Contro l’inconscio hitlerismo, l’antidoto sarà soltanto la pace
LA NUOVA GUERRA IN MEDIO ORIENTE - Schierarsi. Sto con i feriti, con gli israeliani che hanno un figlio ostaggio e i palestinesi che aspettano la rappresaglia. Sto con chi non ha mai deciso nulla. E ora perde tutto
DI TOMASO MONTANARI
Sotto un bombardamento nazista, Virginia Woolf annotava (la traduzione è di Nadia Fusini): “Il giovane aviatore su in cielo non è guidato solo dalle voci degli altoparlanti e dei politici; è guidato da voci che ha dentro di sé, istinti incoraggiati e nutriti dall’educazione e dalla tradizione. Dobbiamo aiutare i giovani uomini inglesi a strapparsi dal cuore l’amore delle medaglie e delle decorazioni. Dobbiamo creare attività più onorevoli per chi cerca di dominare in sé stesso l’istinto al combattimento, l’inconscio hitlerismo. … Dobbiamo fare felicità. Dobbiamo tirarlo fuori dalla sua prigione, all’aperto”. Parole pericolose: capaci di mettere in dubbio la determinazione della scrittrice nel combattere il nazismo.
Eppure, parole altissime di chi diceva di non avere, come donna, alcuna patria, se non il mondo intero. Di chi rifiutava la logica stessa delle armi, dello schierarsi, dell’uccidere o morire. Non l’abbiamo ascoltata, Virginia. E oggi, di fronte al disastro in cui precipitano, ora dopo ora, i popoli di Israele e Palestina, siamo lontanissimi dal fare felicità, anzi rinchiusi a doppia mandata nella prigione dell’appartenenza, del ‘noi e loro’, della guerra. Dell’“inconscio hitlerismo”: cioè in una comune aspirazione alla violenza e alla morte, non certo alla pace e alla vita.
I peggiori (che devono mostrarsi più estremisti del governo israeliano per far dimenticare il loro fascismo) hanno rispolverato le parole di Oriana Fallaci: “Sono sionista perché respiro, perché penso, perché vedo, perché so, in conclusione sono sionista perché sono egoista, perché se muore Israele, nostro migliore e coraggioso alleato, moriremo anche noi”. Tornano in mente le pagine grondanti d’odio cieco e di paura che Fallaci scrisse dopo l’11 settembre: vi si predicava la necessità di difendersi, con una guerra di vendetta, da una “guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci”.
In gioco – si diceva allora come oggi – c’era la libertà dell’Occidente: insidiata dai migranti (“Da noi ci sono venuti di propria iniziativa, coi maledetti gommoni”), perché “le moschee di Milano e di Torino e di Roma traboccano di mascalzoni che inneggiano a Usama Bin Laden, di terroristi in attesa di far saltare in aria la Cupola di San Pietro”. “La nostra identità culturale – scriveva Fallaci – non può sopportare un’ondata migratoria composta da persone che in un modo o nell’altro vogliono cambiare il nostro sistema di vita. I nostri valori. Da noi non c’è posto per i muezzin, per i minareti, per i falsi astemi, per il loro fottuto Medioevo, per il loro fottuto chador. E se ci fosse, non glielo darei”. Uno scontro tra civiltà: anzi no, – sibilava la giornalista –: “A me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura”.
Siamo sempre qua: al razzismo della pelle bianca. Gli atroci crimini di guerra di Hamas sono definiti opera di non-umani, di animali (sappiamo invece quanto banale sia il male umano). Invece, i simmetrici crimini di guerra (che mentre scrivo si avviano a diventare crimini contro l’umanità) di Israele, quelli no: sono legittima difesa. Perché? Perché loro sono loro, e noi siamo noi. Il discorso dei valori occidentali è una falsa moneta: quei valori siamo disposti a calpestarli ogni momento, se possiamo farlo a nostro vantaggio.
Allora, l’unica posizione che non ceda a questo “inconscio hitlerismo” è il rifiuto di schierarsi con uno dei due governi-apparati militari, schierandosi invece con entrambi i popoli: con gli israeliani e i palestinesi, che vengono traditi e abbandonati alla morte dai rispettivi vertici politico-militari. Con i feriti, con le famiglie israeliane che hanno un figlio preso in ostaggio, con le famiglie palestinesi che aspettano la rappresaglia che le cancellerà. Con chi non ha mai deciso nulla, e ora perde tutto. Come ha scritto il giornalista israeliano Haggai Matar, “il terrore che gli israeliani stanno sentendo in questo momento, me compreso, è un frammento di ciò che i palestinesi hanno sentito”.
Schierarsi contro Hamas, sorretta da un orribile regime teocratico. Schierarsi contro i vertici dello stato di Israele, che si dice democratico mentre pratica una segregazione così crudele da spingere i suoi vicini a scegliere tra una morte rapida e una lenta.
“Non c’è una soluzione militare al problema di Israele con Gaza, né alla resistenza che naturalmente emerge come risposta all’apartheid violento” (ancora Matar): l’unica soluzione è la pace. Per questo, come scrisse Tiziano Terzani rispondendo alla Fallaci, “in questi tempi di guerra, non deve essere un crimine parlare di pace”.
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