteo Renzi aveva annunciato la nascita a breve della commissione sul mondo del credito: “Io ho un’idiosincrasia per le inchieste parlamentari” e questa “rischia di avere effetti nefasti”. Perché così pessimista? “Finirebbe col diventare una palestra di polveroni”. Ad aprile ancora non s’era fatto persuaso della bontà dell’operazione: “Un impasto di demagogia e pressappochismo che, al di là delle migliori intenzioni, non produrrà nulla di buono per le istituzioni” scolpì, ammantato di senso dello Stato, nella prestigiosa aula del Senato. Quale uomo migliore, dunque, per guidare questa inchiesta di uno che non la vorrebbe proprio fare?

E infatti Pier Ferdinando Casini ieri pomeriggio è stato eletto presidente per volere soprattutto del Pd, o meglio dei renziani, di cui la commissione è inzeppata (dal tesoriere democratico Francesco Bonifazi in giù). Il compito affidato alla potestà, alla canizie, alla consumata esperienza del nostro è, in sostanza, quello che il Conte zio dava al Padre provinciale nei Promessi sposi: “Sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire”. E, se ci scappa, permettere ai seguaci del segretario dem di dare qualche colpetto ai nemici. Scrive, non senza ragioni, il blog di Beppe Grillo: “Lui, amico di Cesare Geronzi, genero del banchiere Francesco Gaetano Caltagirone, socio della Fondazione Casisbo, azionista di Intesa, indirizzerà i lavori: è un atto di guerra al Paese reale”. Detto che in genere le commissioni d’inchiesta si affidano all’opposizione, come rimarcano i partiti di centrodestra (Giorgia Meloni in primis), la definizione M5S trova concorde persino Enrico Zanetti, ex viceministro montiano oggi nel gruppo di Verdini, che aspirava alla poltrona di Casini.

Ora la battaglia si sposta sul perimetro dell’indagine affidata alla commissione, scelta su cui il presidente avrà un peso. Razionalità – visto che davanti ci sono pochi mesi di lavoro – propenderebbe per circoscriverlo agli anni più recenti, ma il Pd chiede che l’oggetto sia l’ultimo ventennio: un modo per poter chiamare in causa la Ditta di Bersani e D’Alema sulle antiche vicende di Mps (a partire dal malaugurato acquisto di Antonveneta da parte di Giuseppe Mussari passando per quello di Banca 121 di Vincenzo De Bustis).

Quanto al resto, invece, sopire, troncare; troncare, sopire. Vietato concentrarsi sui buchi della Vigilanza di Bankitalia (vedi le Popolari venete e la stessa Mps), sullo scandaloso dilettantismo con cui è stata introdotta in Italia la normativa Ue detta “bail-in” la cui prova in laboratorio furono le quattro “banchette” mandate in risoluzione a fine 2015. Vicenda a cui è connessa la materia politicamente più sensibile dell’inchiesta: i tentativi dell’allora ministro Maria Elena Boschi di convincere alcuni istituti (Veneto Banca e Unicredit) a salvare la Popolare Etruria di cui il padre Pier Luigi era vicepresidente. Come si ricorderà, Boschi aveva promesso, dimenticandosene, di querelare l’ex direttore del Corsera Ferruccio de Bortoli che aveva descritto le sue pressioni sul banchiere Ghizzoni: Casini permettendo, ora si potrebbe appurare la verità.

Il buongiorno...


La vicenda legata allo scandalo dei concorsi universitari coinvolgente altissimi illuminati del diritto tributario, al di là dei processi e delle pene, pone un altro problema: se il buongiorno si vede da questo mattino, che ne sarà della sera?
Questi personaggi, a volte autentiche stars nazionali, dovrebbero indirizzare e aiutare le imprese a versare i tributi allo stato. Ne deriva che il bravo consulente dovrebbe farne pagare poche, quasi nulla. 
E qui sta il nodo: se codesti signori del diritto, manipolando l'essenza della democrazia che vorrebbe assunti in un concorso i più meritevoli e non i raccomandati, avessero concusso posti favorendo amici e protetti, che ne sarà della loro missione? 
Come possiamo non notare discrepanze, violazioni in un campo così vasto e portante dell'economia?
Ogni concorso pubblico viene addolcito dai soliti noti, purtroppo sempre più numerosi e chi finge di cascare dal pero è un complice. Da questo lurido affarismo universitario, nasce la migrazione all'estero di molti capaci e, per fortuna, onesti giovani addolorati da quanto accade intorno a loro. 
Il sistema è tanto appestato che per risollevare la dignità universitaria occorrerebbe un ribaltone rivoluzionario, ahimè quasi impossibile. 
E badate bene: non è che in altri atenei la situazione sia normale al punto che il meritevole possa dormire sonni tranquilli! Tutt'altro! Ricorda questa vicenda, quella di Mani Pulite: il tribunale di Milano scovò centinaia di malfattori in cravatta parlanti politichese e non se trovarono altri nelle varie procure italiane solo per un discorso di lealtà al lavoro degli inquirenti meneghini. In pratica: se il pool guidato da Borrelli, con Di Pietro pm, avesse investigato  a Roma, che sarebbe successo? Nulla? Tutti lindi? Via, non diciamo sciocchezze! 
La risultante di tutto è ancora una volta amara, tendente all'acido: siamo in balia del malaffare in ogni dove; ad ogni scoperta di nuovi brigantaggi la bombola di ossigeno al capezzale della democrazia si fa sempre più vuota, desolatamente vuota.  

Manovre legali abnormi


Personalmente lo ritengo uno degli uomini più antipatici del pianeta, un eclatante esempio di quello che si può fare legalmente in un universo troppo spesso sconfinante nell'illegalità, dove i confini sociali e di visione umana vengono calpestati da norme, regole oramai consolidate, scritte per emarginare il 98% degli esseri viventi per rimpinguare una casta tecno-rapto-finanziaria. 
Tronchetti Provera è un fulgido esempio di tutto questo, basti pensare a ciò che combinò al tempo di Telecom, quando vendette palazzi di proprietà della società di telecomunicazione a una società satellite di Pirelli, per poi incamerare affitti sontuosi dalla stessa, da una tasca all'altra, spolpando ulteriormente quel cammeo nazionale già visitato dalla congregazione di Colaninno, benedetta da Baffino, e che tanto spolpò Telecom, fiore all'occhiello nazionale passata oramai in mano francesi, che è come se affidassimo il controllo del nostro salotto di casa al primo che passa per la strada. 
Giorgio Meletti sul Fatto in edicola oggi analizza un'altra di queste operazioni con i confini della legalità e, soprattutto, della dignità slargati dai meandri di quello che ancora oggi chiamiamo mondo economico, pur con i continui disastri che esso compie ai danni della collettività, vedasi rapto azioni bancarie etc... 



Pirelli in Borsa, il mercato paga e Tronchetti Provera incassa.

di Giorgio Meletti

La Pirelli torna in Borsa, per la commozione dei media affascinati dai nostri plutocrati con i soldi degli altri. Gli azionisti di controllo della fabbrica di pneumatici chiedono al mercato finanziario, cioè ai risparmiatori, circa 3 miliardi per il 40 per cento delle azioni. Il 60 per cento e il controllo resterà a loro, la ChemChina, che ha la maggioranza delle azioni, e Marco Tronchetti Provera, cui i patti parasociali riservano il potere assoluto.

Due anni fa la holding Marco Polo ha comprato il 100 per cento dell’azienda, investendo 7,3 miliardi, e l’ha ritirata dalla Borsa. Poi si è fusa con la Pirelli mollandole i debiti fatti per comprarla, pari a 4,2 miliardi di euro (come fece Roberto Colaninno nel 1999 con Telecom che non si è ancora ripresa). Adesso viene offerto al mercato il 40 per cento delle azioni di Pirelli a un prezzo che sarà definito nei prossimi giorni all’interno di una forchetta tra 6,3 e 8,3 euro per azione. Le azioni sono un miliardo. Ipotizzando un prezzo a metà strada tra minimo e massimo, Pirelli tornerà in Borsa esattamente allo stesso prezzo al quale fu ritirata. In particolare i venditori otterrebbero dal mercato 2,9 miliardi, più o meno la cifra che hanno aggiunto al debito per comprare il 100 per cento. In pratica ChemChina, Tronchetti e gli altri soci avranno il 60 per cento della Pirelli avendo investito pochi spiccioli.

Le azioni sono offerte in parte al cosiddetto retail (35 milioni di azioni, circa 250 milioni) e il resto ai cosiddetti investitori istituzionali, che sono poi fondi comuni e fondi pensione che spendono soldi dei piccoli risparmiatori. Ma che cosa stanno vendendo? Quanto vale la Pirelli? Niente paura, ci pensa la Consob. Per garantire la trasparenza ha pubblicato un’agile documento di 936 (novecentotrentasei) pagine: sulla veridicità dei contenuti la Consob, com’è noto, non si assume responsabilità ma gli investitori possono fidarsi di un capitano d’industria del lignaggio di Tronchetti. Se per caso, in un’ipotesi solo teorica, le azioni Pirelli si rivelassero una fregatura, la Consob darà la colpa agli ignoranti che, mancando di educazione finanziaria, non si sono letti le 936 pagine.

Infatti chi avesse voglia di preferire il prospetto Pirelli a Guerra e Pace, verrebbe colto da dubbi. Per esempio, come fa la Pirelli a valere oggi 7,3 miliardi come due anni fa, se nel frattempo è passata da 980 milioni a 4,3 miliardi di debiti? (nota per gli esperti: la posizione finanziaria netta è 4,6 volte l’Ebitda). La Consob può ben dire di aver imposto nella prima pagina un severo avvertimento: “Il Gruppo presenta un significativo indebitamento finanziario bancario, rispetto al quale sostiene elevati oneri finanziari”. Prima che si ripetano penosi scaricabarile modello subordinate Etruria, s’impone una domanda al presidente della Consob Giuseppe Vegas: a quanti investitori pensa che vengano davvero fatte leggere le 936 pagine del prospetto? Le due prime banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, sono collocatrici delle azioni ma anche azioniste venditrici. Come se un agente immobiliare proponesse l’acquisto di una casa senza dire che è sua. Intesa gioca anche la terza parte in commedia: è creditrice di Pirelli per 1,8 miliardi. Nel prospetto di 936 pagine non risulta, ma c’è nella “nota di sintesi”, altre 93 pagine di foglie di fico che la Consob chiama trasparenza.

Chissà se i pusher di Intesa e Unicredit riveleranno all’ignaro risparmiatore che il loro datore di lavoro è beneficiario del collocamento che spinge allo sportello. E che rispetto a due anni fa il fatturato della Pirelli è sceso da 6 a 5 miliardi, perché è rimasta solo la produzione di pneumatici per auto e moto, mentre quella per camion e trattori l’hanno tolta via. Chissà se gli diranno che, per distribuire agli azionisti gli stessi 180 milioni di dividendo di due anni fa, la Pirelli dovrebbe fare un utile netto di almeno 450 milioni (nel 2016 è stato di 147 milioni). Chissà se gli spiegheranno il miracolo del marchio Pirelli, valutato 56 milioni nel 2014 e 2,3 miliardi nel 2016. Chissà come motiveranno che Pirelli prevede una crescita dei ricavi del 9 per cento all’anno, se finora la crescita media è stata del 5,4 per cento (Consob si è tutelata facendo scrivere: “I dati previsionali sono un obiettivo sfidante”).

Chi sicuramente uscirà vincitore dall’operazione è Tronchetti Provera, 70 anni a gennaio. Guida la Pirelli da 25 anni e i patti parasociali gli garantiscono la posizione di amministratore delegato (stipendio oltre 6 milioni nel 2016) fino alla primavera 2020, quando è già stabilito che a designare il successore saranno, insindacabilmente, lui e suo figlio Giovanni (insigne meritocrate, l’unico consigliere Pirelli che non ha una laurea nel curriculum). Gli azionisti di minoranza, che stanno per scucire 3 miliardi in cambio di una lista di rischi, staranno a guardare.

Il capitalismo all’italiana funziona così. La Pirelli ha anche deciso che le commissioni alle banche collocatrici (55-75 milioni) non le pagheranno gli azionisti venditori e beneficiari dell’operazione, ma la società stessa. E al completamento dell’operazione, con il ritorno in Borsa già fissato per il 4 ottobre, la Pirelli dovrà riconoscere al manager Tronchetti un premio tra i 30 e i 40 milioni di euro per il contributo alla riuscita dell’operazione. Funziona così: Tronchetti e soci mettono in vendita a caro prezzo un pacchetto di minoranza della Pirelli e chi compra paga anche (di tasca sua, pro quota) il premio a Tronchetti per averlo convinto a comprare. È il mercato, bellezza.

martedì 26 settembre 2017

La statua di Fisher è una .... pazzesca!


Confermando la mia ignoranza, il mio labile apprendimento culturale, leggendo commenti e guardando foto che mi parevano un fotomontaggio, sono andato a fare un giro a Firenze, città che amo, a parte Nardella naturalmente e soprattutto il Bomba! 
Arrivo dalla stazione, lambisco il battistero e mi butto verso piazza della Signoria allorché, girando l'angolo, vedo con i miei occhi quello che ritenevo uno scherzo:




Urs Fisher, celebrato come un genio della sua generazione, a detta di chi è sempre convinto che l'arte moderna sia arte, è l'autore di questa, come definirla se non cagata pazzesca?
Big Clay#4 è il suo nome e rimarrà in una delle piazze più belle del mondo sino al 21 gennaio del 2018.


Chiedo umilmente: che bisogno c'era di esporre tale manufatto in alluminio in uno slargo celebrato ovunque, pregno di storia immortale, denso di significati, toccato da mani geniali ed immortali?
Come mettere stivali di gomma ad una bellissima donna ingioiellata e pronta per un evento mondano, aggiungere cioccolato sopra un'amatriciana fatta secondo l'ortodossia, bere un cappuccino assieme ad una fiorentina, non nel senso di donna bensì di bistecca; ascoltare Gigi D'Alessio ad un concerto del Boss, accostare la lap dance a Bolle danzante il canto del cigno di Checov, assistere ad uno show di Enzo Salvi con sullo sfondo Muraglie di Stanlio e Ollio.
Non me ne vogliano i santoni della critica artistica moderna, impegnati sempre più in spavalde verticali di Krug e ricercanti la bellezza ove a volte parrebbe non esserci!
Sulle parole del grande Ragioniere, ed in suo onore e memoria, per me la statua di Fisher è una cagata pazzesca!
Anche nei fatti


Sono in mezzo a noi


Strano Paese il nostro, veramente! 
Pensate che conviviamo con circa un centinaio di persone, 120 per l'esattezza, i quali alla notizia del catastrofico terremoto di Amatrice si sono subito attivate. 
Per prestare soccorsi?
No, quelli sono eroi per fortuna ancora maggioranza nella nazione!
Quel gruppuscolo ha avuto la mirabile idea di spostare la residenza ad Amatrice o ad Accumoli e questo atto non va interpretato come solidarietà con i martoriati abitanti, tutt'altro: pare sia stato fatto per incassare i contributi statali, da 400 a 900 euro al mese! 
Persone magari che avevano una seconda casa e che si recavano in quelle zone per villeggiatura, e sono tanti, che in un clima di tragedia pensano ad incassare lucrando sui morti, sulle catastrofi! Vivono in mezzo a noi, mangiano e passeggiano con noi. Magari andranno pure in chiesa alla domenica. E nell'attimo dello smarrimento si trasformano in sciacalli della peggior specie. 
La magistratura per fortuna ha pizzicato le loro generalità, alcuni pare abbiamo già rimborsato i soldi rubati nel dolore. 
La figura di merda però, rimarrà per sempre. 
Con infinito spregio non li saluto!  

Parlano di noi!


Ferruccio Sansa per il Fatto Quotidiano in edicola oggi.


martedì 26/09/2017
LA SPEZIA
L’ospedale di “Mr. Unità” costa già 10 milioni in più
I LAVORI - L’OPERA È GESTITA DAL GRUPPO PESSINA, CHE FU CHIAMATO A “SALVARE” IL GIORNALE PD E POI HA SOSTENUTO I CANDIDATI DI TOTI

di Ferruccio Sansa

È il record dell’ospedale Felettino di La Spezia. Un’opera ormai mitica: lustri e lustri di attesa. Dieci anni per arrivare a una gara con un unico partecipante: un raggruppamento di imprese che comprende Coopservice e Gruppo Psc ed è guidato dal gruppo Pessina. Quello dell’Unità.
Infine inaugurazioni a raffica sempre nei periodi elettorali. E polemiche – quante polemiche! – sempre sul filo della politica: un ospedale prima etichettato di centrosinistra e poi di centrodestra. Se ne parla così tanto, ma poi se vai a vedere… sorpresa, trovi soltanto una spianata vuota.

Dopo anni di annunci si era partiti da 175 milioni A ogni elezione viene messa una prima pietra
Eppure i costi stanno già lievitando. E dire che si parte già da 175 milioni. Ma, come ha scritto ieri Il Secolo XIX, le imprese costruttrici hanno presentato 10 milioni di ulteriori “riserve”. In gergo tecnico sono le spese urgenti che sono state affrontate e che non sarebbero state previste nel capitolato d’appalto. Non basta: ci sono altri 610.742 euro di varianti. Una per salvare ed espiantare l’altare policromo in gesso di Villa Cerretti, una residenza ottocentesca abbattuta senza tanti complimenti per far posto all’ospedale. Se mai arriverà.
Insomma, non si vede ancora una parete all’orizzonte eppure stiamo già volando verso i 190 milioni. Intanto La Spezia, una città di centomila abitanti, aspetta ancora un ospedale degno di questo nome, con i malati che spesso preferiscono emigrare nella vicina Toscana.
Eppure da queste parti se ne parla forse da prima che fossero inventati gli antibiotici. Poi nel 2004 la prima offerta saltata, ricordano le cronache, perché la commissione di gara non era stata correttamente formata. Poi infiniti tiramolla, anche perché l’appalto fa gola: 175 milioni interamente pubblici. Di questi 119 provenienti dal ministero della Salute, mentre il resto arriverà dalla Regione Liguria e gli ultimi 25 milioni come permuta in base alla valutazione del vecchio ospedale che passa ai privati.
La firma del contratto d’appalto arriva nella primavera del 2015 e parecchi in Liguria storcono il naso. Mancano pochi giorni alle elezioni regionali con il centrosinistra – rappresentato dalla spezzina Raffaella Paita – che annaspa. Ma non basterà l’annuncio per evitare la débâcle. A sparare le critiche più grosse è proprio l’allora candidato di centrodestra, Giovanni Toti, poi vincitore: “È singolare che a pochi giorni dal voto si firmi un appalto da centinaia di milioni per la realizzazione di un nuovo ospedale. E che il gruppo che lo realizzerà, unico a presentare l’offerta, sia, guarda caso, il maggiore titolare delle quote dell’Unità, giornale che il segretario del Pd e premier Matteo Renzi si è preso l’impegno di salvare. Sarà tutto certamente regolare, ma lascia perplessi”.
Il gruppo Pessina ha sempre smentito ogni tipo di collegamento tra l’acquisto del quotidiano Pd e l’aggiudicazione dell’appalto: “C’è stata una regolare gara e noi l’abbiamo vinta in base all’offerta migliore. Abbiamo una competenza riconosciuta in questo campo”.
Ma nel frattempo tanta acqua – e tanti voti – sono passati sotto i ponti: Toti e i suoi hanno vinto in Liguria, poi a Savona, infine a Genova e proprio La Spezia. Insomma, hanno in mano la regione con il Pd che si scanna (a La Spezia ha dominato la scena la guerra all’arma bianca tra “seguaci” della renziana Paita e dell’altro spezzino eccellente, Andrea Orlando).
Intanto alla cena per raccogliere fondi per il candidato sindaco genovese Marco Bucci viene annunciata la presenza di Guido Stefanelli, amministratore delegato della società che controlla l’Unità e del gruppo Pessina. Il boss del giornale fondato da Antonio Gramsci accanto al candidato di Pdl-Lega e Fratelli d’Italia.
Nel corso degli anni gli annunci di posa di prime pietre si sono sprecati: nel 2004 viene annunciato l’inizio dei lavori con la consegna del nuovo nosocomio entro il 2007. Non se ne fa nulla. Poi altri annunci a pioggia dal 2008 al 2014. Nel 2015 ecco la promessa che l’ospedale sarà pronto nel 2019.
Fino a pochi mesi fa: ottobre 2016. Altro annuncio a pochi mesi dalle elezioni comunali, vinte anche queste dal centrodestra, e soprattutto dal referendum costituzionale che spacca l’Italia.
Ma gli spezzini ormai hanno cominciato a disperare. Le malattie, purtroppo, non aspettano i tempi delle grandi opere.

Gli unici che sembrano crederci ancora sono alcuni primari che, si dice, a ogni annuncio cominciano a sgomitare, a telefonare a segreterie di partito e Asl per candidarsi a dirigere reparti inesistenti.

lunedì 25 settembre 2017

Disse


“Lei si fa sfruttare, Borges” (leggasi Soares) mi ha detto. La sua osservazione mi ha fatto pensare che mi lascio effettivamente sfruttare; ma siccome nella vita tutti dobbiamo essere sfruttati, mi domando se non sarà meglio essere sfruttato da un Vasques dei tessuti piuttosto che dalla vanità, dalla gloria, dal dispetto, dall’invidia o dall’impossibile.”
(Fernando Pessoa - il libro dell’inquietudine)

Ah l'autunno...


Il segnale della ripartenza è proprio qui, nell'autunno. Il calendario beffa indicando il primo gennaio. 
Autunno tempo d'arrivi e ripartenze, se ci sono. 
Il problema è proprio nelle ripartenze: t'accasci sui ricordi estivi mentre attorno scintillano cappotti pregni di lana, e non sanno i venditori che in molte zone l'inverno sarà una pioggia calda senza i freddi salutari di una volta. Guardi partire la spensieratezza di luglio e agosto e, girandoti, avverti l'arrivo del saccente ottobre, inseguito da novembre l'equilibratore. 
Dovrei ripartire ma m'accorgo che a 'sto giro è dura. 
Sono esausto della ripetitività, questo giro giostrale mi sta stancando, vedo già facinorosi impegnarsi nelle prove del "tanti auguri a lei e alla sua famiglia", il che m'abbatte non tanto perché mi rompono i coglioni, bensì per il ritorno inopinato delle feste fasulle irrompenti su campi risonanti di latrati. 
Sono nella decadenza della psiche, dovrei abbeverarmi di più alla fonte infinita della lettura, in grado di sopperire a voglie represse e all'assenza di coraggio nel dire ai molti che no, non mi va, a questo giro, di seguire l'ondivagar senza meta di un mondo adiposo e molte volte, inutile. 
Cerco idee nuove, frizzanti nell'anomalia, scorticanti detti e pensieri e mode oramai calcificate, apparentemente da accogliere a priori. 
Non me la sento di ingurgitare nuovamente lo sciroppo che fa tanto bene. Esigo una strada nuova, inesplorata, sfanculante il resto. 
Chissà che non la trovi. 
Ve lo farò sapere. 

domenica 24 settembre 2017

Universalità


Ansa
Trovata nuova legge universale: “quando pieghi le lenzuola matrimoniali mai, in nessun caso, troverai i lembi ordinati e il giusto verso, ma dovrai cambiarne o solo il verso o anche i lati per la ortodossa piegatura”
Si prevede il Nobel per questa scoperta basilare per l’umanità.

sabato 23 settembre 2017

Affioranti


Stanno affiorando alcuni tic che mi preoccupano leggermente: ad esempio prendo delle pastiglie quotidianamente, in numero pari e se per caso ne perdo una, scompigliando la parità, mi innervosisco, soffrendo per il dispari che vedo nel raccoglitore d'alluminio con diciotto pastiglie in fila per due. 
Cerco di non pensarci ma il fatto mi scatena la voglia, l'ho fatto solo una volta, di buttarne via una per riconquistare la parità. 
Non è un bel segnale. No, decisamente no! Però per fortuna me ne accorgo e combatto l'insensatezza della situazione.
Altro esempio: sono umido-fobico, nel senso che ogni qualvolta genero un rifiuto alimentare, mi scattano dentro delle sirene come quelle del sottomarino, che mi fanno ansimare circa il loro smaltimento perché, ecco il nocciolo, ho il terrore di attirare animali, vedasi topi, con l'odore dei rifiuti.
E allora li genero in sintonia con lo smaltimento, portandoli di sera sotto il portone, muovendomi tra i bidoncini marroni, con una circospezione simile a quella di Rambo nella foresta. 
Confesso che alcune volte, guardandomi attorno come se vivessi nel Bronx, ho estratto il sacchetto dal bidone per metterlo dentro ad uno dei miei condomini, riportando a casa il contenitore. Si, lo ammetto, perché il saperlo tutta la notte alla mercé di cani, roditori e pisciate varie, mi agita. 
Vado avanti? 
 In autobus ho l'ossessione di scontrare qualcuno, dandogli la sensazione di avere davanti un borseggiatore. Mi muovo a rallentatore, cercando di tenere in bella mostra entrambe le mani, assumendo posture curiose, tra cui spiccano quella tipica di uno che ha appena udito il "mani in alto" della polizia, oppure quella del sonnambulo,  o anche quella dell'imbronciato o del maniaco della sicurezza, aggrappandomi a più sostegni del mezzo pubblico. 
E sul treno? Siccome m'addormento con facilità cerco di nascondermi addosso soldi, cellulare, iPad e quant'altro divenendo un sonnacchioso bombolone. Se metto il cappotto nella rastrelliera sopra di me, ogni due minuti circa lo guardo con gli occhi e se il tic non scompare, lo indosso, sudando conseguentemente come un macaco. 
Al ristorante se metto la giacca appesa sullo schienale della sedia, soffro per tutto il pasto, perché desiderando l'appoggio benefico lo evito per non sgualcirla, uscendo alla fine della cena con un inizio dolorante di scoliosi. 
Lavatrice-fobia: controllo metodicamente il numero di mutande ancora disponibili e soffro allorché mi separo da delle camice di cui mi sono innamorato, con cui mi separo, riponendole nel cesto della biancheria sporca, con lo stesso dolore che provavano le fidanzate in stazione salutando gli amori partenti per il fronte. 
Della lavatrice soffro anche lo spettro che mi si allaghi la cucina, per cui ogni tanto controllo il pavimento allorché lo messa in funzione. 
Stendo con circospezione soprattutto nella terza fila dello stendino esterno al terrazzo, per cui mantengo il baricentro molto basso per la paura di cascare di sotto con una postura simile a quella di un nano che si sta cagando addosso. 
Capitolo sigarette: cerco di smettere ma invano. Devo necessariamente avere in casa un pacchetto di riserva, a volte anche due, per cui l'entrata ricorda molto una fumeria d'oppio turca. Stessa cosa dicasi per gli accendini che compro e immagazzino in casa in numero tale da soddisfare l'accensione a tutti gli spettatori  presenti ad un concerto della Pausini a San Siro. 
E in tasca? Sempre due, in quanto detesto dover chiedere d'accendere, scrutando facce alla ricerca di un tabagista. 
Soffro inoltre la presenza in tasca delle odiose monete da 1,2,5,10 centesimi di rame che m'infastidiscono al punto da aver desiderato a volte d'ingoiarle e quando la cassiera del market mi annuncia "sono 10 euro e 58 centesimi" la maledico sognando una fatwa che le impedisca di pronunciare i sottomultipli dell'euro. Arrivato a casa, li spargo come coriandoli, ritrovandoli successivamente in posti stranissimi, tipo dentro la lavatrice, dentro al gabinetto o in frigo. 

Ancora sugli indumenti: ho molti pantaloni sia estivi che invernali nell'armadio. Molti sono di una taglia oramai scomparsa ma non li butto via, sognando un giorno di rientrarvici. Altri indossabili rimangono intonsi senza uso e al cambio stagionale mi guardano come se fossi, e hanno ragione, un imbecille. 
E che dire dei maglioni? Un tempo nefasto ne compravo di spessissimi, adatti ad una missione invernale nelle Terra dei Fuochi. Poi, accortomi dei nefasti odori sparsi in aere, dovuti all'abbondante sudorazione, ho cambiato abitudine, passando all'opposto, acquistandone alcuni così sottili che si squarciano ogniqualvolta starnutisco. 
Capitolo mutande: ho una scorta di mutande tali da sopportare una mesata di diarrea senza tregua! Appena scendo sotto le dieci unità faccio un lavatrice anche se fuori cielo Noè con la sua arca pronto ad accogliere animali di ogni specie. 
E che dire delle maglie della pelle? Stravedevo per quelle a girocollo, ora le odio, spasimando per quelle a V. 
Ma il must delle ossessioni, questo terribile, è il seguente: la fobia di dover andar di corpo e non avere attorno un bagno!
Cerco di non pensarci, ma purtroppo a volte capita e, credetemi, soffro orrendamente in merito. Quando esco, se vado in un ristorante sono tranquillo, come a casa di amici ma.. fino ad un certo punto! 
Perché, e so che annuirete, un'altra paura è lasciare il bagno maleodorante, che detta così è appare come un controsenso, non avendo ancora conosciuto nessuno che defechi profumando di Chanel Nr 5 il gabinetto. 
E qui scattano le contromisure: faccio due esempi. Se sono in un bagno di un ristorante, ho il terrore che dopo di me ci sia qualcun altro ad aspettare il proprio turno. Per cui, la regola che mi sono imposto, che non ritengo normale, è che anche se devo corporalmente liberarmi, in termini temporali devo dare l'impressione all'aspettante di aver fatto solo una minzione. Tempi millesimati quindi! Entrata, sbragata fulminea, liberazione, tasto dello sciacquone premuto durante la fase liberatoria per evitare che rimanga a lungo nel gabinetto, liberando odore. Nella tempo in cui la vaschetta si riempie, ulteriore controllo che il tenue si sia svuotato, pulitura, rivestimento e apertura del lavabo, se presente. Uso di quantità di sapone profumante l'ambiente, ulteriore scarico di acqua per pulizia generale, fischiata tranquillizzante ed uscita, senza guardare negli occhi l'astante. 
Stessa cosa in casa di amici, con l'unico problema legato in genere alla mancanza delle chiavi sulla serratura per cui ne deriva che la defecatio sarà molto ansiosa per la paura che entri qualche bimbo o gli stessi padroni di casa, per cui ogniqualvolta devo andare in un bagno di amici lo annuncio con tono di voce pavarottiano sulle note dell'Aida, scatenando ilarità generale.  
E che dire del mio rapporto con gli animali? L'unica volta che non sono scappato da un cane, salutandolo amichevolmente, mi ha morsicato un polpaccio! Per cui non li amo molto. E quando li sento abbaiare davanti ad un bar o di sera portati da un poveraccio certamente maledicente il momento in cui ne decise l'acquisto, sono tentato di sparare un raudo per spaventarli al punto di trasformarne i latrati nei più acquietanti belati. 
Di mattino presto, colgo il momento solenne della loro defecazione con il padrone che si finge portatore di Parkinson; mi fermo osservando la successiva ripulitura delle feci, con tanto di estrazione di sacchettino e guanto, gustandomi l'imprecazione dello sventurato incazzato oltremodo con me che invece di stare ancora a letto, sono lì per rompergli le scatole! 

Mi fermo qui, direi che sia abbastanza!

Ora sicuramente capirete perché scrivo molto su questo blog! 

Liberatevi anche voi dai vostri tic, dalle ossessioni, dalle manie! 

venerdì 22 settembre 2017

Altro giro, stessa giostra!


Possibile che ad ogni nuovo giro ricaschiamo dentro alla solita giostra?
Riassumendo: cosa occorre per costruire armi senza che il popolino cominci, incazzato, a rifare quei discorsi alla Luna tipo "invece che armi sarebbe meglio combattere la fame?"

Semplicissimo: serve uno svitato, meglio se dittatore. 

Sia chiaro: non è che segretamente gli altri, i cosiddetti paesi civilizzati, incontrino il pazzo del momento pianificando con lui una scena teatrale atta a rendere effervescente il clima internazionale! No, non è così. 
Al pazzo basta inoculare sentimenti di vendetta, frutto di sbeffeggiamenti pubblici, dichiarazioni alla "cazzo e campana", far innervosire i paese limitrofi, creare marachelle mascherate da incidenti, deviare aiuti economici, combattere l'economia dello stato, afflosciare progetti, chiudere rubinetti etc.

Il pazzo, visto che è pazzo, automaticamente innalzerà il livello di sicurezza mondiale inducendo i commedianti ad intensificare le spese in armamenti, autentico sale del mondo cosiddetto civilizzato. 

Vogliamo brevemente ricordare il passato prima di occuparci del pazzo del momento?
Ricordate le fiale fasulle contenenti, a detta americana, gas e mostrate dal segretario di stato all'Onu, scatenanti la guerra in Iraq contro Saddam, il pazzo di quell'era, dal figlio screanzato Bush?

E le intimidazioni francesi a Gheddafi, il clima incandescente di quel tempo?

E che dire di quell'altro psicopatico di Osama Bin Laden, in tempi amico degli americani, la cui famiglia faceva affari petroliferi con i Bush?

Passiamo al matto del momento, il cicciobello coreano. 
Quello è un pericolo, un grave pericolo per tutti. E non lo voglio certamente difendere, non vedendo l'ora che crepi. 
Ma aizzare un pazzo è pericoloso come vederlo all'opera. Ma definirlo Rocket Man (uomo razzo) davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, come ha fatto il Biondone con lo scoiattolo in testa, non è per caso un eclatante esempio di aizzamento in modo da portarlo a fare una sciagurata mossa?
E udire la Corea del Sud, il Giappone annunciare una riarmo immediato, non è forse la conferma di quanto detto poc'anzi?

Ogni periodo ha il suo pazzo da coltivare, facendolo incazzare, con lo scopo basilare di giustificare spese pazze, miliardi di dollari, in armi sempre più tecnologiche. La speranza di lor signori è di intraprendere un conflitto di qualche anno che irrori salvadanai di multinazionali le quali, finanziando campagne elettorali faraoniche, pretendono ed esigono proprio quello. 

Guardate questa foto:


  
La sonda Cassini prima di distruggersi ha inviato questa meravigliosa immagine di Saturno. In basso sulla destra c'è una piccola freccia che indica un puntino, un insignificante puntino: siamo noi, quella è la Terra. 
Da questa vista capiamo la nostra insignificante nullità, pregna però d'incertezze, di problematiche senza domani, tendenti all'autodistruzione.

Esistesse una mappa dell'universo in mano ad altre civiltà, sopra a quel puntino vi sarebbe sicuramente una nota del tipo:"lasciate stare quel pianeta. E' abitato da pazzi scatenati, che lasciano morire di fame tanti di loro e che molto presto si auto-elimineranno"
Ne sono quasi certo, purtroppo.  

Buon autunno!



D'altronde l'autunno non è mai stata una stagione allegra...

"Quel tempo dell'anno tu puoi in me vedere, 
quando gialle foglie, o nessuna, o poche, pendono
da quei rami  che tremano contro il freddo,  
nudi cori in rovina, dove dolci poc’anzi cantavano gli  uccelli.     
In me tu vedi il crepuscolo di un giorno,        
quale dopo il tramonto impallidisce a occidente, 
e che ben presto si porta via la nera notte,      
secondo volto della morte che tutto sigilla nel riposo. 
In me tu vedi il baluginare di un fuoco,      
che sulle ceneri della sua giovinezza giace      
come sul letto di morte su cui deve spirare,      
consumato da ciò di cui si era nutrito.        
Questo tu percepisci, che fa il tuo amore più forte,  

così da amare appieno chi dovrai presto lasciare."

(W.Shakespeare - Sonetto 73)

Riflessioni


Se così stanno le cose, se cioè uno sconfitto ad un referendum costituzionale spergiurante che in caso di tracollo, come poi è avvenuto, avrebbe abbandonato la politica, un ex imperatore regnante nel Ventennio del Puttanesimo e a capo di un partito, spiace chiamarlo così, in odore di mafia visto che uno dei suoi fondatori è attualmente in carcere a Parma per appunto associazione esterna di stampo mafioso, se a questi due aggiungiamo un mistero della natura tanto mellifluo, inconsistente, sconsiderato è il suo far politica, uno che quando fu ministro degli Interni, si purtroppo è vero, fece lo gnorri nel rapimento di una mamma kazaka e della sua figliola, prelevate e consegnate nelle mani di un dittatore acerrimo nemico del marito di lei, se a questi tre aggiungiamo un inconsistente e altamente pericoloso personaggio dedito esclusivamente ad acchiappare consensi sproloquiando su razzismo, armi, secessione, razze e altre cazzate gratuite, ebbene: se questi quattro esempi eclatanti di cosa sia realmente la politica in Italia si sono accordati ed hanno concepito una nuova legge elettorale che in qualunque altro ambito, compreso mosca cieca e rubamazzetto, richiederebbe un accordo il più possibilmente condiviso, visto che, da quando mondo è mondo, le regole del gioco dovrebbero essere concepite e rispettate da tutti, non qui, in questo povero e martirizzato paese dove la tecno-rapto-crazia da sempre al potere teme soprattuto un movimento infilzato ogni giorno come fosse una balenottera da decine di giornali e media proni al servilismo imperante, focalizzanti ed ingigantenti vicende e minimi sbagli al fine di screditarne le fondamenta, mentre intorno nella realtà vera continuano ad arrestare anche sindaci piddini, forzisti e appartenenti anche al minuscolo ma basilare partito dell'attuale ministro degli esteri, un coacervo di affarismo sfrenato senza limiti né misure, se tutto ciò si sta realizzando allora vuol dire che la partita è persa già fin d'ora e che i soliti continueranno a regnare, senza discontinuità, senza porsi nessun problema se non quelli di lor signori.

Piaggeria estrema





Guardate questo maestro di piaggeria, reclinato difronte alla bella Etruriana, un mix di servilismo, di blandizia senza pari. Reduce da successi internazionali dai Mondiali di Italia 90, ad Unicredit, passando per Alitalia e al tentativo di riapparecchiare la tavolata di amici nelle tanto sospirate Olimpiadi, saggiamente sfanculate da Virginia Raggi, Luca Cordero di Montezemolo ha pensato bene di ripartire divenendo presidente della società di trasporto ferroviario Italo. 
Come avranno fatto i soci ha riporre fiducia in questo boiardo ciclicamente sfasciante (a parte il periodo Ferrari) bilanci e quant'altro. 
Semplice! 
Tra gli azionisti di Italo c'è anche lui! 
Dovesse andar male comunque a Libera&Bella Cordero, un'occupazione rimarrà sempre: insegnante di piaggeria estrema, senza remore!