Per il ministero della cultura Craxi fu un esule come Dante
di Daniela Ranieri
Sul sito del ministero della Cultura, dove ogni tanto andiamo ad abbeverarci alla fonte del Sapere, si apprende che è in corso a Firenze (e già a Ravenna), fino al dicembre 2022, una “Rievocazione in forma drammaturgica/poetica della Compagnia Teatrale Attori & Convenuti focalizzata sulla vicenda processuale nella quale, a distanza di secoli, furono coinvolti Dante Alighieri e Bettino Craxi”. Rileggiamo. Si sarà rotto lo schermo. Il grafico avrà fatto confusione. Sarà lo scherzo di un buontempone. Al ministero avranno bevuto troppo. Forse volevano dire Brunetto Latini e hanno scritto Bettino Craxi. La lettura ulteriore non lascia dubbi: la rappresentazione avrà luogo “in varie sedi, anche scuole” di Firenze, e avrà al suo centro un “dialogo” tra i due famosi esuli. L’“ingiusta pece” da cui sono fuggiti Dante e Craxi è presumibilmente quella dei barattieri, cioè di coloro che hanno usato le loro cariche pubbliche per arricchirsi (corrotti, mazzettieri, concussori), e in effetti Dante nel 1302 venne processato per baratteria, lui che i barattieri li metterà all’inferno (Canti XXI e XXII), costretti a restare immersi nella pece mentre demoni alati li infilzano con dei forchettoni.
Dante, come Craxi, era un uomo immerso nella politica del suo tempo, e subì un processo per volontà dei Guelfi Neri ch’egli avversava. È da escludere che fosse corrotto, anche se è probabile che abbia sorvolato su alcune malversazioni della sua parte (la fonte è la più attendibile possibile: la biografia Dante di Alessandro Barbero). In esilio è mantenuto dal suo partito; poi, quando litiga anche coi Guelfi Bianchi, va a Verona e inizia il suo pellegrinaggio presso i grandi signori delle corti del nord (inizia la Commedia nel 1306-7 a Sarzana presso i Malaspina), fino alla morte, a Ravenna. Come non vedere che la storia di Dante è la copia sputata di quella di Craxi? Processato e condannato in via definitiva a 5 anni e 6 mesi per la corruzione dell’Eni-Sai e a 4 anni e 6 mesi per i finanziamenti illeciti della Metropolitana milanese (totale 10 anni), condannato in primo e in secondo grado per un’altra quindicina di anni per mazzette e tangenti, Craxi scappa ad Hammamet, Tunisia, dove morirà da ricco e da latitante (un sinonimo di esule: lo abbiamo imparato sul sito del ministero della Cultura).
Poteva forse il “Comitato nazionale per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri” non accomunare le figure di questi due grandi italiani? Certo, Craxi in latitanza (pardon: esilio), non avrà scritto la Divina Commedia, ma ha dato da mangiare a due generazioni di cronisti e “storici” che hanno stigmatizzato allo spasimo l’episodio delle monetine del Raphaël, evento cardine del giustizialismo, epitome dell’Italia che odia, come se essere aggrediti dal popolo infuriato implicasse de facto l’amnistia da ogni condanna, e come se il fatto che rubassero “tutti” (“E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale”, dal discorso di Craxi alla Camera del 1992) comportasse che quelli che venivano beccati non dovessero essere processati. Adesso nelle scuole la lampante vicinanza tra le due figure, il Sommo Poeta e il protagonista indiscusso di Tangentopoli, sarà chiarita anche ai pargoli, mentre gli adulti, ormai assuefatti a ogni affronto, assistono periodicamente al saltar fuori di qualcuno che vuole intitolare al Craxi statista una strada, una piazza, La Scala, e perché non una scuola, una mensa, un refettorio per i poveri, un’Opera Pia… Ma paragonarlo, anzi affratellarlo a Dante come perseguitato politico ed esule, è davvero sopra, anzi sotto, ogni umana intelligenza e senso della storia. Il ministero non poteva onorare meglio la memoria di Dante. Ah: naturalmente lo spettacolo e tutta la pregevole iniziativa, benedetta dal ministro Franceschini, sono fatti coi soldi nostri.
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