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mercoledì 27 settembre 2017
Manovre legali abnormi
Personalmente lo ritengo uno degli uomini più antipatici del pianeta, un eclatante esempio di quello che si può fare legalmente in un universo troppo spesso sconfinante nell'illegalità, dove i confini sociali e di visione umana vengono calpestati da norme, regole oramai consolidate, scritte per emarginare il 98% degli esseri viventi per rimpinguare una casta tecno-rapto-finanziaria.
Tronchetti Provera è un fulgido esempio di tutto questo, basti pensare a ciò che combinò al tempo di Telecom, quando vendette palazzi di proprietà della società di telecomunicazione a una società satellite di Pirelli, per poi incamerare affitti sontuosi dalla stessa, da una tasca all'altra, spolpando ulteriormente quel cammeo nazionale già visitato dalla congregazione di Colaninno, benedetta da Baffino, e che tanto spolpò Telecom, fiore all'occhiello nazionale passata oramai in mano francesi, che è come se affidassimo il controllo del nostro salotto di casa al primo che passa per la strada.
Giorgio Meletti sul Fatto in edicola oggi analizza un'altra di queste operazioni con i confini della legalità e, soprattutto, della dignità slargati dai meandri di quello che ancora oggi chiamiamo mondo economico, pur con i continui disastri che esso compie ai danni della collettività, vedasi rapto azioni bancarie etc...
Pirelli in Borsa, il mercato paga e Tronchetti Provera incassa.
di Giorgio Meletti
La Pirelli torna in Borsa, per la commozione dei media affascinati dai nostri plutocrati con i soldi degli altri. Gli azionisti di controllo della fabbrica di pneumatici chiedono al mercato finanziario, cioè ai risparmiatori, circa 3 miliardi per il 40 per cento delle azioni. Il 60 per cento e il controllo resterà a loro, la ChemChina, che ha la maggioranza delle azioni, e Marco Tronchetti Provera, cui i patti parasociali riservano il potere assoluto.
Due anni fa la holding Marco Polo ha comprato il 100 per cento dell’azienda, investendo 7,3 miliardi, e l’ha ritirata dalla Borsa. Poi si è fusa con la Pirelli mollandole i debiti fatti per comprarla, pari a 4,2 miliardi di euro (come fece Roberto Colaninno nel 1999 con Telecom che non si è ancora ripresa). Adesso viene offerto al mercato il 40 per cento delle azioni di Pirelli a un prezzo che sarà definito nei prossimi giorni all’interno di una forchetta tra 6,3 e 8,3 euro per azione. Le azioni sono un miliardo. Ipotizzando un prezzo a metà strada tra minimo e massimo, Pirelli tornerà in Borsa esattamente allo stesso prezzo al quale fu ritirata. In particolare i venditori otterrebbero dal mercato 2,9 miliardi, più o meno la cifra che hanno aggiunto al debito per comprare il 100 per cento. In pratica ChemChina, Tronchetti e gli altri soci avranno il 60 per cento della Pirelli avendo investito pochi spiccioli.
Le azioni sono offerte in parte al cosiddetto retail (35 milioni di azioni, circa 250 milioni) e il resto ai cosiddetti investitori istituzionali, che sono poi fondi comuni e fondi pensione che spendono soldi dei piccoli risparmiatori. Ma che cosa stanno vendendo? Quanto vale la Pirelli? Niente paura, ci pensa la Consob. Per garantire la trasparenza ha pubblicato un’agile documento di 936 (novecentotrentasei) pagine: sulla veridicità dei contenuti la Consob, com’è noto, non si assume responsabilità ma gli investitori possono fidarsi di un capitano d’industria del lignaggio di Tronchetti. Se per caso, in un’ipotesi solo teorica, le azioni Pirelli si rivelassero una fregatura, la Consob darà la colpa agli ignoranti che, mancando di educazione finanziaria, non si sono letti le 936 pagine.
Infatti chi avesse voglia di preferire il prospetto Pirelli a Guerra e Pace, verrebbe colto da dubbi. Per esempio, come fa la Pirelli a valere oggi 7,3 miliardi come due anni fa, se nel frattempo è passata da 980 milioni a 4,3 miliardi di debiti? (nota per gli esperti: la posizione finanziaria netta è 4,6 volte l’Ebitda). La Consob può ben dire di aver imposto nella prima pagina un severo avvertimento: “Il Gruppo presenta un significativo indebitamento finanziario bancario, rispetto al quale sostiene elevati oneri finanziari”. Prima che si ripetano penosi scaricabarile modello subordinate Etruria, s’impone una domanda al presidente della Consob Giuseppe Vegas: a quanti investitori pensa che vengano davvero fatte leggere le 936 pagine del prospetto? Le due prime banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, sono collocatrici delle azioni ma anche azioniste venditrici. Come se un agente immobiliare proponesse l’acquisto di una casa senza dire che è sua. Intesa gioca anche la terza parte in commedia: è creditrice di Pirelli per 1,8 miliardi. Nel prospetto di 936 pagine non risulta, ma c’è nella “nota di sintesi”, altre 93 pagine di foglie di fico che la Consob chiama trasparenza.
Chissà se i pusher di Intesa e Unicredit riveleranno all’ignaro risparmiatore che il loro datore di lavoro è beneficiario del collocamento che spinge allo sportello. E che rispetto a due anni fa il fatturato della Pirelli è sceso da 6 a 5 miliardi, perché è rimasta solo la produzione di pneumatici per auto e moto, mentre quella per camion e trattori l’hanno tolta via. Chissà se gli diranno che, per distribuire agli azionisti gli stessi 180 milioni di dividendo di due anni fa, la Pirelli dovrebbe fare un utile netto di almeno 450 milioni (nel 2016 è stato di 147 milioni). Chissà se gli spiegheranno il miracolo del marchio Pirelli, valutato 56 milioni nel 2014 e 2,3 miliardi nel 2016. Chissà come motiveranno che Pirelli prevede una crescita dei ricavi del 9 per cento all’anno, se finora la crescita media è stata del 5,4 per cento (Consob si è tutelata facendo scrivere: “I dati previsionali sono un obiettivo sfidante”).
Chi sicuramente uscirà vincitore dall’operazione è Tronchetti Provera, 70 anni a gennaio. Guida la Pirelli da 25 anni e i patti parasociali gli garantiscono la posizione di amministratore delegato (stipendio oltre 6 milioni nel 2016) fino alla primavera 2020, quando è già stabilito che a designare il successore saranno, insindacabilmente, lui e suo figlio Giovanni (insigne meritocrate, l’unico consigliere Pirelli che non ha una laurea nel curriculum). Gli azionisti di minoranza, che stanno per scucire 3 miliardi in cambio di una lista di rischi, staranno a guardare.
Il capitalismo all’italiana funziona così. La Pirelli ha anche deciso che le commissioni alle banche collocatrici (55-75 milioni) non le pagheranno gli azionisti venditori e beneficiari dell’operazione, ma la società stessa. E al completamento dell’operazione, con il ritorno in Borsa già fissato per il 4 ottobre, la Pirelli dovrà riconoscere al manager Tronchetti un premio tra i 30 e i 40 milioni di euro per il contributo alla riuscita dell’operazione. Funziona così: Tronchetti e soci mettono in vendita a caro prezzo un pacchetto di minoranza della Pirelli e chi compra paga anche (di tasca sua, pro quota) il premio a Tronchetti per averlo convinto a comprare. È il mercato, bellezza.
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