Di Carlo, il prof. no-pass in tv è solo un utile fantoccio
di Andrea Scanzi
Ho un nuovo idolo e voglio condividerlo con voi: il suo nome è Di Carlo, Valentino Di Carlo. Professore 41enne, insegna Lettere come precario in una scuola superiore. Ha tre lauree: Lettere Moderne, Scienze Politiche e Scienze Filosofiche. Il circo dei talk-show ha deciso di scritturarlo (momentaneamente) nel ruolo del “no Green pass accettabile”. Le prime tre parole sono meritate e la quarta no, perché Di Carlo è “accettabile” solo se lo paragoni a Meluzzi o Paragone, cosa che vale per qualsiasi essere umano tranne Giletti e le zanzare tigre.
Di Carlo è stato furbo nell’inserirsi in questa inutilissima polemica sul Green pass. E alcuni conduttori, peraltro bravi, hanno deciso di usarlo (che è cosa molto diversa dall’invitarlo). La scorsa settimana l’ho visto prima a Coffee Break, trasmissione peraltro ottima, e poi a L’aria che tira. Nel primo caso Di Carlo è stato macellato dialetticamente da Cecchi Paone, che immagino si sia sentito come Mike Tyson contro Michael Spinks nell’88. E nella seconda occasione è stato deriso e disgregato da Bassetti, che peraltro se lo è messo in tasca impegnandosi pochissimo.
Di Carlo è un punching ball mediaticamente improponibile, nonché simpatico a pelle come un mix fulminante tra Intini e Ghedini. Non lo aiutano neanche i capelli, scolpiti da un Edward Mani di Forbice che palesemente lo odia parecchio, e la timbrica. Di Carlo, senz’altro uomo di cultura e professore preparato, in tivù ci mette del suo per risultare indigesto. Non ha tempi televisivi, è drammaticamente logorroico e tende pure ad alzare la voce e gesticolare a caso nei momenti meno indicati. Magari l’interlocutore gli ha fatto una semplice domanda, i toni in studio sono calmissimi, e Di Carlo (in collegamento da una cella dadaista) si mette a urlare senza motivo (“Lei non è qui a fare domande Cecchi Paoneeeeee!”). Una macchietta involontaria che la tivù utilizzerà un altro po’ per poi relegarlo in quel dimenticatoio mediatico che meriterebbe anche adesso.
Le “tesi” di Di Carlo sono orgogliosamente improponibili. Ogni volta, con lentezza sgraziata, parte con la litania lisa del Green pass anticostituzionale. Poi vira sulla messa cantata dei poveri professori costretti ad avere il Green pass anche se ormai son quasi tutti vaccinati, “dunque cosa volete ancora, che si vaccinino anche le cattedre e le sedie?”. Di Carlo, sempre più comicamente obnubilato da se stesso, sgancia poi la bomba delle fake news: “Il tamponato è più sicuro di un vaccinato”. Falso storico, perché il vaccino (che Di Carlo chiama spesso “siero” come amano fare i no-vax) copre all’85% mentre il tampone rapido (a cui allude Di Carlo) ha un tasso di errore molto più alto. Di Carlo, come tutti i no-vax e quasi tutti i no Green pass, parla male e per sentito dire. Pretende pure i tamponi gratis o comunque scontati, esibendo l’egoismo di chi non solo non si vaccina ma pretende pure che sia la collettività ad accollarsi le spese di una scelta così moralmente ripugnante. Infine, a chi lo accusa di essere no-vax, dice che lui non lo è. Quindi è vaccinato? No, perché “pur non essendo contrario al momento ho dei dubbi”. E dunque, sempre da buon egoista, aspetta che nel frattempo si vaccinino tutti gli altri. Così arriveremo all’immunità di gregge, e quelli come lui saranno al sicuro grazie alla generosità altrui. È vero che Di Carlo, rispetto a certi pasdaran del delirio colpevole, pare quasi un luminare. Ma è davvero il caso, dentro una pandemia e dopo più di 130 mila morti, di invitare e dare visibilità a certa gente? Bah.
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