Le regole di ingaggio
DI MICHELE SERRA
Lo storico vignettista del Guardian, Steve Bell, non vedrà il rinnovo del suo contratto a causa di una vignetta su Netanyahu tacciata di antisemitismo.
La vignetta è facilmente rintracciabile in rete, e anche sul sito del nostro giornale. Guardatela e ditemi, secondo voi, se siano riscontrabili tracce, anche minime, di antisemitismo.
Come è possibile che in tanti anni di accese discussioni non si sia riusciti a stabilire almeno questa “regola di ingaggio”, che è possibile criticare i governi israeliani senza essere antisemiti e che è possibile criticare le consorterie religiose e/o plutocratiche al potere nei paesi arabi senza essere islamofobi, o antiarabi? E soprattutto, più in generale, da quando le opinioni, non importa se giuste o sbagliate, possono essere oggetto di stigma fino a questo punto?
Fatta eccezione per chi inneggia alla violenza, o esalta lo sterminio, o nega l’evidenza storica, o dice cose di efferata disumanità, tutto sommato una ristretta schiera di fanatici e di paranoici, bisogna che le opinioni — non solamente le vignette — tornino a essere considerate tali. Non reati, non colpe.
Opinioni. Legittime manifestazioni delle proprie idee politiche, che sono per definizione difformi e spesso contrastanti. Dopo centinaia di passi indietro, un piccolo passo avanti aiuterebbe a sentirci meno costretti, sulla questione, a un clima di intolleranza stabile.
L’antisemitismo è una ben nota infezione del pensiero, che ha generato persecuzioni, segregazioni, pogrom e infine la Shoah. Tirarlo in ballo quando non è il caso serve solo ad annacquare la sua infamità e la sua gravità.
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