sabato 30 giugno 2018

Che ne dite?


Aveva macchiato per l’ennesima volta la fu intonsa camicia, stirata con devozione dalla cara mamma anziana. Pur essendo particolarmente solitario, nella sera di quel giorno maledetto, o benedetto a seconda del punto di vista, sarebbe dovuto andare a cena con un’amica, l’unica che ancora lo reggeva psicologicamente.
Anni avanzati come piatti lasciati a mosche su un lavello indegno; da quando si era separato, non era più stato brioso e, per il solo fatto che avvertisse questo cambiamento, lui che mai in vita sua aveva ceduto di un millimetro, confermava a sé stesso la perdita delle prerogative che gli permettevano, un tempo, di essere ammirato e ricercato nella sfera di amicizie: una cena, una serata in qualche bel locale, una corsa in moto sulla spiaggia attendendo l’alba, tutte occasioni speciali nelle quali gli altri vi partecipavano dietro condizione, la certezza della sua presenza.
Ogni qualvolta l’ansia, i dubbi, l’apatia gli si sedevano innanzi, lasciava quella realtà divenuta amara per entrare nel mondo fatato, edulcorato, innaffiato di cui aveva da sempre le chiavi aprenti e depressurizzanti la crescente inappetenza ai colori del presente. Ecco che riapparivano quasi intonsi la soggiacente filmografia dei tempi eroici, dei topici abbracci con la salinità effervescente che ogni individuo ansima a gustare, mercificandola. Apparivano allora visi di fate, lucentezze di corpi trasudanti sensualità, scorribande senza meta, fluorescenze capziose, urticanti spasmi in pectore, riprendenti pian piano vigore, mentre particolari insignificanti si trasformavano via via in pietre miliari.
S’interrogava spesso sulla bontà di questo suo estraniarsi, senza riuscire ad ottenere risposta. Spostava allora l’attenzione su problemi creati per l’occasione, non volendo ascoltare null’altro dalla sua instabile e perniciosa coscienza. A volte contava il tempo, liofilizzandolo per non avvertirne il peso smodato, l’assenza di una scintilla in grado di farlo galoppare, roteando le lancette in un ballo frenetico come la sua vita di allora. Se al posto del cellulare avesse avuto un ferro da stiro nulla sarebbe cambiato in tasca, a parte la differenza di peso. Era uscito dal giro, era emigrato in lande oscure, al declivio tra la pazzia controllata di chi vede scolorirsi tutto attorno a sé, e una malsana, ma appunto salubre, voglia di riscatto, di rivincita, di nuova scalata dei ceti sociali, caste velate ed immarcescibili, luoghi di iraconde battaglie, dettate e agognate mediante il denaro, la disponibilità di risorse che obnubila qualsiasi altro sentimento; tanto era imbruttito che non riusciva più a possedere potere monetario, scialacquato alla grande nei tempi d’oro. Era da molto che non frequentava i templi moderni quali aeroporti, autogrill, centri commerciali, dove la fretta insana e bugiarda attanagliante individui socialmente abiurati alla, se esiste, normalità, e dediti ad una recita recalcitrante intelletto, rettitudine di spirito, concertazione di sentimenti ineludibili per una conduzione sociale, se esiste, normale, sostituita dall’ipnotica simulazione tendente a mascherare l’assenza di sé attraverso un ritmo estremo di gozzoviglie, voracemente bruciate all’altare della dea Ostenta, mascherante il deserto dell’animo con una vorticosità composta da suonerie impazzite, vacui dialoghi attorno al totem Visibilia, matrigna voluttuosa, gelosa, esigente un’esteriorità estrema fondata su sabbie mobili, su palafitte nebbiose, su gelsi rinsecchiti nel gelo, accelerante calendari, sminuzzante stabilità, concetti, posizionamenti reali nello spazio infinito ma pur sempre ristretto, allontanante alti e temibili concetti quali morte, sofferenza, sensoriali percezioni del, ammesso che esista, reale, confinamento dell’io nel degno recinto costellato da lupi famelici pronti a sbranare l’ineluttabilità della fine del proprio mondo, della scomposizione degli atomi sfuggenti e desiderosi un giorno di tornare a formare stelle e pianeti, immoti ma saldi, silenziosi ed inutili ma reali, quasi che possa essere condanna il coabitare dentro un vivente capace di alterare la, ammesso che esista, realtà del gioco preparato da sempre, nel sempre, per sempre.
Si sentiva emarginato, l’ardore per tornare laggiù, perché è del laggiù che si parla, lo affascinava oltremodo, tendendo a riorganizzare una mente recalcitrante, il suo cuore affannato, le sue membra abusate. E quella malinconia nel contempo lo affascinava, vi era qualcosa di strano, d’impalpabile, mistero emergente, ospite inaspettato, balbettio umorale squassante quel poco di ancora vivo, di flebile bagliore che a tratti intravedeva, quasi squassato.
Che quest’onta, questo precipizio vissuto, questa grotta mal illuminata divenisse attraente? Può il nero affascinare, il buio silente invaghire?
Come detto rallentava lo spazio tempo attorno a lui, la dilatazione del giorno giganteggiava: ore trasformate in secoli come una strada desertica in un altopiano inesplorato, attraversato tra il rombo di un cuore che mai ascoltò, di un brusio sconcertante generato dal silenzio, il fragore del Sé!

“Ma parlo!”, si disse nell’attimo scoperchiante il paonazzo, per mancanza di ossigeno, nocciolo d’oro, tralasciato inspiegabilmente da lustri. Avvertì una mancanza da stordimento, s’affannò a dubitare, perché il dio Dubito fulmineamente tentò di velare, obnubilare il vagito dell’Essenza. Una concatenazione di eventi, un frullato di disattenzioni aveva smascherato l’arcano, il fulcro, il fuoco. S’incontrò con sé stesso, ebbe la fortuna di conoscersi, di familiarizzare, confabulare, discettare, pianificare, facendo confluire sensazioni misteriose, allocate chissà dove e da quanto; vide il vagito della reazione a catena, srotolante il Vero. Attorno a lui ogni altro espediente svanì, la missione stordente s’affievolì, le grandi praterie, i percorsi scoscesi incredibilmente appetibili gli si pararono davanti. Per la prima volta, straordinariamente, si trovo solo, solo con sé stesso. E fu sera e fu mattina. Secondo giorno.        

venerdì 29 giugno 2018

Sfacciato!



Ma guarda cosa combina questo millantatore che si è addirittura azzardato a battere i pugni sul tavolo davanti all’Europa invece di raccontare barzellette, di mettersi sull’attenti, di sorridere “allacazzo&campana”, di dire “signorsì” in cambio di spiccioli da utilizzare per mancette elettorali! Populista della malora!

Selvaggia


venerdì 29/06/2018
IL PROTAGONISTA
Povero Renzi, ora è più triste del boiler rotto della Minetti
RIPOSIZIONAMENTI - L’EX PREMIER ORA SENATORE CERCA L’ALLURE DA STATISTA COPIANDO L’AMERICANO. MA GLI EFFETTI SONO BEN DIVERSI

di Selvaggia Lucarelli

A guardare gli sconfitti eccellenti alle ultime elezioni e nella formazione del nuovo governo, pare che tutti abbiano trovato una loro dimensione. Giorgia Meloni – quella che aveva dichiarato “Vado spesso in Inghilterra, sono stata da poco a Dublino e in Scozia” e col direttore del Museo egizio non distingueva la differenza tra lingua araba e religione – ha invitato Roberto Saviano a studiare.
Che è un po’ come se la Isoardi invitasse tutte a fidanzarsi per amore. Ergo, continua a fare la sua solita, nota opposizione: alla perspicacia. Silvio Berlusconi, mentre Salvini gli voltava la faccia, si è rifatto la sua per la tredicesima volta.

Inoltre, ben lontano dal motto “prima gli italiani” del traditore Salvini, appreso che è terminato il programma di aiuti internazionali alla Grecia, ha offerto pieno supporto alla valletta greca di Tiki Taka Ria Antoniou. Non promette un ingresso immediato nella zona euro, ma l’ingresso in zona Certosa è spalancato. Nessuna misura di austerità prevista. La Boldrini cazzia Conte e Salvini in aula per gli aiuti negati ai migranti, Grasso cazzia Salvini per la faccenda della scorta di Saviano e Saviano, a sua volta, pure se non si è mai candidato, da solo fa più opposizione al governo di Martina, Calenda, Orfini, Cuperlo, Franceschini e Orlando che sono troppo presi a starsi sui coglioni tra di loro per farsi stare sui coglioni qualcun altro. Poi, in un angolino che vaga come un gatto che non trova la lettiera, come una pallina da golf che gira intorno alla buca, c’è Matteo Renzi. L’uomo che la sinistra l’aveva persa da un pezzo, ora non ha più nemmeno un centro. Osservare la sua ricerca disperata di un posizionamento è una delle cose più malinconiche accadute negli ultimi dieci anni dopo l’esclusione dell’Italia dai Mondiali e la Minetti che al telefono diceva a Berlusconi “Non funziona il boiler, c’è l’acqua fredda in bagno!”. L’uomo che usava i social per indirizzare, bacchettare, ironizzare, ora si limita mestamente a retwittare Roberto Burioni e Pina Picierno. Non dice la sua, la fa dire agli altri, roba che se fino a un anno fa gli avessero detto che avrebbe preferito tacere per retwittare la Ascani, si sarebbe lanciato giù dalla seggiovia a Courmayeur.

Tra un po’ si retwitterà i complimenti come Paola Ferrari. Utilizza l’hashtag #neuro per perculare l’avversario e #altracosa per ribadire che il Pd è “un’altra cosa” rispetto al governo. Sì, quell’altra cosa che non votano manco più in Toscana, nello specifico. È probabile che se Massimo Ceccherini oggi si candidasse a sindaco di Firenze con la Lista “Maremma maiala” probabilmente prenderebbe più voti di un qualsiasi candidato del Pd. Poi, siccome lui vorrebbe essere Obama almeno quanto Justine Mattera vorrebbe essere Marilyn Monroe e Barbara D’Urso Oprah Winfrey, comincia a scimmiottare la vita dopo la politica dell’ex presidente americano. Obama fa conferenze pagate in giro per il mondo e allora Matteo fa conferenze pagate in giro per il mondo. Andrà in Africa per i cent’anni dalla nascita di Mandela perché scherziamo, non può mancare, nel 2012 da sindaco di Firenze gli aveva consegnato il prestigioso Fiorino d’oro e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha già fatto sapere che se alla celebrazione non c’è Renzi, per protesta, ripristina l’apartheid. È già andato in America, al cimitero di Arlington per il cinquantesimo anniversario dalla morte di Bob Kennedy e in ottobre andrà al cimitero della Leopolda, per i funerali del Pd. Pare andrà anche in Kazakistan e in Qatar dove ha intenzione di tenere un convegno sul tema su cui è più ferrato – i referendum – e di suggerire all’emiro e al capo di Stato kazako di indirne subito uno certamente vincente, ovvero: “Basta petrolio, torniamo a esportare solo tuberi, siete d’accordo?”.

Obama scriverà un libro con un contratto da 65 milioni di dollari, e naturalmente anche Matteo ha il libro pronto. Parla della sua vita dopo la politica, per cui è di tre pagine in tutto di cui due sono la prefazione di Luca Lotti sul segreto del suo rovescio a tennis.

Infine, Obama firma un contratto per varie produzioni con Netflix e guarda caso anche Matteo sta valutando un programma con Netflix. Secondo le prime indiscrezioni, si tratterebbe di una trasmissione sulle bellezze del nostro Paese. Renzi inaugurerebbe il ciclo descrivendo la sua Firenze e gli antichi splendori, ovvero tutto il periodo che ha preceduto l’arrivo suo e di Nardella. Insomma, Matteo Renzi, angustiato e in cerca di un’identità più vincente di quella del senatore semplice che chatta in aula mentre parla Conte, cerca in tutti i modi di imitare Obama. Peccato gli manchi solo una cosa: essere Obama.

giovedì 28 giugno 2018

Una foto, tanti pensieri



Una banalissima foto, un'alba o un tramonto, una semplice immagine può scatenare fantasie, pensieri, meditazioni. Si, perché questa foto è stata scattata dalla sonda europea ExoMars, ed è appunto un tramonto marziano.
Che vi viene in mente? Se m'immedesimo nel momento mi viene nostalgia, solitudine, tristezza. Se fossi lì soffrirei come un cane bastonato della mancanza di umani, che molte volte denigro, non sopporto, critico, evidenziandone difetti e fastidi. 
Mi mancherebbe il caos che quaggiù non sopporto; forse avrei pure nostalgia di tanti imbecilli che incontro quotidianamente. 
Questa foto potrebbe essere un toccasana per l'elitario che è in me. Star da soli a volte è un incanto. Costruirsi invece un panorama come quello scattato dalla sonda, una dannazione. A volte capita infatti di non condividere nulla con nessuno, rendendo invisibile l'altro, trasformandolo in essere insignificante. 
La nostalgia eruttante da questa foto, mi sia di monito. 

Scalfari che ci piace


Ogni poeta scrive di se stesso
EUGENIO SCALFARI

Il fondatore di “Repubblica” ha scelto una serie di versi più o meno celebri. Li ha cuciti insieme in un’antologia personalissima senza svelare i nomi degli autori: un gioco divertito sulla forza della letteratura


Chi scrive libri parla di se stesso se dorme e sogna anch’esso lo riguarda ed è l’anima sua che soffre o gode.
Il corpo segue come un animale sente i bisogni senza sentimenti e li soddisfa, predatore e preda.
I romanzi raccontano la vita soprattutto l’amore e le sue stelle ma non dicono mai la verità.
Mentire su se stessi è legge di natura a me non piace e quel romanzo non lo scriverò.
La vita è quasi sempre tormentata e talvolta è divina poesia.
Il campo dei poeti coglie la gioia ed il tormento, l’inferno e il paradiso e quei poeti citerò senza nome. Sarà un’antologia.

“ Io voglio morire voglio vedere la riva d’Acheronte fiori di loto fresca di rugiada”.

“ Oh città dei gitani chi ti vede e non ti ricorda?
Che ti cerchino sulla mia fronte gioco di luna e arena”.

“ La vita è poesia musica e dolce luna ma è anche l’inferno che brucia le anime morte”.

“ Tramontata è la luna e le Pleiadi a mezzo della notte.
Giovinezza dilegua e io nel mio letto resto sola.
A me non ape, non miele e soffro e desidero”.

“ Ero giovane allora e la chitarra era legata al cuore allegria e malinconia spagnola e messicana noche de Ronda Maria Dolores cantava il bolero”.

“ ¡ Ay, qué trabajo me cuesta quererte como te quiero!
Por tu amor me duele el aire, el corazón y el sombrero”.

“ Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera” 

“ Col mare mi sono fatto una bara di freschezza”.

“ Mia madre stava accanto a me seduta presso il tavolo ingombro dalle carte da giuoco alzate a due per volta come attendamenti nani pei soldati dei nipoti sbandati già dal sonno.
Si schiodava dall’alto impetuoso un nembo d’aria ghiaccia, diluviava sul lido di Corniglia rugginoso”.

“ Il cammino finisce a queste prode che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode salpa già forse per l’eterno”.

“ Tarderà molto a nascere, se nasce, un andaluso cosi puro, così ricco d’avventura. Canto la sua eleganza con parole che gemono e ricordo una brezza triste negli ulivi”.

“ Eran le cinque in punto della sera.
Un bambino portò un lenzuolo bianco alle cinque della sera”.

“ Come ci dissetammo! Quante volte ci dissetammo! E tanto era soave il dissetarsi che desiderammo l’ardente sete”.

“ Ma la Melancolia venne e s’assise in mezzo a noi tra gli oleandri, muta guatando noi con le pupille fise.
Ed Erigone, ch’ebbe conosciuta la taciturna amica del pensiero, chinò la fronte come chi saluta.
E poi disse la Notte e il suo mistero”.

“ ll vento che stasera suona attento ricorda un forte scotere di lame gli strumenti dei fitti alberi e spazza l’orizzonte di rame dove strisce di luce si protendono come aquiloni al cielo che rimbomba ( Nuvole in viaggio, chiari reami di lassù! D’alti Eldoradi malchiuse porte!) e il mare che scaglia a scaglia, livido, muta colore lancia a terra una tromba di schiume intorte; il vento che nasce e muore nell’ora che lenta s’annera suonasse te pure stasera scordato strumento, cuore.”.

“ Erigone, Aretusa, Berenice, quale di voi accompagnò la notte d’estate con più dolce melodia tra gli oleandri lungo il bianco mare?”.

“ O Notte, piangi tutte le tue stelle!
Il grido dell’allodola domani dall’amor nostro ci disgiungerà.
Un’altra era con noi ma restò muta tra gli oleandri lungo il bianco mare”.

“ La maggior parte degli uomini, da soli a soli, sembrano gentili e amichevoli, ma l’Uomo collettivamente, in genere si comporta da canaglia.
La politica dovrebbe adeguarsi a Libertà, Legge e Compassione, ma di regola essa obbedisce a Vanità, Egoismo e Tremarella”.

“ Nacquero tensioni tra le nazioni nell’esistenza apparve la violenza, imprigionamenti e lamenti, imposizioni, negazioni, segreti, divieti, nessun viso col sorriso, nessun contento, ognuno spento.
Ma non sarà così! Via, Incantatori.
Io vi sfido a combattermi!
Spregio il vostro potere: gli incantesimi non potranno mai battermi.
Ecco che Don Chisciotte della Mancia si prepara a sfidarvi.
Vi farà tutti a pezzi e riuscirà per sempre a sterminarvi”.

“ Per porre fine a questa brutta storia penso che il meglio per me sia partire.
Addio! Io parto e me ne vado a Angers visto che le sue grazie l’ha per sé e mai le vuole spartire con me.
Muoio per lei, e pure sono sano.
Insomma, son più martire che amante e più che innamorato sono un santo”.

“ Elmo di guerra e corno di caccia sentenza di canuti uomini contro i fratelli in ira e donne come liuti”.

“ Come squilla squilla squilla nella fredda aria notturna!
Lo stellato, che scintilla su nei cieli, ne sfavilla di piacere cristallino; prende il tempo il tempo il tempo come un runico concento; dal tintinno musicale che si spande da campane, da campane, da campane da squillare e dondolare di campane.
Quel diluvio d’armonia non s’effonde non si spande alle sponde del futuro. Come parla dell’ebbrezza che conduce a ondeggiare e risonare le campane le campane le campane, che conduce a sussurrare e concordare le campane!”.

“ Voi non m’amate ed io non v’amo. Pure qualche dolcezza è ne la nostra vita da ieri: una dolcezza indefinita che vela un poco, sembra, le sventure nostre e le fa, sembra, quasi lontane.
Ben, ieri, mi sembravano lontane mentre io parlava, mentre io v’ascoltava, e il mare in calma a pena a pena ansava”.

“ I cieli erano cupi e cinerei, increspate le foglie e appassite, ingiallite le foglie e appassite.
La notte era di un eremo ottobre dell’anno più amaro a ricordo, presso il lago nerastro dell’Auber in mezzo alla valle del Weir – sul padùle fangoso dell’Auber nel bosco di lamie del Weir.
Questa notte fa un anno preciso ch’io qui giunsi, che giunsi quaggiù Peso orrendo a deporre quaggiù!
Nella notte di tutte le notti qual demonio mi ha addotto quaggiù?
Questo è il lago nerastro dell’Auber la regione nebbiosa del Weir, il padùle fangoso dell’Auber e il bosco di lamie del Weir”.

“ Ho messo il mio cuore nel cavo della mia mano.
Lo guardavo come chi guarda dei grani di sabbia o una foglia lo guardavo pavido e assorto come chi sa d’essere morto e la mia anima era commossa dal sogno, non dalla vita”.

“ So distinguere un cavallo da un mulo, so giudicare il carico e la soma, so separare il sonno dalla veglia, so che cos’è la podestà di Roma.
Principe, so tutto in fin dei conti, so vedere chi sta bene e chi sta male, so che la Morte porta tutto a compimento.
So tutto, ma non so chi sono io”.

“ S’i fossi foco arderei lo mondo, s’i fossi vento lo tempesterei, s’i foss’acqua, i’ l’annegherei, s’i fossi Dio mandereil’en profondo, s’i fossi imperator, sa’ che farei?
A tutti mozzarei lo capo a tondo.
S’i fossi Cecco com’i’ sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre le vecchie e laide lasserrei altrui”.

“ Chi vuole con le donne aver fortuna non deve mai mostrarsi innamorato.
Dica alla bionda che ama più la bruna, dica alla bruna che dall’altra è amato se vuole con le donne aver fortuna”.

“ Sento intorno sussurrarmi che ci sono altri mestieri… Bravi, a voi! Scolpite marmi, combattete il beri- beri allevate ostriche a Chioggia filugelli in Cadenabbia fabbricate parapioggia.
Io fo buchi nella sabbia o cogliete la cicoria e gli allori, o voi Dio v’abbia tutti quanti in pace e gloria.
Io fo buchi nella sabbia”.

“ Viviamo, Lesbia mia, ed amiamoci dammi mille baci e poi cento poi altri mille ed altri cento poi ancora altri mille ed altri cento.
Quando ne avremo fatti molte migliaia, li confonderemo per non sapere più il loro numero sapendo che esiste un numero così enorme di baci”.

“ Se povero tu sei sempre povero resterai le ricchezze si danno ai ricchi, ai poveri mai”.

“ Venere, infusa nel sangue e nell’anima, guida la creazione con forze segrete e nel cielo, la terra e il mare ammansito avviò il flusso continuo dei semi e volle che il mondo imparasse, le vie delle nascite.
Ami domani chi mai amò e chi amò ami domani”.

“ C’è un luogo al centro del mondo, tra terra e mare e le draghe celesti, il confine tra questi tre regni è il luogo della Fama che si è scelta la casa in cima.
Lì abita la Credulità la Gioia vana e i Timori smarriti, la Sedizione recente e le Chiacchiere di autore incerto.
Lei stessa vede quello che avviene in cielo, in terra e in mare e indaga per tutto il mondo”.

“ Oh graziosa luna, io mi rammento che, or volge l’anno, sovra questo colle io venia pien d’angoscia a rimirarti”.

L’antologia poetica è terminata.
E spero sia di vostro gradimento. Io non scriverò Un romanzo sulla mia vita.

“ Questa notte ho parlato in sogno con Afrodite”.

Riflessioni


La mattina in cui ho perso la fede
TEJU COLE

Intorno ai venticinque anni mi successe una cosa strana: mi trovavo di fronte a paradossi teologici che non riuscivo risolvere. Avevo studiato la religione così a fondo che non vedevo come fare progressi.
Come capire se la Bibbia era davvero l’unica verità dell’esistenza? Certo, lo diceva la Bibbia, ma come potevamo sapere se la Bibbia diceva la verità? Sempre perché lo diceva la Bibbia. Ogni riflessione mi riportava allo stesso punto. E così la questione divenne capire se la Bibbia dimostrava in qualche modo di essere diversa dai testi sacri di altre religioni, o se, come loro, era scritta da esseri umani, messa insieme da essere umani e usata nei secoli per scopi umani. Nel 1721 Jonathan Swift aveva scritto: “Il ragionare non farà mai correggere a un uomo un’opinione sbagliata che non ha acquisito ragionando”. In altre parole, non si possono smantellare con la forza della ragione le posizioni adottate grazie alle emozioni, e la mia fede cristiana era senza dubbio emotiva. Ma Swift, perlomeno nel mio caso, si sbagliava.
Analizzai razionalmente gli assunti su cui avevo basato la mia vita, e che non avevo adottato secondo la logica, e scoprii che non reggevano. Non furono giorni facili per me.
Senza Dio, come potevo dare significato alla vita? La frase di Dostoevskij nei Fratelli Karamazov era un monito potente, non una promessa di libertà: “Se Dio non esiste, tutto è permesso”. Non volevo che tutto fosse permesso. Temevo l’abisso. Ma continuai a ragionare. Poi un mattino, a ventisette anni, mi svegliai e scoprii di aver perso la fede.
Immaginiamo di pensare che gli omosessuali andranno all’inferno. Che i musulmani andranno all’inferno. E anche i cattolici, gli induisti, i buddisti, gli atei. Immaginiamo una concezione così ristretta del destino umano che chiunque non condivida il nostro credo è condannato. E così, anche se l’ultima cosa che avevo provato prima di perdere la fede era la paura, la prima emozione subito dopo fu il sollievo. Sollievo all’idea di non dover essere più crudele e limitato! In inglese, “losing it”, è sinonimo di impazzire, perdere la testa. Ma io avevo perso la fede, e trovato la ragione. Ero impazzito in un certo senso, ma poi ero diventato più lucido. Scoprii una lucidità mentale su cui poter costruire un’etica nuova, radicalmente inclusiva. Persi il senso della certezza e trovai quello del dubbio. È vero che mi considero ateo, ma per me non si tratta di una definizione rigida. Mi pare più vicina alle parole di Simone Weil: “L’ateo può essere semplicemente chi concentra la fede e l’amore sugli aspetti impersonali di Dio”.
Non avevo davvero abbandonato tutti gli dèi, solo i più vecchi e patriarcali, quindi il mio essere ateo era in realtà una sorta di politeismo. I nuovi dèi, o meglio, quelli di cui ero appena diventato consapevole, non avevano i nomi o le fattezze classiche. Scetticismo, dubbio, libertà, poesia, musica, giardini, natura, narrazioni, amore, amicizia: questi erano diventati i miei dèi. Non erano potenti, e non promettevano il paradiso, anzi, non promettevano niente, ma in una serata incerta potevano darmi compagnia e conforto. Quelle consolazioni terrestri non rappresentavano delle garanzie, ma erano immediate e reali, imprevedibili e temporanee, e vi si poteva attingere senza fare violenza sulla vita degli altri.
Per anni ormai, ho avuto solo i miei dubbi per orientarmi nella vita. Ma anche i dubbi vanno tenuti sotto controllo perché non diventino totalitari.
Convivere con il dubbio non significa abbandonare ogni valore. Le posizioni forti si possono prendere e vanno prese in situazioni contingenti. I dubbi mi permettono, ad esempio, di oppormi al totalitarismo e al militarismo senza diventare pedante, e di poter riconoscere come è facile sostituire una forma di certezza con un’altra.
Penso spesso a queste parole di Simone Weil (ancora lei): “Il nemico capitale rimane l’apparato amministrativo, poliziesco e militare, qualunque sia il nome di cui si fregi... Il peggior tradimento possibile, in qualsiasi circostanza, consiste sempre nell’accettare di sottostare a questo apparato e di calpestare in se stessi e negli altri, per servirlo, tutti i valori umani”. Weil sapeva fin troppo bene che le strutture repressive sono presenti a prescindere dalla propria posizione politica e che l’etica si fonda sul rifiuto di sottomettersi a qualsiasi struttura rigida, sul rifiuto di perdere di vista il nostro senso comune dell’umanità.
E nel suo saggio del 1964, La responsabilità personale sotto la dittatura, Hannah Arendt aveva intuito qualcosa di simile.
Riflettendo sul collasso morale della società rispettabile durante il regime di Hitler, scrisse: “in tali circostanze, coloro che hanno cari i valori etici e ci tengono alle norme e agli standard morali non sono gente affidabile: sappiamo ormai che tali norme e standard possono cambiare dal mattino alla sera e che tutto ciò che resta, allora, è solo il fatto di tenersi aggrappati a qualche cosa. Molto più affidabili, in casi come questi, si rivelano i dubbiosi e gli scettici, non perché il dubbio o lo scetticismo siano un bene in sé, ma perché grazie a essi ci abituiamo a esaminare le cose e a farci una nostra idea in proposito”. Dover prendere costantemente decisioni può spaventare, e spaventa soprattutto chi dà valore a parole come “rivoluzione”, “tolleranza zero” e così via. Ma dopo due battesimi non mi fido più di queste rivoluzioni che promettono il paradiso. Non ho bisogno di unirmi a un gruppo, un culto una religione. Non ho bisogno di sottostare all’apparato. E la bellezza di tutto questo è che condivido il mio approccio con molti altri, anche con chi è nominalmente associato a una religione o a un sistema di credenze. Ci accomuna una fondamentale lealtà al dubbio produttivo più che alle stridenti dichiarazioni di fede. Non siamo sicuri.
Abbiamo perso la fede e la testa.

Non troviamo certezze. Amiamo e dubitiamo.

Piccoli segnali



A volte basta un gesto, un piccolo impercettibile segnale per far comprendere alla gente che non sei come i dispensatori di frottole rosiconi, blateranti dal paleozoico.

Scanzi supremo


CARO MICHELE SERRA, NON SARANNO I LEGHISTI A LAVARVI LA COSCIENZA

Non è vero che la sinistra, quella salottiera almeno, detesti Matteo Salvini: al contrario, lo adora. Gli vuole bene. Spera che duri in eterno, perché ne ha bisogno: lungi dall’essere il nuovo Goebbels, Salvini è l’alibi della sinistra. Il cazzaro facilmente detestabile da attaccare a favor di telecamera, con un post o un tweet, per rifarsi una verginità. Per fingere di non avere colpe. E continuare come se nulla fosse, convinti di esser sempre nel giusto.
Si pensi a Don Michele Serra. Il sacerdote laico della quasi-sinistra italiana, quello che con Craxi faceva il barricadero e con Renzi marcava visita, ha regalato giorni fa al volgo un’omelia laica assai pensosa. Non l’hanno letta in tanti, perché Serra ha scelto come organo di diffusione una pubblicazione inconsapevolmente carbonara chiamata “Il Foglio”. Una testata, peraltro, che il Serra incendiario di Cuore avrebbe bombardato dalle fondamenta, e che invece adesso va benissimo come megafono per pompieri in disarmo. Don Michele, con consueta prosa aggraziata e abuso di citazionismo (ora Altan e ora il New Yorker), ci ha detto che chi ha votato M5S ha inequivocabilmente sbagliato. Ancor più se di sinistra. E sarà per colpa loro che moriremo non democristiani ma fascisti: “Abbiamo davanti decenni o secoli di destra popolar-sovranista. Io sono troppo vecchio per vedere risorgere una nuova civilizzazione”. Amen. Se un alieno scendesse sulla Terra e leggesse unicamente Serra, immaginerebbe l’Italia in balia di dittature e fucilazioni. E il bello è che Don Michele ci crede davvero. Certo: viviamo tempi mesti. Certo: il lessico di Salvini è spesso raggelante (il suo agire un po’ meno, essendo “solo” l’agire di un Minniti che ce l’ha fatta). E certo Don Michele è oltremodo intelligente. C’è solo un piccolo problema: Don Michele non ha il diritto di lamentarsi. Lo ha perso quando ha accettato, lui e quasi tutto il suo giornale, la vergogna renziana. Lo ha perso quando, al massimo di quel che resta della sua vena iconoclasta, ha votato la Bonino (cioè Renzi). Lo ha perso quando continua, con quell’odiosa spocchia di chi è superiore poiché di sinistra, a credere che lui e “la sua parte” siano ontologicamente nel giusto, anche se quella “parte” (quella “sinistra”) fa così schifo da decenni che ormai Salvini risulta molto meno indigesto di quasi tutta la dirigenza renziano-piddina. Se solo Don Michele parlasse con gli “elettori che sbagliano” (il lessico è sempre quello) dei 5 Stelle, scoprirebbe che non hanno cambiato idea: rivoterebbero la stessa cosa o al massimo si asterrebbero, perché pur di non rivotare “sinistra” si farebbero evirare da Orban in orbace. Ad avere diritto di criticare e massacrare il Salvimaio sono in tanti, anzitutto quelli che – proprio in quanto di sinistra – si opponevano a Renzi. I Montanari, i Robecchi, i Giannini. Ma i Serra e gli Zucconi, no. Se la sinistra italiana è sepolta sotto cumuli di macerie e riesce a perdere persino a Siena, non è colpa di Lega o 5 Stelle: è anche colpa di chi per anni si è accontentato della brodaglia rancida che gli imponeva il partito. Se Salvini è il Ministro dell’Interno, è anche colpa loro. Del loro tifo colpevole. Della loro pavidità imperdonabile. Avevate voci adatte per il vaffanculo e vi siete accontentati di appendere il poster della Boschi in camera. Per questo, come cantava qualcuno che Don Michele conosceva bene, “per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”. E non vi basterà un Salvini per lavarvi la coscienza (anche se vi piacerebbe da matti).

(Il Fatto Quotidiano, cartaceo, 26 giugno 2018)

martedì 26 giugno 2018

Vomitevole Made in Italy


Leggete questo articolo e quando ci abbacinerà una lussuosa vetrina, avremo l’occasione per rigurcitarci contro!

lunedì 25/06/2018
MADE IN ITALY
Schiavi della moda: il business del lusso
IL PRINCIPIO CHE FA GIRAR LA GIOSTRA DEL CONFEZIONAMENTO DEGLI ABITI GRANDI-FIRME NON SI BASA SULLA QUALITÀ, MA SUL RISPARMIO A OGNI COSTO CHE SPINGE ALLA DELOCALIZZAZIONE

Lungo il confine tra Moldova e Ucraina, al di là del fiume Dnestr, c’è una striscia di terra chiamata Transnistria, abitata da poco più di mezzo milione di persone e dotata di un governo indipendente. Ha una moneta, una costituzione, un esercito e un inno nazionale ma non è ufficialmente riconosciuta dalle Nazioni Unite. In pratica, non è considerata uno Stato. Dagli inizi del Duemila, sotto la guida dell’allora presidente Igor Smirnov, ex colonnello del Kgb, dopo aver commerciato in ogni sorta di illecito (droga, armi, auto rubate di grossa cilindrata, materiali tossici, veleni), la Transnistria ha sviluppato velocemente l’industria manifatturiera. Ma una grossa fetta di interesse è stata orientata verso alcune prestigiosissime firme del Made in Italy che hanno iniziato a delocalizzare proprio lì la loro produzione di abbigliamento.

È dalla Transnistria che inizia il viaggio-report di Giuseppe Iorio (responsabile-tecnico di produzione con alle spalle 30 anni di esperienza nel mondo dell’industria tessile) tra l’Europa dell’Est e l’Asia raccontato nel libro Made in Italy? Il lato oscuro della moda (Castelvecchi). Da una fabbrica dell’Europa dell’Est a un’altra dell’Asia, Iorio mostra un’amara verità: la schiavitù esiste ancora. Sono i lavoratori della moda, un settore che confeziona lussuosi capi di abbigliamento per le vetrine delle nostre eleganti boutique, costretti dalla miseria a lavorare senza diritti, senza tutele, solo perché la loro forza lavoro costa meno di quella italiana. C’è la storia di Irina, che seleziona a mano le piume per le giacche; quella di Daria, costretta a prostituirsi per mangiare dopo aver subito un infortunio alla mano mentre era alla macchina da cucire. Ma anche i “buoni” – le piccole realtà dei laboratori rimasti in Italia – e i “cattivi”, fra cui Moncler, Prada, Armani, Zegna, Dolce & Gabbana, Tod’s, Fay e altri big della moda che, come permesso dalla legge, delocalizzano all’estero distruggendo l’artigianalità italiana.

I numeri lo dimostrano: il comparto della moda-lusso in Italia fattura circa 90 miliardi di euro all’anno. I primi dieci gruppi (Moncler, Tod’s, Armani, Prada, Miroglio, Max Mara, Geox, Zegna, Dolce & Gabbana, Gucci) – che sviluppano un fatturato di 20 miliardi di euro – potrebbero dare lavoro a più di 200mila persone, ma si stima che occupino poco meno di 15mila dipendenti in tutto. Così, alla domanda “quando un prodotto può dirsi Made in Italy”, è evidente che la risposta non sia affatto immediata. Questo “marchio” di eccellenza negli anni è stato oggetto di un ricco e acceso dibattito, mentre si sono susseguiti nel tempo numerosi provvedimenti normativi, da un lato volti a tutelare il cliente che desidera conoscere l’effettiva provenienza della merce che acquista, dall’altro lato per soddisfare la richiesta dei produttori che possono così tutelare le proprie collezioni dai falsi della concorrenza straniera. Poi, per la suggestione del marketing quando si ha a che fare con i grandi marchi italiani del lusso, si è spinti a dare per scontato che dal cartamodello, al confezionamento alle cuciture finali siano tutte eseguite in Italia. Ma non è così. Troppi gli imprenditori che – chi quasi tutto, chi poco – vanno a produrre dove fanno prezzi stracciati per poi farsi promotori del Made in Italy per la loro indiscussa genialità “nonostante abbiano fatto terra bruciata della nostra abilità taglia e cuci che ci ha reso eccellenti nel mondo”, come scrive Iorio in Made in Italy? Il lato oscuro della moda di cui riportiamo alcuni stralci.

 

Sonoma-Sodoma: lo schiavista di Bacau

“La Sonoma, che produce capi di lusso per vari marchi del Made in Italy, ha una sede in provincia di Bergamo (il cervello) e vari stabilimenti in Romania, prevalentemente a Bacau (le braccia). Il titolare è un italiano. Perché continua ad accettare lavoro da parte delle principali griffe del sistema moda Italia a prezzi stracciati? Perché non dice a quelli che vengono qui a fare le produzioni che per poter assemblare una giacca che loro vendono a mille euro occorrono perlomeno 50 euro di manodopera e non 15 o 20 che è quanto i loro super stipendiati direttori delle produzioni intendono pagare? Perché continua a firmare contratti per commesse sottocosto? E quando non riesce a realizzarle nemmeno in Romania visto che perfino a Bacau un operaio è troppo caro, allora le porta a confezionare con il beneplacito di chi gli commissiona il lavoro (Moncler, Dainese, Blauer, eccetera) addirittura in Madagascar, nella fabbrica di Emile (che io conosco bene) ad Antananarivo, la terza città più povera del mondo, dove un operaia costa 30 dollari al mese. L’ho visto aggirarsi in mezzo alle catene di produzione e gettare caramelle alle operaie cingalesi che stavano sedute a lavorare a macchina. Ho detto ‘gettare’ non ‘offrire’. Ma che diamine ha questo qui al posto dell’anima?”.

 

Le carceri di Sopot: nel lager

“Sono diretto a Sopot, una cittadina a 120 chilometri da Sofia. Ci sono stabilimenti tessili, industrie chimiche, fonderie, insomma, l’Est Europa produce. Ma sembra che negli ultimi dieci anni i ricchi siano sempre più ricchi e i poveri quanto basta per accettare le condizioni precarie e indecenti del lavoro che viene loro offerto. L’auto si arresta davanti a un enorme cancello arrugginito. Me lo avevano descritto come “un postaccio”, un carcere. Parole che avevo interpretato come “vedrai che posto desolato”. Invece, la fabbrica dove mi trovo 25 anni prima era proprio una prigione, un carcere bulgaro-russo. Fatta eccezione per gli uffici amministrativi che stanno al piano terra, è tutto sporco, tenuto male. A metà di un corridoio mi colpisce come una mazzata un fetore tremendo. Stiamo passando davanti ai servizi igienici. Ho fatto tanti viaggi sono stato in tanti posti, ho conosciuto diversi tipi di latrine ma fra tutte quelle in cui ho avuto il privilegio di entrare queste qua sono decisamente le peggiori. Fanno veramente schifo. Si tratta di latrine turche sozze e puzzolenti, alcune senza porta e con un pavimento appiccicoso che non vede un detergente dai tempi dello zar Nicola II. In queste condizioni, ci si può ammalare. E lì si sono producono tre marchi del Made in Italy”.

 

Delocalizziamoci: il vero prezzo che si paga

“Si parla di capacità e di intraprendenza dei nostri imprenditori e la filosofia dello sfruttamento viene mascherata con frasi a effetto. Tra un flash e l’altro, il solito abbronzatissimo creativo, reduce dall’ultimo lifting, dice: “Abbiamo saputo cogliere le grandi sfide e le innumerevoli opportunità che il nuovo mercato globale vuole offrire”. È immorale, inumano e alla lunga controproducente, soprattutto per noi italiani che di moda direttamente e indirettamente ci campiamo più di quanto non si possa credere dal momento che la filiera industriale coinvolge innumerevoli attività e non solo quelle direttamente legate al tessile. Non si può pensare di sfruttare la povera gente, qualunque sia il bene da produrre e maggiormente se si tratta di un bene di lusso che poi è pagato tantissimo da chi lo compera. Ma se proprio non si vuole guardare alle ragioni morali che imporrebbero un cambiamento di rotta, bene, c’è da dire che alla lunga questo tipo di comportamento non paga nemmeno dal punto di vista strettamente economico, di convenienza. Prima o poi questo genere di rapporto è destinato a cambiare e dipenderà da noi, dalle nostre politiche commerciali se in maniera positiva. Per ora, stiamo assistendo a dei segnali che lasciano prevedere un mutamento fortemente negativo per le nostre aziende”.

 

Turnu Magurtele: l’avamposto

“Dal nome t’immagini un posto in Africa. Invece siamo in Romania, ai confini con la Bulgaria, a due o tre chilometri dal Danubio. Qui non c’è proprio nulla, a parte la fabbrica che occupa circa trecento persone. Bastano un paio di mesi qui e la depressione è assicurata. Infatti, gli italiani, amministratori e tecnici, non ci pensano nemmeno a restare oltre l’orario di lavoro e la sera preferiscono farsi cinquanta chilometri per andare ad Alexandria, che è l’ultima città degna di questo nome lungo la strada che dalla capitale va verso il Danubio. In zone più centrali della Romania non conviene più produrre. Lì un operaio ha una possibilità di scelta, anche se minima, fra uno stabilimento tessile e un’altra industria. Qui no. Turnu Magurele è così fuori dal mondo che la gente che ci vive è costretta ad accettare le condizioni di lavoro che le vengono imposte. È una cosiddetta “sacca di basso costo” popolata da persone che non hanno possibilità né di movimento né di confronto. Altro che portare lavoro! Altro che esportare tecnologia! E così, nella fabbrica di quest’altro bel posto ai confini del nulla ci trovo una produzione che da tempo mi chiedevo dove mai potesse essere stata fatta e chi la facesse. Qui si realizzano gli abiti di Marina Rinaldi (gruppo Max Mara), per la precisione le taglie comode, dove far cucire un vestito costa 7 euro. Ma neanche le taglie comode sfuggono al sacrosanto principio degli stilisti: costi bassissimi e stangata al cliente.

lunedì 25 giugno 2018

Dai non dite così!




Il giorno dopo l'ennesima disfatta, un tracollo senza fondo di un partito che oramai da tempo immemore ha perso la sua identità, pare che ci sia ancora qualcuno che difenda l'indifendibile con frasi tipo "Visto? Si perde anche senza di lui!" 
Si perde anche senza di lui? Se non fosse per la drammaticità che avviluppa tutta la direzione, il partito, le idee, i propositi, le speranze di molti ci sarebbe solo da scompisciarsi, da ridere a crepapelle per ore e ore. 
Ma invece non si riesce a sorridere per un motivo evidente e, da molti anni, ricorrente: questi inetti pensano veramente che i pochi che ancora ascoltano le loro idiozie, siano degli incommensurabili coglioni! 
Non è così invece, cari i miei sconfitti epocali! 
Non è così! Venirci a dire che si perde anche senza di lui, vuol dire minare la nostra intelligenza, i nostri pensieri, insomma: prenderci per il culo. 
Se qualcuno crede ancora che l'Ebetino sia fuori dai giochi nel PD, si faccia visitare, perché è ancora non solo presente, ma guida ancora, aggredito dal rancore, dal livore, l'intero apparato e la ragione di questo vergognoso Titanic è proprio la sua acclarata presenza. 
Se ne deve andare, deve lasciare libero il partito, portare via tutto, non assillare più nessuno con le sue baggianate. 
Ma lo avete capito o no che se continuate ad eseguire i suoi ordini insani ed insalubri, a breve non vi resterà che qualche punto percentuale, qualche scranno parlamentare ed avrete la valenza di un partito pro caccia? 
Dovete tagliare ogni ponte con lui ed i suoi scudieri, con lui ed i suoi adepti. Lasciate che vada a ricongiungersi con lo Zio, che fondi finalmente un partito di centrodestra, perché lo è sempre stato un centrodestrorso mascherato! E mi raccomando: quando se ne andranno via, speriamo presto, pulite accuratamente la sede! 

Lucidissimo Scanzi


di Andrea Scanzi 

Forse solo i toscani possono avere piena contezza di quel che è successo ieri. Riuscire a perdere in un colpo solo Pisa, Massa e addirittura Siena, è qualcosa di clamoroso. Di impensabile. Di incredibile. Qualcosa che va a mettere la pietra tombale su quel che fu la "Toscana rossa", dopo che tanti feudi erano già caduti negli ultimi anni (Livorno, Carrara, Arezzo, eccetera eccetera eccetera). Siamo di fronte a uno dei più grandi incapaci politici nella storia dell'umanità, e non è che lo si scopra adesso: Matteo Renzi è sempre stato così. Non c'è mai stato nulla, nella storia repubblicana, più involontariamente comico, tristemente disastroso e spaventosamente sopravvalutato come lui. E purtroppo, salvo rari casi, buona parte della "classe dirigente" da lui scelta e imposta gli somiglia. Dopo le Europee quest'uomo - protetto da quasi tutti i media - ha perso tutto, ma non ha arretrato di un millimetro: voleva rottamare il partito e ce l'ha fatta, infatti ora non c'è rimasto quasi nulla. Eppure più lui distrugge e più gli altri non parlano. Sopportano. Minimizzano. O - la cosa che preferiscono - danno la colpa agli arbitri. Il popolulismo. Il sovranismo. Il cinismo. Il razzismo. Il vento di destra. Bla bla bla. Ogni giorno i social sono pieni di immani ammorbate di coglioni su quanto Salvini sia Goebbels, lasciando intendere che chi lo vota è un coglione ignorante e scemo che sta portando il paese alla rovina. La solita "lettura" snobistica della "sinistra", che ama assolversi anzitutto quando è l'unica colpevole. Molti testimonial del Pd non odiano Salvini: lo adorano, perché è l'alibi perfetto per rifarsi una coscienza. Sono totalmente sconnessi dalla realtà, ma non per questo smettono di pontificare. Se il Pd ha perso tutto non è perché l'Italia è razzista, tesi tanto offensiva quanto ridicola: è perché il Pd, con Renzi, è riuscito a divenire (a dispetto delle tante persone belle che lo popolano) il partito più respingente, repellente, incapace e lontano dalla gente che esista nello scacchiere italico. Non è colpa di nessuno: ha fatto tutto da solo. Se il Pd riesce ormai a perdere anche quando gioca da solo, non è per via di una congiura trumpista-orbanista: è perché si è consegnato colpevolmente a un Berlusconi venuto male e a una "classe dirigente" quasi sempre irricevibile, che troppi "intellettuali" hanno avallato - e spesso perfino riverito - invece di combattere. Non prenderne atto, mandando ancora in tivù quelli che hanno generato lo sfacelo o rifugiandosi nelle analisi lagnose à la Zucconi , è la maniera migliore per continuare a perdere sempre. Per trasformare ogni Siena in una Waterloo. Per riuscire a stare ancora più sui coglioni al mondo. E per regalare definitivamente il paese a Salvini.

Festa



Betoniere in festa ad Imperia per il "nuovo" Sindaco, tra l'altro eletto a sua insaputa!

Settantadue



Sottraendo 72 a 2018 il risultato è 1946, ossia l'anno dopo la fine della seconda guerra mondiale. Da allora Sarzana, la rocciosa, la rossa Sarzana ha avuto sempre un governo di sinistra, di centrosinistra. Da allora ad oggi Sarzana non era mai caduta nelle mani dell'opposizione, perché a Sarzana tutto era rosso, pervicacemente rosso. 
Da ieri sera Sarzana non è più la cittadina simbolo della Resistenza perché è caduta, come tante altre città delle regioni rosse. 
Dunque la distruzione è quasi completa, le macerie sono innumerevoli, la buona politica un ricordo. 
L'Ebetino sta completando la sua opera, mandando in frantumi "una vada idea di socialismo" (cit.)  definitivamente compromessa da idee malsane, da gestioni pressapochiste, da intrighi, da abbracci indecorosi. 
Macerie, rimpianti, delusioni. Nel nome di colui che sta portando a termine la missione affidatagli dallo Zio Delinquente Naturale.    

domenica 24 giugno 2018

Brrr!



Poi scopri la pagella degli anni ‘30 del nonno di mia moglie e leggendone le materie, rimani agghiacciato... tipo i lavori donneschi! Brrrr!

sabato 23 giugno 2018

Padellaro


sabato 23/06/2018
DIARIO DEL SALVIMAIO
Salvini ci fa orrore. Ma chi l’ha creato?

di Antonio Padellaro

Quando tratta gli esseri umani come pacchi senza valore Matteo Salvini è una vergogna, ma chi ha consentito al signor Paolo Di Donato “re dei rifugiati di Benevento” le truffe sui centri di accoglienza, con i migranti trattati come bestie mentre lui girava in Ferrari? Salvini? Quando il leghista annuncia il censimento dei Rom, si ode chiaro e forte il grugnito dell’homus salvinianum, che gli “zingari” li vorrebbe cacciare tutti (e magari anche sopprimerli). Però non è stato certo Salvini a permettere alla famiglia Casamonica di impadronirsi di interi pezzi della periferia romana e di imperversare indisturbati fuori da ogni legalità. Così ricchi e potenti da farsi beffe del ministro degli Interni e del presidente della Regione Zingaretti andati l’altro giorno a sequestrare una villa del clan.

Evento – leggiamo – festeggiato dai Casamonicas nel villone accanto con uno scatenato piscina-party tra libagioni, canti e schiamazzi. Salvini specula sul dolore per lucrare nuovi consensi, ma lui al Viminale sicuramente non c’era quando negli ultimi 15 anni in 34.361 (trentaquattromilatrecentosessantuno) sono annegati nel Mediterraneo. Come da elenco pubblicato dal manifesto di giovedì, documento che pesa come un gigantesco macigno tombale sulla coscienza di noi tutti. Ma soprattutto dei tanti governanti, bravi e buoni, italiani ed europei, che per 15 anni, salvo rare eccezioni, hanno preferito girare la testa dall’altra parte. Lista che – come scrive il quotidiano di Norma Rangeri – dovremmo tutti “provare a leggere ad alta voce”. Ogni nome è una vita andata a fondo, nella stessa indifferenza di un sasso gettato in acqua. Non udiremo mai, ringraziamo Iddio, i pianti e le invocazioni di quegli uomini, di quelle donne, di quei bimbi: una sola voce sarebbe sufficiente a farci impazzire.

No, non si può più fingere che, in Italia, il pre-Salvini fosse quotidianamente ispirato alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Così come frignare giaculatorie su quanto siamo caduti in basso è intollerabile ipocrisia. In basso c’eravamo già con i Buzzi e i Carminati, piacevolmente immersi nei fondi per l’“accoglienza”.

Con i mercanti di schiavi, con le paghe da fame, con le Ferrari frutto del latrocinio. Con le istituzioni che hanno tollerato le baraccopoli perché “se vogliono vivere come bestie, cazzi loro”. Con i nomadi nullatenenti e i rubinetti d’oro in bagno. Forse che tutte le cooperative e le associazioni che lavorano per l’accoglienza sono piene di farabutti? Certo che no: nella stragrande maggioranza si tratta di persone che meritano gratitudine e sostegno.

Ed è falso che i nomadi vivano tutti di accattonaggio e di usura. Certo, la spinta a una maggiore integrazione dovrebbe venire dalle stesse comunità (soprattutto per tutelare i minori spesso sottratti alla scuola dell’obbligo). Colpirne alcuni per criminalizzarli tutti: così funziona la collaudata semplificazione salvinista. Conseguenza riprovevole, disgustosa ma inevitabile della politica vuota e declamatoria praticata dai ministri dei i governi precedenti (con l’eccezione, purtroppo breve, di Marco Minniti). Che hanno lasciato marcire e marcire e marcire i problemi. Fino al punto d’aver generato nella testa di tante brave persone un tumore dell’anima e una parola diventata urlo collettivo: basta! A che serve deplorare il cinismo di Salvini se poi gli vanno dietro dieci milioni di concittadini (e forse molti di più). Tutti fascisti e razzisti?

Qualcuno dice: è un lavoro sporco ma qualcuno deve pur farlo. Falso, perché il capo cattivista è ben felice di sguazzare tra le folle che lo invocano come il santo patrono che riscatta i penultimi dai presunti torti subiti dagli ultimi (prima gli italiani). Il vendicatore che ricaccia in gola alla cosiddetta sinistra-chic i belati sulla pietà che l’è morta mentre (così l’immaginano) pasteggiano a champagne a Porto Rotondo. Vero, perché, in quel lavoro sporco, Salvini non è neppure il peggio che poteva capitare. In fondo, lui è uno sparafucile (con passato bamboccione) che non viene certo dalla cancelleria del Reich. Matteo II è un raccoglitore di paure che altri hanno seminato. È il sintomo della malattia, una febbre virulenta che si può ancora curare. A patto di prendere atto della devastazione creata dai non Salvini e di piantarla con i finti appelli umanitari e con l’antifascismo da parata. Che va tenuto semmai di riserva. Perché dopo i clown, quasi sempre tocca alle bestie feroci.

venerdì 22 giugno 2018

E' già l'ora di battere un colpo!



Si sgretola, si sgretola la mia fiducia che credevo granitica nei confronti di questa compagine governativa, per il semplice fatto che il Movimento 5 Stelle non può, ribadisco non può, premettere al Cazzaro Verde (cit.) di agire e di cianciare continuamente in stile propagandistico a fini elettorali. 
Non può permetterlo a anzi, deve battere un colpo sul tavolo per due semplicissime ragioni: allontanare l'idea che il Cazzaro Verde Salvini voglia portare la corda a spezzarsi per presentarsi alle elezioni come il salvatore della patria e raggranellare una quantità inaudita di consensi e per rimettere al centro della scena lo stesso Movimento, attualmente in una glaciale ombra per le marachelle psicopatiche del leghista.
L'attacco a Saviano è la punta dell'iceberg. Premetto che a me personalmente Saviano non sta simpatico, pur ammettendo che sia una voce importante fuori dal coro. Ma le sue comparsate da Fazio a me non vanno giù. Ciò non toglie che il prospettare di levargli la scorta come ha fatto il Cazzaro Verde sia un avvertimento dal sapore mafioso. Saviano la scorta purtroppo la merita, gli è utile visto che è stato minacciato da importanti organizzazioni criminali. 
Ma il Cazzaro Verde è in preda ad un raptus orgiastico senza freni; appanna lo stile perfetto del Premier, la laboriosità dei ministri, in special modo quello di Di Maio, offusca le buone cose che stanno emergendo, le prossime leggi in materia di dignità del lavoro. 
Occorre pertanto fermarlo, con le buone o con le cattive. Il tempo del buonismo, del contratto è già finito. Serve tirar fuori attributi, necessita ricordare l'onestà di moltissimi aderenti al Movimento, evidenziare le scelte politiche. Prima che sia troppo tardi. Forse il tempo è già scaduto.  

Analisi Scanzi


venerdì 22/06/2018
Nessuno è nemico del pd quanto il pd

di Andrea Scanzi

Secondo gli ultimi sondaggi, Lega e 5 Stelle raccolgono poco meno del 60% dell’elettorato italiano. Più o meno la stessa cifra del gradimento nei confronti di Conte. Lo spostamento a destra del governo giallo-verde potrebbe aprire praterie a sinistra, che è invece sempre più in crisi. Potere al popolo grida sui social ma non sfonda nella vita reale. LeU esiste solo nei sogni migliori della Boldrini. E il Pd agonizza con agio atarassico, continuando a sbagliare tutto.

- Aereo di Stato. Conte parte per il Canada e i renziani gridano che è come Renzi: “Altro che lotta alla casta!”. Peccato che Conte non abbia mai usato il Renzi Air Force One, bensì il volo di Stato per risparmiare: se avesse usato quelli di linea, avrebbe speso di più.

- Asilo Mariuccia. Non c’è nulla in natura più vuoto del renzismo. Era così anche quando questa categoria del pensiero del nulla vinceva. Figuriamoci ora che perde. Semplicemente leggendarie le continue risse sui social. Per esempio Anna Ascani che attacca Francesco Nicodemo, in una tenera faida tra pretoriani in disarmo. Di pregio anche lo scazzo tra Calenda e Boccia, col primo che tratta il secondo da dissestato neuronale e poi dice come nulla fosse che il Pd sbaglia a stare sempre sui social a criticare Salvini. Ovvero quel che fa ogni giorno Calenda, il cui bipolarismo politico è sempre più in gran spolvero.

- Il tenero Orlando. Orlando, non proprio uno scapigliato, è arrivato a dire che il Pd non esiste più e quando esiste (al Sud) sarebbe quasi meglio che non esistesse. L’ex ministro della Giustizia è tra i pochi che cercano di elaborare il lutto. Il guaio è che quasi tutti i suoi colleghi non si sono neanche accorti del trapasso.

- Dagli a Casalino. Grandi polemiche per Casalino che porta via Conte, per non farlo rispondere ai giornalisti in Canada. Sdegno trasversale. Okay. Però, quando lo faceva Sensi con Renzi, si trattava di un’abile mossa del “Richelieu di Matteo”.

- “Dovete riferire in aula”. Ogni volta che capita qualcosa, Renzi o un suo emissario dicono che “il ministro deve riferire in aula”. Prima era la Trenta, poi Bonafede. Poi sarà la volta di Mandrake. Tanto per buttare la palla in tribuna e vedere l’effetto che fa.

- Il terribile Parnasi. Parnasi è stato scelto dalle giunte Marino e Zingaretti, gli unici politici in galera sono di Pd e Forza Italia. E da Parnasi han preso soldi praticamente tutti, a partire dal Pd, tranne i 5Stelle. Ma il Pd attacca i 5Stelle su Parnasi. È bellissimo.

- “Che vergogna chiudere i porti”. Ovvero quello che voleva fare Minniti, ministro Pd, e poi non ha fatto per mancanza di coraggio e presenza di Delrio.

- “Che brava la Spagna!”. Quella stessa Spagna che spara ai migranti e prende molti meno migranti dell’Italia. Ma di colpo diventa il Bengodi, se va contro il governo.

- “Salvini è un bullo”. Che è anche vero, ma se lo dice Renzi, la quintessenza del bullo che non ce l’ha fatta, allora viene da ridere. O da piangere.

- Gli stessi in tivù. Dopo il disastro del 4 marzo, il Pd manda ancora in tivù i Migliore e Romano, al cui confronto Fedriga è Churchill. Nessuno invita a non votare il Pd come il Pd.

- Lo zimbellamento di Conte. Il Pd ha trattato sin dall’inizio Conte neanche fosse il Poro Asciugamano. Ovviamente ha fatto il gioco di Conte, che senza strafare si sta rivelando una sorta di Gentiloni più sbarazzino: un democristiano rassicurante, perfetto per piacere a un elettorato stanco e disilluso.

- Renzi Tafazzi. Renzi è il più grande grillo-leghista inconsapevole della galassia. Se il Pd vuole rinascere, deve nasconderlo e non farlo vedere mai più a nessuno. Un’idea carina sarebbe rinchiuderlo nel bar di Rignano, dove potrebbe ricordare i bei tempi sorseggiando gazzosa con Lotti e mordicchiando liquirizia con Bonifazi. Alti livelli.

Pubblicità, restate con noi!



Il sorriso di Pier Silvio la dice lunga sull’affarone del mondiale calcistico: con una spesa di 70 milioni di euro per aggiudicarsi Russia 2018, ne ha già incamerati 80 di pubblicità con share da favola. E qui sorge un dubbio, un dubbio storico: la non belligeranza tra Rai e il Biscione ha radici antiche, frutto di quello scellerato patto chiamato del Nazareno tra il Pregiudicato e l’Ebetino. La prova di quanto detto è nella faccia del renzianissimo direttore generale Mario (circo) Orfeo e della sua filosofia rignanese del “volemose bene.”
Mediaset grazie al pallone va a gonfie vele, in borsa le azioni volano ed è l’unica cosa che conta, e che è contata durante la ventennale Era del Puttanesimo, per il famelico riccastro. 
Dall’altra sponda invece continua l’opera distruttiva di share e contenuti per una raccolta sempre più blanda di introiti pubblicitari, rifocillanti appunto la grande famiglia di Arcore, da sempre in arsura di euroni. Una tv di stato così prona, melliflua, accucciata, paciosa nei confronti della concorrenza non ha riscontri in nessun’altra parte del globo. Ed è lo specchio reale della nostra leggendaria anomalia, il servilismo storico della nostra opposizione nei riguardi di uno che è stato ufficialmente definito da una sentenza come Delinquente Naturale. Ed ora: consigli per gli acquisti!