lunedì 30 aprile 2018

A fianco di Martina


Sono vicino a Martina il segretario reggente del PD, per l'aggressione subita da parte del Bomba, il quale fingendo, anzi: prendendo per il culo chicchessia parla, agisce e decide come se fosse segretario del partito pur avendo, mediante un'enorme smargiassata, rassegnato le dimissione, rivelatesi false come il renzismo intero. 
Partiamo dalle origini: il Pifferaio ha scelto personalmente i candidati, proteggendoli tramite paracaduti creati ad hoc da quella legge vergognosa che chiamiamo Rosatellum, specchio del suo creatore. 
Gli ha scelti mettendo a repentaglio la stessa identità del PD, ben sapendo che la batosta sarebbe stata epica, come la realtà ha confermato il 4 marzo. Aveva bisogno di questo, di una brigata di proni, pronti a tutto anche a sbugiardare la propria dignità. 
E Martina eletto segretario reggente non ha retto la vergogna di passare come un fesso qualunque, di essere contraddetto da chi avrebbe dovuto restare in silenzio per due anni, sue parole. 
"E' impossibile guidare un partito in queste condizioni" ha detto il povero Martina, lacerato da questi onnivori contenitori di fregnacce che altro non sono i servi dell'Ebetino di Rignano. 
Siamo dunque a questo punto, ignobile come sono stati gli ultimi anni di padronanza del giglio magico. In più si constata la ripresa, nelle elezioni in Friuli, del Delinquente Naturale, lo scempio democratico per eccellenza. 
Povera Italia: rapinata di ogni beltà, asserragliata da professionisti della poltrona, vive una stagione terribile, da libri di storia, assistendo impotente a questo valzer di omuncoli, nani e ballerine, assetati solo di potere, indifferenti ai disagi sociali, alle disparità, all'evasione sempre più preponderante. 
Martina è il grido di chi vorrebbe uno stato democratico guidato da una Costituzione sempre più oltraggiata da briganti. 
Siamo all'apoteosi del degrado; stanno rubando l'ultima argenteria, stanno svitando le viti degli infissi. Noi, al solito, assistiamo inermi all'ennesimo, finale, scempio democratico. 

135mo



Il bar delle Folies Bergère
Édouard Manet (Parigi 23.01.1832 - Parigi 30 aprile 1883)

Similitudini



Come nel Natale ghiottone
è d’obbligo il sontuoso panettone
così l’arrivo primaverile della temperatura sospirata
Impone il sacro rito dell’inarrivabile favata!

Dialoghi alti, ma molto alti...


Si scherza, naturalmente! 
Questo filmato narra di un ipotetico dialogo calcistico in alto, molto in alto...
cliccate qui per vederlo

domenica 29 aprile 2018

Clap Clap Clap!



Ho riso più che con Stanlio e Ollio. Un fenomenale artista da avanspettacolo, ineguagliabile. Ha parlato come se il Rosatellum con le liste bloccate, il paracadute per il posto sicuro ai fedeli discepoli, gli accordi per future nozze con il Delinquente Naturale li avesse fatti Dart Fener! Fenomenale! Il miglior saltimbanco in circolazione!

Articolo di Daniela


domenica 29/04/2018
IL COMMENTO
Orfini al bivio: bugiardi o imbecilli?
FAKE NEWS - LE RAGIONI DELLO STALLO SPIEGATE DAL TURBORENZIANO A “OTTO E MEZZO”

di Daniela Ranieri

Orfini, Orfini… questo nome non ci è nuovo. Ah, sì: l’altra sera l’asserito presidente del Pd era in Tv a Otto e mezzo a propalare alcune delle fake news del repertorio post-elettorale renzista (di quelle russe, prima e dopo le elezioni, nemmeno l’ombra; in compenso, dopo il 4 marzo un rosario quotidiano di fandonie, menzogne, manipolazioni messe in bocca da Renzi ai più televisionari dei suoi gregari, hai visto mai il risultato del 18,7% sia ancora migliorabile).

Orfini non ha mancato di dedicare una battuta alla frottola ormai leggendaria secondo la quale “gli italiani ci hanno messo all’opposizione”, come se sulla scheda elettorale ci fosse una casella apposita (il sospetto che quelli che non li hanno votati speravano che non arrivassero nemmeno al 3% e che andassero proprio a casa non li sfiora nemmeno).

L’altra, sostenuta con particolare veemenza dall’esangue Orfini, è quella secondo la quale ci troviamo nello stallo attuale perché la legge elettorale che precedeva il Rosatellum, l’Italicum, “è stata bocciata dal referendum”. Eh… Che pazienza. Come ormai anche i sassi sanno, il referendum riguardava la riforma costituzionale toscana (riduzione del numero dei parlamentari, riforma del titolo V, abolizione del Senato elettivo e sua sostituzione con un circolo ricreativo per amministratori locali con immunità) e non affatto la legge elettorale, come infatti si sgolava di argomentare un imbarazzante Renzi con Zagrebelsky (!) che in un confronto tv denunciava i pericoli del “combinato disposto” tra le due.

Senti Orfini: “Quella legge è caduta per effetto del referendum… Viene eliminato dalla Corte Costituzionale il ballottaggio nel momento in cui perdiamo il referendum e c’è il bicameralismo”.

Ovviamente è falso: la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’Italicum nella parte relativa al ballottaggio con queste motivazioni: “Se è vero che… il turno di ballottaggio fra le liste più votate ha il compito di supplire al mancato raggiungimento, al primo turno, della soglia minima per il conseguimento del premio, al fine di indicare quale sia la parte politica destinata a sostenere, in prevalenza, il governo del Paese, tale obbiettivo non può giustificare uno sproporzionato sacrificio dei principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta”. Quindi il ballottaggio è incostituzionale in sé, perché trasforma artificialmente la minoranza in maggioranza. A Orfini batte la palpebra perché sa che sta dicendo una bugia (consigliamo magnesio) e per tenere il punto s’inventa uno scenario fantasy con inversione spazio-temporale (un hysteron proteron tipo il ““Moriamo e lanciamoci in mezzo alle armi” dell’Eneide).

Ma se anche fosse vero che la vittoria del No ha rotto le uova nel paniere di una legge costituzionalissima che lo precedeva, Orfini si rende conto che sta confessando che lui e i suoi compagni statisti hanno fatto un legge elettorale valevole solo per la Camera, dando per scontato l’esito di un referendum che doveva ancora tenersi? (Il che è talmente stupido e assurdo che in una certa misura coincide con la verità). Gli conviene che continuiamo a prenderli per bugiardi, perché tra il credere alla loro buona fede e il vederli come totali imbecilli è un attimo.

venerdì 27 aprile 2018

Scusaci Giulio!



Caro Giulio,
purtroppo come ben saprai la verità sul tuo assassinio è ancora in alto mare, lambendo le coste egizie.
Ieri ad esempio è stato qui da noi è stato tutto un cinguettar di passerotti: Cipe, Cipe, Cipe! 
Il Cipe infatti (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) di cui lo Spettinato (Luca Lotti) è segretario, ha dato il via libera all'enorme garanzia (che potrà arrivare a 18 miliardi di euro) per operazioni economiche in Kenya, Qatar e appunto Egitto, il paese dove qualcuno, diciamo ancora così, ti ha ammazzato. 
Pensa Giulio che questa super garanzia è stata estesa non solo ad attività estere di progettazione e costruzione, ma anche alla vendita di armi. Si, di armi! Capisci ora perché dico che la verità sul tuo omicidio non arriverà probabilmente mai?
Lor signori hanno avuto una fretta innaturale a decidere questa mega assicurazione di stato, addirittura senza attendere il parere della Corte dei Conti! Ciò è comprensibile, dal punto di vista di chi ha fatto della politica un mestiere: potrebbe arrivare infatti al potere "qualcuno" che sbaglia congiuntivi, un illetterato, ma con in mente un chiaro concetto: dobbiamo smetterla di vendere armi! 
Invece questi mercanti si sono dati da fare, tra un Cipe e l'altro, per garantire non solo la cantieristica navale, come introdusse al suo tempo il Bomba, ma pure la vendita di strumenti di morte, come ha ben pensato il governo sonnecchiante, ma non troppo, di Borotalco Gentiloni. 
Tramite la Sace infatti (compagnia assicurativa a controllo pubblico della Cassa Depositi e Prestiti) lo stato garantisce per grandi commesse rivolte all'estero, vedi le due navi costruite per la Virgin al prezzo di quasi 2 miliardi di euro. 
Ma con la delibera 34 del 2018 il Cipe ha ampliato la garanzia anche alle vendite del settore della Difesa, arrivando ad assicurare appunto un importo vicino ai 18 miliardi di euro, tra cui la vendita di 28 elicotteri militari al Qatar, grande amico del Pifferaio di Rignano. 
Con l'Egitto i rapporti commerciali vanno sempre meglio ed Cipe ha deciso di garantire la costruzione di una centrale nel territorio in cui vive colui che ti uccise con inusitata violenza. 
Ecco perché caro Giulio la verità è lontana, molto lontana. Tu intanto continua a riposare in pace! 
Ciao Giulio!   

Calcoli travagliati


venerdì 27/04/2018
Base x bassezza : 2

di Marco Travaglio

Renzi che vaga in bicicletta per le strade di Firenze a chiedere ai passanti se sono pro o contro l’accordo coi 5Stelle e i giornaloni che spacciano il tutto per “sondaggio”, ovviamente con vittoria schiacciante del No (come sempre quando c’è di mezzo Renzi), oltre a riabilitare i pericolanti strumenti di democrazia diretta della Casaleggio Associati, ha un che di tenero e commovente. Quasi come la faccia di Orfini all’uscita di ogni consultazione. I due Matteo, cioè i due più grandi perditori mondiali della storia contemporanea, non possono più dare cattivi esempi e allora han cominciato a dare cattivi consigli. E il bello è che c’è ancora chi li sta a sentire. Compresi quei poveri parlamentari del Pd appena eletti o rieletti che rischiano di perdere il seggio alle elezioni anticipate, unica vera alternativa all’accordo M5S-Pd. A meno che qualcuno non pensi seriamente che, fallito anche questo, nascerà il mitologico “governo del Presidente” o “di tutti”, che però avrebbe dentro FI e dunque non il M5S, che a quel punto spingerà pure Lega e FdI a raggiungerlo all’opposizione per non lasciarlo solo a lucrare sui disastri dell’ennesimo governissimo: così resterebbero Pd e FI senza maggioranza e il governo di tutti diventerebbe il governo di nessuno.

Noi non sappiamo se un governo M5S-centrosinistra, sulla base di un contratto minimo su pochi punti, nascerà mai, né – se sì – quanto durerà. Sappiamo però che, evaporato l’asse 5Stelle-Lega per la presenza del terzo incomodo (B. appeso alle palle di Salvini, o viceversa), questo è l’unico possibile. Infatti i presunti leader pidini che fanno gli schizzinosi alla sola idea di un’intesa con Di Maio non dicono mai qual è la loro proposta alternativa. Come se, in una democrazia parlamentare e in un sistema (grazie a loro) proporzionale, non fossero profumatamente pagati proprio per questo: indicare soluzioni e lavorare per realizzarle. Ma i poveretti vanno capiti: fino all’altro giorno speravano nel tanto peggio tanto meglio, cioè in un governo Di Maio-Salvini per potersi accomodare all’opposizione contro i “populisti” cattivi. Ma gli è andata buca, come già col Rosatellum, fatto apposta per gonfiare i voti di Pd e FI con due finte coalizioni e poi scioglierle la sera del voto per metter su un bel Renzusconi. Se dalle urne fosse uscita una maggioranza Pd-FI anche risicata, anche insufficiente ma colmabile con l’ennesima compravendita di voltagabbana, ora il governo sarebbe bell’e fatto. E senz’alcun distinguo su incompatibilità programmatiche, insulti in campagna elettorale, maldipancia delle rispettive basi.

Anche perché difficilmente B. intimerebbe a Renzi di pulire i cessi di Mediaset o lo paragonerebbe a Hitler. E ancor più difficilmente Renzi definirebbe FI come ieri ha dipinto il M5S, cioè come una “baby gang” (anche perché la gang italoforzuta è ormai piuttosto attempata). Se nel 2011, quando ci andarono a letto nel governo Monti e nel 2013 quando ci andarono a Letta (Enrico) e nel 2014 quando ci fecero il Nazareno, l’Italicum e la controriforma costituzionale e nel 2017 quando s’intesero sul Rosatellum, i vertici del Pd si fossero domandati che ne pensava la base del Caimano, così come fanno oggi con Di Maio, non avrebbero perso tutte le elezioni dal 2014 a oggi. Non avrebbero dimezzato gli elettori in dieci anni. E negli ultimi sette ci avrebbero risparmiato i disastri della Fornero e degli esodati, il bis di Napolitano per sventare il pericolo Rodotà, la Buona Scuola, il Jobs Act, l’abolizione dell’articolo 18, lo Sblocca-Italia, due leggi elettorali incostituzionali, l’abolizione dell’Imu ai ricchi, i regali miliardari a evasori, banche, lobby e così via. Ve l’immaginate Renzi che vaga in bicicletta per Firenze a domandare: che ne dite di Alfano ministro dell’Interno (o degli Esteri)? E di Verdini e Cicchitto nella maggioranza? E della Lorenzin alla Salute? E della Costituzione riscritta con B.? E di Marchionne preferito a Landini e Camusso? E della Fedeli all’Istruzione? E di Lotti allo Sport? E della Boschi candidata a Bolzano con cinque paracadute in Lombardia, Lazio e Sicilia? L’avrebbero stirato sull’asfalto con tutta la bici. All’epoca, mentre il Pd ne combinava di cotte e di crude suicidandosi ogni giorno coram populo, il parere di militanti ed elettori contava pochino. Torna buono oggi per far dire ai passanti che non vogliono l’accordo Pd-M5S, ponendo alle persone sbagliate la domanda sbagliata.

Per consultare i militanti ci sono le primarie, per interpellare gli iscritti c’è il referendum modello Spd tedesca. E la domanda giusta è questa: preferite rivotare con la stessa legge per ritrovarci a fine anno nella situazione attuale, perdendo altro tempo e consensi preziosi (all’hashtag #senzadime gli elettori si stanno abituando in fretta, vedi Molise) e regalando all’astensione o al centrodestra altri milione di voti, col rischio di consegnare l’Italia a Salvini&B.; oppure è meglio tentare ora un’intesa fra diversi che affronti la piaga della povertà con un reddito minimo per chi cerca lavoro, inizi a rimuovere le palle al piede che frenano lo sviluppo (conflitti d’interessi, corruzione, evasione, mafie, prescrizione, giustizia lenta, scuola e ricerca e cultura in bolletta, privilegi di casta e di lobby, deficit di energie pulite) e riconosca nuovi diritti civili (stepchild adoption, ius soli temperato, registrazione dei figli di coppie gay sul modello Torino)? Se poi la famosa base fosse ancora indecisa, si potrebbe ingolosirla col più appetitoso effetto collaterale dell’accordo: se nasce un governo M5S-Pd, Carlo Calenda dice che lascia il partito e, se tutto va bene, lo seguono pure Sandro Gozi e Anna Ascani. E sarebbe subito standing ovation: 92 minuti di applausi!

giovedì 26 aprile 2018

Nella logica


Il valzer non è dunque finito e i promessi sposi, che don Rodrigo versione Puttaniere non vuol maritare, convoleranno la prossima settimana alle sospirate nozze. 
La modalità?
Appare semplice: melina con il PD, il cui mastro birraio è impegnato a distruggerlo dall'interno, con relativo prolungamento della paziente attesa del Silente, sino a domenica prossima giornata di voto in Friuli Venezia Giulia per le regionali; conosciuti i risultati, probabilmente sarà netta la vittoria di Salvini, sfanculamento del Delinquente Naturale e via alla danze! 
Semplice no? 

Riapparizione



È riapparso nella sua Firenze il Menestrello Insipido con annessa bicicletta intento a domandare, tra il serio ed il faceto, la bontà del possibile accordo con il vil Movimento, da anni suo acerrimo nemico sol perché, unico nella giungla italica, rimarca la matrice centrodestrorsa della sua politica, un distillato ingiurioso verso quel senso di rivalsa, di equità ed equilibrio sociale tramandato dagli antichi padri nobili di quello che fu un partito di riferimento prima che la brigata gigliata l’affossasse. Con quella sua teatralità da saltimbanco, questo inetto dal sorriso attraente come una prolusione sulla carità del dott Bertone, che è anche cardinale, ha voluto dimostrare a se stesso e all’orbi che la sua linea, convessa come i ragionamenti intrisi di palle sfrenate di cui è portatore sano, sia l’unica vincente, ossia la distruzione completa del pensiero combattente ribaldi e brigantaggio, tra l’altro arte innata del suo mentore il Puttaniere, per una sciantosa, melliflua, inadeguata e scipida politica al servizio della tecno-rapto-finanzocrazia di cui questo sempliciotto è da un lustro fiero ambasciatore.

Recensione travagliata


giovedì 26/04/2018
Loro, Lui e noi

di Marco Travaglio

“Dura la vita quando non sai fare un cazzo”. Dovendo scegliere una frase cult dal film di Paolo Sorrentino Loro-1, non c’è nulla di meglio di questa confessione dell’Ape Regina, al secolo Sabina Began (la sontuosa Kasia Smutniak), che guida il pappone pugliese tutto squillo&coca Gianpi Tarantini (un super Riccardo Scamarcio) nella scalata al potere romano, gradino dopo gradino, su su fino a “Lui”. È la parabola di tutto un mondo di uomini e donne senza talento che si arrabattano come possono, mercificando quel poco che hanno per imboccare ciascuno la propria scorciatoia al successo. Lui li vuole tutti così perché nessuno gli dia ombra: ministri, collaboratori, consiglieri, reggipalle, prosseneti, escort. Nessun pensiero originale, nessun merito da vantare se non quello di servirlo fedelmente per prendere al volo i bocconi che cadono dalla mensa del ricco epulone, del sultano, del Re Sola. È l’ascensore sociale all’italiana, azionato non dall’istruzione, dall’intelligenza, dalla creatività, dal lavoro e dal sudore: ma dai carburanti delle conoscenze giuste, dei ricatti e dei colpi di culo e dai lubrificanti delle mazzette, della polvere bianca, del fica-power e dell’adulazione.

L’orgia eccessiva e ossessiva a base di soldi-sesso-coca ricorda The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, ma senza nulla della vitalità, del giovanilismo e della genialità dei rampanti turbocapitalisti made in Usa. Qui, attorno a The Pig of Villa Certosa reinventato da Toni Servillo nella sua ultima reincarnazione volutamente compiaciuta e caricaturale, è tutto noia, vecchiaia, decadenza, viale del tramonto. È l’estate 2006 e Lui ha 70 anni: perse le elezioni e il suo ultimo passatempo di premier, si sente improvvisamente vecchio. La reggia di Porto Rotondo è gigantesca, sproporzionata alla statura dell’ometto di Stato che la abita da solo, cioè con la moglie Veronica, magistralmente resa da Elena Sofia Ricci, ormai al limite della sopportazione per quel viavai di minorenni (il fragoroso divorzio a mezzo stampa arriverà nella seconda parte, quando B. perderà tutt’e tre le donne di riferimento – madre, sorella e consorte – e impazzirà con la patetica e patologica supplenza delle 30-40 Papi-girl a botta). Lei legge Saramago che insulta il marito e, perfida, glielo fa notare. Lui, paradossalmente solo e annoiato, non si capacita di aver perso il potere e il tocco magico. E si frustra perché l’opposizione non fa per lui. I bunga bunga sono ancora dietro l’angolo, le Began, i Tarantini e i Mora (il bravo Roberto De Francesco col riporto) stanno per arrivare.

Non sapendo come reinventarsi, inscena tragicomiche gag che non divertono nemmeno lui. Come quando si traveste da odalisca per simulare un improbabile ritorno di fiamma nuziale (una delle tante scene realmente accadute, che nemmeno il genio di Sorrentino riuscirebbe a inventare) e Veronica lo fredda con un impietoso: “Non mi fai ridere”. O quando Toni-Silvio si produce nel triplo salto carpiato dell’attore napoletano che canta Malafemmena come un milanese che tenta di imitare l’accento napoletano. L’unica soluzione al tedio è l’eterna, disperata fuga dalla realtà. Come quando Lui pesta una cacca, ma spiega al nipotino che, siccome l’ha pestata lui, quella non è cacca: è una pallina di terra. “Non conta la realtà, ma il modo di raccontarla”.

Se il cinema è un cocktail psichedelico di divertimento e impegno, di racconto e immagini, di intuizioni ed emozioni, che fa godere tutti i sensi nel continuo inseguimento tra realtà e fantasia e se ne frega delle convenzioni, delle convenienze, delle aspettative, del politicamente e anche del cinematograficamente corretto, allora Loro è un gran film. Che diverte subito, mentre scorre sullo schermo. E ancor più alla fine, quando tenti di dare un’identità ai tanti personaggi anfibi e ibridi che assommano almeno tre o quattro figure reali. O quando si pensa che le scene sono tanto più vere quanto più appaiono esagerate. Infatti molte – quelle che hanno subito fatto storcere il nasino ai critici – sembrano videoclip girati con lo smartphone e postati su Youtube da un qualche insider indiscreto.

I ragazzi dello zoo di Silvio, popolato anche di rinoceronti, dromedari, aragoste, caprette e pantegane (a Roma si chiamano “zoccole”, pensa un po’), sono nani e ballerine quasi sempre fuori di testa per qualche donnina, o ricatto, o complotto, o sostanza (memorabili gli effetti dell’Mdma, “la droga dell’abbraccio e dello smandibolamento”). C’è il ministro-cortigiano simil-Bondi, un sorprendente Bentivoglio pelato che scioglie in rima le lodi a Lui e intanto tenta di fargli le scarpe, fino a cedere ai piaceri della carne e a restare impigliato nel ricatto della tentatrice (l’eccellente Euridice Axel) e di uno dei personaggi più misteriosi della corte dei miracoli e dei miracolati: l’inquietante truccatore-assistente tuttofare (Dario Cantarelli, sempre più sulfureo), che si presenta come “il biografo, quello che ora sta scrivendo la tua biografia”. Una sorta di addetto ai dossier&veleni. E poi c’è “Dio”, il misterioso Grande Vecchio che non si mostra mai col suo volto e la sua identità, e si permette il lusso di stare sopra di Lui. Un Circo Barnum sempre in bilico tra farsa e tragedia, proprio come la biografia del protagonista, in un montaggio stroboscopico alla Blob che accosta la grottesca collezione di tacchi col rialzo al terrificante rottweiler pronto a sbranare il ministro traditore. In fondo è così che, in 25 anni di mitridatizzazione, la Grande Anomalia è diventata Banale Normalità. Chi vede Loro e guarda Lui riconosce anche Noi. Non in sala, ma sullo schermo. Nascosti da qualche parte. Di spalle.

mercoledì 25 aprile 2018

Risposta


Berlusconi: "M5s pericolo. La gente si sente come gli ebrei all'apparire di Hitler"

Modificatore di leggi per uso personale improprio! Pagatore di gabelle mafiose! Delinquente Naturale! (Questo lo dico io)

Punto di vista


Tralasciando Franceschini, che spera in un governo Fico per sedersi sulla dorata poltrona di presidente della Camera, il governo 5 stelle - PD ha meno probabilità di nascere che vedere Adinolfi in tutù danzare il canto del cigno. E la ragione è una ed una sola: il renzismo, una versione soft, edulcorata del Puttanesimo. Il livore, l’astio, il rancore del club del giglio farebbe cascare la coalizione alla prima brezza. Al solito siamo mediaticamente invogliati a guardare il dito, mentre la Luna ci propone una serie di concetti incontrovertibili:
Rosato e la sua legge elettorale, sognata e progettata per le sfarzose nozze con il Delinquente Naturale, dovrebbero essere messe nell’umido.

Per la prima volta da vent’anni a questa parte un Movimento politico trionfatore alle recenti elezioni ha saputo dire no alle nenie delle sirene del Pregiudicato.

Per la prima volta le poltrone sono in secondo piano rispetto al Programma di governo.

La violenza verbale del Bitumato conferma le precedenti asserzioni.

Detto ciò occorre un governo del Presidente per una nuova legge elettorale finalmente democratica che porti a nuove elezioni, ripulenti finalmente il panorama politico da nani, ballerine, etruriane e saltimbanchi pifferai.
Prosit!

Constatazione


Quando capisci la differenza di non essere nato nel pavese...



Pensierino


Chissà che risate, che mal di pancia lassù nella stanza dei bottoni, tra sinapsi che si rincorrono, pensieri che si materializzano, allorché Alfie ha iniziato a respirare da solo tra lo sgomento solonico di chi invece quaggiù ne aveva prevista la fine certa! Tentiamo da lustri di imbrigliare, organizzare, modificare, indirizzare il soffio vitale senza riuscire nell’intento, piacente a molti, di sentirsi padroni del proprio destino, immersi come siamo in creme e suffumigi allontananti, così insegnano le grandi case farmaceutiche, rughe, canizie e rimbambimento generale; ma il più delle volte il ritorno al piano a noi consono, quello di osservatori del cielo stellato prevedente mediante zodiaco il futuro prossimo, se da una lato insuffla impotenza, dall’altro ridimensiona ambizioni, traguardi, baggianate fuorvianti dalla strada maestra, la sola capace di far gustare ogni attimo, ahimè lapalissianamente sfuggente.

martedì 24 aprile 2018

L'incensazione


Mentre sorgono come funghi film, serie tv sui boss colombiani, El Chapo, ultimo della lunga serie Escobar, divinizzando questi demoni che dovrebbero invece cadere nel giusto oblio, ecco il film di Sorrentino sul Pregiudicato nostrano che, sia chiaro, non è da mettere in riferimento con i succitati, ma neppure necessiti di ulteriore incensamento. 
Mettetela come volete ma un film in due parti creato da un regista di fama come Sorrentino è un lasciapassare per ulteriori scorribande di colui che non vuole lasciare assolutamente la presa, per scopi palesemente personali. 
Se è vero, ed è vero, che l'ex presidente del consiglio pagò a suo tempo la mafia, il suo regno è quello dell'oblio, la sua condanna è il ridimensionamento dei suoi affari, delle leggi preparate a misura per evitargli la galera, la nascita di una giusta e sacrosanta legge sul conflitto di interesse, in gestazione da circa vent'anni. 
Ed invece questo film lo riporrà tra gli eroi del nostro tempo, affascinando giovani ed anziani, lo stereotipo di lui nascente ammalierà altri allocchi, trasformandolo, in parte lo è già, in modello vincente su norme e doveri sanciti dalla costituzione. 
Come non ammirarlo quando evade? Come non invaghirsi mentre compra senatori, modifica leggi, accorciando prescrizioni, ideando legittimi impedimenti, creando parentele tra minorenni e zii egiziani? 
Indomito, evitante critiche anche feroci, egli continua ad imperversare sui media di sua proprietà, mutando in nonno giocoso la sua micidiale arsura politica, l'applicazione della regola, purtroppo quasi sempre vera, decretante che ogni essere umano ha un prezzo sfanculante i sani principi, che l'arrivismo si concretizza attraverso amicizie, ricatti, soprusi, smancerie, falsità. 
Ecco perché il film di Sorrentino risulta essere una marcia in più verso la beatificazione di un modus operandi che ristagnerà nella società per decenni e che solo una rinnovata opera culturale potrà, dopo un percorso ostico, rimodulare diritti e doveri nella nostra nazione strattonata dall'Era del Puttanesimo così indecorosamente.   

Visivamente


Molise, terra fino ad ora trasandata, trascurata, tralasciata da lor signori. Il M5S ha perso contro l’ardita compagine pseudo destrorsa capitanata dal signorotto padrone nell’Era del Puttanesimo. E questo grafico spiega alla perfezione la disfatta pentastellata. O almeno, così ci inducono a credere i maestri di questa terra oramai famosa, Alloccalia!



lunedì 23 aprile 2018

Facciamo un po' di ordine


L'Amaca di Michele Serra ha dato il via ad una catena di commenti da Guiness! 
Cercherò nel mio piccolo ed umile anfratto di fare un po' d'ordine in merito, partendo dalle origini.
Premetto che non voglio insegnare a chicchessia nulla; rimembro, scrivendo, come se fossi davanti ad un foglio di carta. 
La Rivoluzione industriale ha nettamente classificato l'uomo, a volte senza ritegno, riponendolo in caste stile India, senza domandare pareri in merito a nessuno, neppure ai più reietti. 
Nascendo il capitalismo, automaticamente, sono sorte classi sociali a servizio dei potenti, dei ricchi. Fino a quando l'industriale rischiava del suo, nessuno poteva accennare a questo squilibrio sociale, tutt'altro: il padrone dava da mangiare ai lavoratori, vi era rispetto, quasi santificazione nei riguardi di chi metteva soldi di famiglia, sul perché poi ne disponesse in simile quantità è altra  materia che affronterò in altra sede, per una speculazione oserei dire nella norma, in chiave capitalistica. 
Ma da quando le banche hanno spodestato antichi valori, di per sé opinabili, immergendo le attività lavorative dentro i meandri degli obbrobri finanziari, la degenerazione del sistema ha creato una serie allucinante di disparità: il divario vergognoso tra gli stipendi della classe dirigenziale e quella operaia, l'instabilità del lavoro, i facili licenziamenti, la chiusura di società ad hoc per l'arricchimento di pochi a scapito della moltitudine, la difficoltà della peculiarità sindacale a protezione dei lavoratori, dovuta alla perdita di potere perpetrata grazie ad infiltrazioni capitalistiche che ne hanno attenuato, addolcito l'operosità. 
Ma la più diabolica delle azioni illegittime, da un punto di vista sociale, intraprese dalla finanza-rapto-tecno-capitalistica è la globalizzazione, autentica mannaia sui diritti del lavoratore, ridottosi a merce, a nullità, schiacciato da ondivaghe fobie insufflate ad hoc per terrorizzare le masse, appese ad un debole filo pronto a spezzarsi non appena il lucro calasse, rendendo non più sostenibile la voracità innata delle caste padronali attuali, in primis il mondo finanziario. 
Da tutto questo si è ulteriormente divaricato il dislivello tra i ceti della società odierna: da una parte i ricchi sempre più ricchi, dall'altra tutti noi sempre più poveri, drammaticamente poveri. 
E' lampante che in una società fondata su tali diseguaglianze, inebriata da messaggi mediatici tendenti a far credere che il benessere sia per tutti, la sfera culturale sia ben presto divenuta la più sofferente di tutte: leggere è divenuta un inciampo da eliminare frettolosamente, il Pensiero relegato ad una sorta di ostacolo sorto tra la felicità del subito e il futuro, mai come oggi messo in soffitta. 
Alcuni segnali, a conferma di quanto sopra, crescendo a dismisura, si sono trasformati in boe segnaletiche su quanto la via maestra, ammesso che ve ne sia una, si stia perdendo quasi ovunque: la ricerca dell'eterna giovinezza, la fobia dell'invecchiamento, l'inoperosità come orrore di vita, la riluttanza verso la cultura del riposo quale arma per una crescita personale, il rincorrere falsi miti, il gusto per gli accadimenti violenti, il proliferare di idioti nel web, la spazzatura mediatica trasformata in via maestra, il sollazzarsi sulle disgrazie altrui, la solidarietà trasformata in nemico da abbattere da chi del razzismo ne ha fatto un'arma elettorale, l'obnubilamento sulla fine temporale della vita, i rapporti interpersonali rivolti quasi unicamente a finalità sessuale, il mutismo da uso forsennato della tecnologia, la ricerca di emersione a scapito di consimili, l'incensazione di cosiddetti eroi che si sciolgono più repentinamente del ghiaccio in un forno acceso, gli obbiettivi accecanti i veri valori dell'umanità, l'osanna verso ribaldi travestiti da saccenti. 
Tutto questo vagare al buio senza riferimenti, ha provocato e provocherà lo sconquassante allontanamento generazionale dalla cultura, intesa come arte accompagnante spiriti liberi nel difficile ed ostico cammino della vita, unica arma in mano a chiunque per rifiutare tentativi di affossamento cerebrale, molto utili ai pochi briganti assurti a timonieri di scafi solo in apparenza dorati. Lo sfrigolio nel leggere Proust, Shakespeare, Manzoni, nel porsi davanti ad un quadro di Raffaello, di Leonardo, ad una scultura di Michelangelo, quello sfrigolio è alito vitale, sottoponente l'individuo al padre di tutti i quesiti: perché accettare soprusi, disparità, imposizioni dai miei simili senza neppure tentare una sana, onesta, dovuta ribellione?  

domenica 22 aprile 2018

Diatriba


Michele Serra alcuni giorni fa ha scritto nella sua rubrica L'Amaca, questo articolo:



Apriti cielo! 
Sono piombati su Serra strali e commenti al vetriolo. 

Oggi Michele Serra risponde così alle critiche:


Una mia recente Amaca sulle aggressioni agli insegnanti ha sollevato, su alcuni giornali e sui social, una rovente discussione. In estrema sintesi: ho attribuito alla "struttura fortemente classista e conservatrice della nostra società" il maggiore tasso di aggressività e di indisciplina che si registra (stando alle cronache) nelle scuole tecnico-professionali e nelle medie inferiori rispetto ai licei, frequentati quasi solo "dai figli di quelli che hanno fatto il liceo".

Poiché, scrivendo una nota di 1500 caratteri, si è costretti a evitare la zavorra dell'ovvio, non ho aggiunto che esistono fior di liceali screanzati e arroganti, e borgatari gentili e brillanti che ogni professore vorrebbe avere nella sua classe. Mi interessava dire del macro-fenomeno, e in buona sostanza, non citandolo, di ripetere l'antica lezione di don Milani sulla "scuola di classe". (Vale ricordare, in proposito, recenti polemiche su alcune auto-promozioni di eleganti licei romani e milanesi, orgogliosi di avere nelle proprie aule alunni, come dire, ben selezionati socialmente).
In altri tempi qualcuno mi avrebbe accusato di fare del facile sociologismo di sinistra, offrendo un alibi ai violenti, vedi la conclusione di quell'Amaca: sono "i poveri che oggi come ieri continuano a riempire le carceri e i riformatori". Ma i tempi devono essersi ribaltati, davvero ribaltati, se invece in molti hanno scelto di rivolgermi esattamente l'imputazione opposta, accusandomi di "classismo" e di "puzza sotto il naso", nel solco del molto logoro, molto falsificante ma sempre trionfante cliché "quelli dell'establishment contro quelli del popolo".

Ora: fino a che sono i social a chiamarmi in causa, sono costretto a replicare che non posso replicare. Non certo per alterigia ma per una ragione oggettiva sulla quale sarebbe importantissimo, e liberatorio, che tutti riflettessimo, dal prestigioso intellettuale allo hater seriale: la moltitudine dei commenti (non tutti, ovviamente) NON riguarda quello che ho scritto, riguarda la sua eco, i commenti ai commenti, voci relate, fonti in brevissimo tempo vaghe e remote. Il testo (i 1500 caratteri della mia Amaca, insomma le mie parole) quasi non vale più. Quasi nessuno lo legge fino in fondo e lo analizza. Vale il caotico, per certi versi mostruoso contesto del chattismo compulsivo, così compulsivo che perde il filo del discorso già in partenza. E dunque alle migliaia di persone che, sui social, mi hanno sommerso di accuse e di invettive, sono costretto a dire, in buona amicizia: voi non state parlando di me e non state parlando di quello che ho scritto, dunque scusate ma non posso rispondervi. Non è che non voglio: non posso. Le parole sono troppo importanti perché se ne possa fare un uso così approssimativo.

Molto più rilevante, invece, è che l'accusa di "classismo" mi arrivi da un giornalista, Luca Telese, che conosce a fondo la storia della sinistra italiana. Se Telese considera "classista" che qualcuno indichi la differenza di classe e l'ignoranza come cause, o perlomeno concause, della violenza e della devianza sociale, allora significa che davvero il paradigma è totalmente ribaltato. E' diventato "contro il popolo" ciò che a quelli come me, lungo una intera vita, è sempre sembrato il più potente argomento "a favore del popolo": denunciarne la subalternità economica e culturale, dire il prezzo che paga, il popolo, alla sua mancanza di mezzi materiali (i quattrini) e immateriali (la conoscenza, l'educazione).

Non è più neanche un equivoco, è una vera e propria legge mediatica quella che negli ultimi anni bolla come "snob" ogni definizione possibile immaginabile del gap di classe. Se dici che i poveri mangiano peggio dei benestanti, non è perché denunci (vedi la sacrosanta campagna di Michelle Obama) il disastro sanitario provocato dal junk food, è perché sei un fighetto che mangia solo lardo di Colonnata e cardo gobbo. Se dici che i poveri ricevono informazioni di minore qualità e spesso nessuna informazione, e sono dunque più esposti a manipolazioni politiche e veleni mediatici (junk media...) sei solo uno spocchioso spregiatore di chi ha studiato meno di te. Se dici che nelle scuole meno qualificate si addensano più facilmente i rischi di turbolenza sociale, spesso diretta conseguenza della condizione familiare, ecco che sei subito "classista".

Se oggi Friedrich Engels pubblicasse "Le condizioni della classe operaia in Inghilterra", i social lo aggredirebbero, chiedendosi "come si permette, questo borghese con il culo al caldo, di parlare così male del popolo dei suburbi". Se Karl Marx scrivesse le sue severe considerazioni sul Lumpenproletariat (proletariato straccione), o il socialista Orwell riscrivesse il suo reportage sul "cattivo odore del proletariato", idem. La contraffazione oramai è perfetta: non dire mai che il popolo "sta sotto", non dire che è messo male, non dire che ha meno e che sa di meno, non dire che ieri era carne da cannone e oggi carne da pubblicità, non dire che al popolo cinquant'anni fa si dava in prima serata l'Odissea di Franco Rossi e oggi gli si danno filmacci americani con sparatoria e squartamento, perché vuol dire che lo consideri inferiore...
Peccato che l'intera storia della sinistra parta dalla coscienza della sottomissione dei ceti popolari. La sua storia migliore è storia di emancipazione non solamente economica, anche culturale. La sua storia migliore è l'alfabetizzazione di massa, sono le centocinquanta ore di studio per i lavoratori di fabbrica, è il mito del figlio laureato per i genitori operai che non hanno potuto studiare, è Di Vittorio che convince i cafoni di campagna ad andare in città, alla domenica, con il cappello in testa, come fanno i signori. Non è colpa della sinistra - almeno questo addebito ci sia risparmiato - il fatto che nella nostra società, da un certo punto in poi (in Italia: da Berlusconi in poi) gli esseri umani sono diventati consumatori da ingozzare, telespettatori da rintronare di spot, gregge da tosare, massa amorfa che "ragiona come un bambino di otto anni" (Berlusconi); e di pari passo la cultura è parsa soprattutto un lusso per privilegiati, o addirittura una maschera del potere. Non più un'arma da espugnare, costringendo i ceti dominanti a spalancare le porte delle scuole e delle università; ma un orpello da disprezzare, valorizzando in antitesi la voce grossa, i modi rozzi, il "parlare semplice" come altrettante virtù "popolari". E' il populismo: forse la cosa più antipopolare, dunque più di destra, mai inventata sulla faccia della terra.

Lo sdoganamento dell'ignoranza è uno dei più atroci inganni perpetuato ai danni del popolo, ed io penso (e lo scrivo da decenni) che faccia perfettamente parte dello sdoganamento dell'ignoranza l'idea che sia "classista" indicare con il dito proprio la luna: ovvero la differenza di classe. E' quello che ho cercato di fare in quella famigerata Amaca; nel caso non mi fossi spiegato a sufficienza, spero di averlo fatto meglio adesso.

Dico la mia: è chiaro che se tutti, già da anni lontani, avessero potuto accedere alla cultura, oggi, ma anche ieri e l'altro ieri, sarebbero avvenute molteplici rivoluzioni; perché l'ignorante, lo sgobbatore, il sottomesso avrebbe trovato risorse mentali atte a soverchiare il sistema capitalistico ancora in auge, per una dignitosa rivalutazione di se stesso. 
E' chiaro che una manovra simultanea negli anni '80 ha sempre più rimbambito milioni di persone attraverso un soffocamento mediatico innalzante rutti, peti, tette e culi, per un imbarbarimento di massa utile a chi, per oltre un ventennio, ha svilito la nazione a colpi di ribalderie eclatanti. 
E' chiaro che la miglior gioventù, che è tutta la gioventù, viva un momento molto difficile a causa dell'abbandono sia parentale, vedi le innumerevoli rincorse all'eterna giovinezza, l'arsura,la ricerca della scappatella quale simbolo di esistenza, grida nel deserto che vorrebbe gli ultra quarantenni oramai fuori dal giro, che sociale, alias l'esclusione dal mondo del lavoro per colpa di chi, come da progetto, ansima a rimanerne nel giro pur oramai arrivato a scadenza. 
E' chiaro tutto, forse no. Perché l'obnubilamento è arte e aiuto a chi vuole la differenziazione delle masse. 

Una foto


Ma chi sarà quel signore ridanciano con davanti il Papa innovatore? Forse un oste, si in Radiofreccia ha fatto anche quello, o un cantautore, come negarlo, sicuramente un poeta, un grande ed irraggiungibile poeta. Questi due Francesco potrebbero realmente risollevare il mondo! Senza neppure una leva!  

Poesia anonima


L'ho ritrovata in un bosco. 
Non si conosce l'autore... vi era solo una foto...



A Silvio 


Silvio, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita immorale,
Quando gnocca splendea
Tra i tuoi spudorati intenti ,
E tu, ricco e generoso, il mistificar
Di realtà agognavi?

Sonavan le dorate
Stanze del Nazareno,
Al tuo proverbiale incanto,
Allor che di caccia femminea 
Sedevi, assai intento
Di quel certo divenir che in mente bramavi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menarlo tutto il giorno.

Io gli studi in balle e artifici
Talor lasciando e la sudata arte,
Ove il tempo mio con Verdini
E di me si ergeva la miglior parte,
D'in su i coglioni del fratel partitello
Porgea gli orecchi al suon del tuo borsello,
Ed all’impostura veloce
Che percorrea l’arcoriana magione.
Miravo il forziere strapieno,
Le mummie dorate e i corti,
E quinci il sbaggianar a destra, e quindi a manca.
Lingua servil non dice
Quel ch'io sentiva appieno.

Che pensieri soavi,
Che speranze negli ori, o Silvio mio!
Quale allor ci scorreva via
La borsa e il tuo delinquenziale stato!
Quando soverchiammi di cotanta tua arsura ,
Un rimbotto mi geme
Acerbo e motivato,
E tornami a doler di mia penuria.
O impostura, o impostura,
Perchè non doni poi
Quel che preagisci allor? Perchè di tanto
non copri i figli tuoi?

Tu pria che Mubarak inaridisse il vero,
Da fetuso e torvo ingannavi la nazione a spinta,
Godendo del mistificar che spargevi
Con tutti i compari tuoi;
Non ti scaldava il core
La pietà di chi con te non gode,
ma la gioia mia, dell’Etruriana e dello Spettinato;
Che dall’accordo uscimmo festanti e giulivi
Scaldando persino a Brunetta il core.

Adesso che t’affranti il dolore non è poco
La grillina mannaia non tace: forse è finita
lo prediggono i fati
E il tremolar della ricchezza. Ahi come passato sei,
Caro compagno dell'età mia froda,
Mio indimenticato faro!
Questo è quel mondo? Questi
I precetti, l’onore, il finto rottamar dei vetusti
Onde cotanto perdemmo assieme?
Questa la vittoria di coloro che credemmo dementi?
All'apparir del vero
Tu, misero, sfracellasti: tu sommo nano
La politica morte ed una cella ignuda
Mostravi di lontano. 

venerdì 20 aprile 2018

La sovte



La sovte, sorte per noi comuni mortali, a volte si sbenda e schiaffeggia impercettibilmente pure i nostri "badroni" facenti parte di quella galassia magnificente, lucente, lontana anni luce dai problemi del popolino, genuflesso per gli agii e gli ozi di lor signori. Prendete il rampollo di casa Agnelli, impegnato da sempre a spostare masse d'aria appaganti la sua, di diritto, centralità. Tralascio le sue avventure maldestre perché di regola cerco di non giudicare nessuno, e mi concentro invece sull'incidente accadutogli recentemente mentre era a bordo della sua Ferrari, colorata secondo i suoi desideri e conseguentemente pezzo unico. 
Lapo si è fermato al ciglio di una strada, aprendo la portiera in modalità riccastro, ossia ponendola quasi ad angolo retto; nel frattempo sopraggiungeva un'utilitaria guidata da un comune cittadino che gliela ha quasi divelta, arrecando un danno di circa trentamila euro, bazzecole per uno come lui e per la sua dinastia, sempre pronta da lustri, appena la produzione calava e cala, ad usufruire degli ammortizzatori sociali, spedendo di conseguenza migliaia di lavoratori in cassa integrazione. 
Per di più oggi, grazie a Marchionne alla FCA, la famiglia principe italiana non paga più neppure le tasse in queste terre da sempre generose con loro. 
Ma la sorte sbendata ogni tanto si ricorda di assestare un piccolo buffetto pure a loro, dinastica stirpe da sempre rimpinguata con nostri soldoni. Per il danno siamo sicuri che Lapo non batterà ciglio: sono circa quattro cassintegrati in più! Che volete che sia!  

giovedì 19 aprile 2018

Stomachevole


Invece di confonderci sui voli pindarici della Casellati, al tempo sostenitrice della parentela tra Ruby e Mubarak, occorrerebbe destarci dall'oblio, mediaticamente provocato ad hoc, vedasi il nuovo Grande Fratello, per soffermarci su quanto avvenuto a Rapallo, dove una tredicenne, alias frequentatrice di scuole medie, ha inviato foto osé  al suo fidanzatino anch'egli tredicenne, il quale le pretendeva quale pegno d'amore, per poi postarle ad amichetti che li hanno trasformate in virali, alla mercé del web.
Non mi ritengo un criticone, né un moraleggiante irto di ovvietà; rimango però basito dinnanzi a questo mercificare di beltà, di primi vagiti d'amore, d'invaghimenti fanciulleschi infangati dalla filosofia di una società, che siamo tutti noi, stravolta nel bene più prezioso, abiura di concetti fondamentali il vivere insieme. 
Se siamo, perché dentro a questo mercanteggiare, sminuzzare, triturare valori ci siamo dentro tutti, ma proprio tutti, arrivati fin qui ciò significa che il fondo del barile non esiste, la caduta morale non s'arresterà, gli infingardi spadroneggeranno sempre più, il confine tra bellezza e vomitevole a breve scomparirà a scapito della prima, la sinergia famiglia-scuola è già da tempo ricordo sbiadito, l'educazione un'acclarata perdita di tempo, il sociale un palliativo da sparare in vena ogniqualvolta si dubiti sulla stabilità mentale di chicchessia, il gracchiare di squali indomiti travestiti da opinionisti, da sguatteri senza dignità vegetanti in programmi televisivi deleteri, viene trasformato in dolce nota musicale orecchiabile à la page, le sacerdotesse del nulla scatenanti diatribe "figa-tronista-battibecco-amante" protendono a divenire miti accalappianti coscienze da sempre in transumanza, il mutismo assassinante dialoghi pregni di sogni per una calata solitaria nel dorato regno Smarthphone, appagante l'ego oramai sminuito allo stato larvale, assiso sul trono dell'Essenza, matrice e cuore trascinante una società, che siamo noi, tutti noi, verso il baratro dell'Ineluttabile, anticamera della fatiscenza finale da cui probabilmente non ci risolleveremo più, mai più.

Ragogna stampa


L’alterazione della verità sul giornale di famiglia è tipico segnale di nervosismo. La deontologia giornalistica dovrebbe suggerire di titolare “Di Maio non vuol governare con il Delinquente Abituale.” 
Ma sarebbe chiedere troppo ai parenti di Mubarak.



Consultazioni travagliate


giovedì 19/04/2018
Vadi, contessa, vadi!

di Marco Travaglio

Maria Elisabetta Alberti Casellati, seconda donna della storia a ricevere l’incarico al Quirinale con gran sollievo del genere maschile, è appena stata nominata esploratrice con un’autonomia di 48 ore per lubrificare la Duplice Intesa fra centrodestra e 5Stelle. E già la sua missione in kepì, sahariana, pantaloncini alla zuava, scarponcini e binocolo è miseramente fallita. Infatti, come tutti sapevano benissimo tranne Maria Elisabetta Alberti Casellati, i 5Stelle sono disponibili a fare un governo con la Lega, ma non con Forza Italia e Salvini non può (ancora?) divorziare da Berlusconi. Ora lo sa anche la piccola esploratrice. E fra oggi e domani dovrà comunicarlo al capo dello Stato, che lo sapeva benissimo ma voleva sentirselo dire da una turboberlusconiana come lei, per farla finita una volta per tutte con una patacca che dura da 45 giorni: cioè con il cosiddetto “centrodestra”. Si tratta, com’è noto, di una finta coalizione fra partiti litigiosi e incompatibili su quasi tutto, creata appositamente dal Rosatellum di Ettore Rosato, cioè del trust di cervelli Renzi-B.-Salvini, per fregare gli elettori il giorno del voto, impedire al M5S di fare man bassa di collegi uninominali, gonfiare i consensi di FI e del Pd e dei loro finti alleati con la scusa del “voto utile”, per poi sciogliere le due compagnie la sera stessa e passare all’inciucione renzusconiano. Sappiamo com’è poi andata a finire: persino il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, figurarsi Rosato. Infatti gli elettori hanno ritenuto più utile il voto ai 5Stelle che non al Pd, lasciando senza numeri l’ideona di lorsignori. E regalando la vittoria proprio ai due partiti che dovevano uscirne a pezzi.

A quel punto Salvini ha provato a convincere Di Maio a fare da stampella al centrodestra: invano. E B. sta ancora provando a convincere il Pd: per ora, invano. Siccome però i giornaloni scrivono da un mese e mezzo che Di Maio ha un patto d’acciaio con Salvini e alla fine cederà su B. pur di andare al governo, e molti non solo li leggono, ma addirittura ci credono, ecco la superbufala del governo centrodestra-M5S. E l’incarico alla piccola esploratrice di studiarne la fattibilità. Risultato: un immediato, spettacolare, fragoroso, catastrofico schianto. La scena ricorda quella de Il secondo tragico Fantozzi, protagonista una parente stretta di Maria Elisabetta Alberti Casellati: la contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare, grande azionista della Mega Ditta che, alla cerimonia del varo della nave aziendale, lanciava ripetutamente la rituale bottiglia di champagne verso la chiglia del natante con rincorse da 32 e da 46 metri.

Ma non prima di aver ottenuto il via libera (“Capo-Varo, posso andare?”, “Vadi, contessa, vadi!”). Purtroppo mancava regolarmente il bersaglio, riuscendo invece a colpire nell’ordine: il ragionier Fantozzi (due volte), il sindaco con fascia tricolore, il ministro della Marina Mercantile e la centoduenne Baronessa Filiguelli de Bonchamp, mascotte a vita della società. Esaurita la riserva di champagne, si decise di cambiare rituale della cerimonia: taglio di un cavetto metallico che avrebbe messo in moto il meccanismo del varo. Ripartì da 76 metri la Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare: “Taglio, in nome di Dio!”. E recise di netto il mignolo dell’arcivescovo con anello pastorale, suscitandone un bestemmione parzialmente coperto dalla banda musicale. Ecco, ora spiacerebbe – soprattutto al mondo dello spettacolo, in particolare della commedia all’italiana – se l’avventura esplorativa della Alberti Casellati Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare durasse così poco. Se insomma oggi o domani Mattarella le sottraesse di già il kepì, il binocolo e tutto il resto del corredino per passarli a qualcun altro. Anche perché, diciamolo, la piccola vedetta padovana, già incredula per la promozione da vice-Ghedini in gonnella nonché zia della nipote di Mubarak a presidentessa del Senato, si era preparata con gran cura e compunzione all’ancor più prestigioso incarico. Aveva fatto aviotrasportare nella Capitale il guardaroba delle grandi occasioni, con quei tailleurini color tenda da bagno che fanno tanto fine. Non aveva mancato un solo taglio di nastro, dal Salone del Mobile al Vinitaly.

Aveva reso visita al presidente della Corte d’appello di Milano (il procuratore Greco aveva invece preferito darsi, per un imprecisato impegno fuori città), per spiegare come quella Alberti Casellati che l’11 marzo 2013 prese parte al sit-in davanti al Palazzo di giustizia contro i processi Ruby e Mediaset fosse soltanto un’omonima (del resto l’Italia, e ancor più Forza Italia sono piene così di Marie Elisabette Alberti Casellati). Aveva imbarcato un mezzo esercito di collaboratori per il suo Mega Staff a Palazzo Madama, roba mai vista neppure alla corte dei Faraoni. E aveva avviato il giro delle sette chiese sui giornaloni, con interviste a raffica in cui non diceva assolutamente nulla, se non che era pronta alla fatal Chiamata perché “sarebbe impossibile dire di no a una richiesta del Presidente”. Ora, è vero che il no dei 5Stelle al governo col centrodestra non le lascia grandi margini di manovra. Ma chissà, mai dire mai. Noi, al posto del capo dello Stato, la lasceremmo vagare per qualche altro giorno ancora. Intanto, nella grigia noia di questa morta gora, lo svolazzare zampettante dell’Alberti Casellati di palazzo in palazzo dà comunque un tocco di colore e anche di buonumore. E poi, da una che giurava in tv su Ruby (marocchina) nipote di Mubarak (egiziano), c’è da aspettarsi di tutto. Anche che interpreti il no di Di Maio per un sì e salga al Quirinale con la lista dei ministri. O che balzi sul primo aereo per il Cairo e vada a consultare Mubarak, facendosi annunciare dalla comune nipotina.

mercoledì 18 aprile 2018

Commenti Ranieri


mercoledì 18/04/2018

DI TUTTO DI PIÙ

Mamma Rai s’inventa il Giornalismo Costruttivo


di Daniela Ranieri


Siamo venuti fortunosamente in possesso di una circolare di Rai Academy – che è, copiamo pari pari, “un sistema di formazione continua che accompagna le persone di Rai (sic) verso la trasformazione dell’Azienda in Media Company digitale di Servizio Pubblico”, qualunque cosa ciò significhi – che ci ha molto colpito. Da oggi autori, giornalisti, programmisti registi e addetti stampa, insomma le persone di Rai che lavorano al progresso culturale del Paese, potranno formarsi non solo attraverso corsi classici, tipo “consultare le agenzie di stampa” o “apprendere il corretto utilizzo della voce e le tecniche di comportamento davanti alla telecamera”, ma anche del modulo di (tenetevi forte) “Constructive journalism”. Proprio così: giornalismo costruttivo.

Trattasi, si spiega con solennità, di “un approccio alla professione giornalistica centrato sul mettere maggiormente in luce soluzioni rispetto agli aspetti negativi e problematici delle storie raccontate”. Siamo in grado di anticipare la probabile obiezione: non sarà, questo giornalismo costruttivo, una sonora buffonata anche un po’ degradante della professione, del genere stolido-ottimista che andava di moda 4 anni fa, simile anche nella dicitura a quel “giornalismo di rinnovamento” che l’appena insediata ministra Madia disse di preferire a quello normale (di non rinnovamento), rifiutandosi di rispondere a un cronista troppo critico che a suo avviso non ne rispettava i criteri? No, affatto: il giornalismo costruttivo Rai è “un modo di pensare e affrontare le questioni presenti nel contesto sociale attraverso storie stimolanti che mettano in luce soluzioni piuttosto che focalizzarsi su problemi e traumi” (era ora: l’inviato nelle periferie dovrà imparare a guidare bus, bruciare immondizia e a riparare buche invece di star lì ad evidenziare i disservizi), e di “scrivere le notizie concentrandosi su narrative e angoli di osservazione diversi, non mettendo in secondo piano gli aspetti positivi”. Un esempio: la persona di Rai deve fare un servizio sull’inchiesta Consip, in cui sono coinvolti il ministro renziano Lotti, il babbo renziano Tiziano, l’imprenditore Romeo, i vertici ex renziani di Consip e due generaloni dei carabinieri. Noi, insipienti di giornalismo costruttivo, metteremmo in luce gli aspetti negativi della storia, tipo avere avuto un Capo del governo il cui padre, il cui socio-ministro e i cui amici trafficavano con gente che faceva affari col governo; la persona di Rai formata all’Accademy per trasformare il servizio pubblico in Media Company digitale no, non scherziamo; guardarebbe la cosa da una angolo di osservazione diverso, e di conseguenza, nel frangente attuale, metterebbe in luce l’aspetto positivo di non avere un governo.


Sdoganamento primaverile


E' arrivata la bella stagione e con essa una serie di ritrovate consuetudini, ad iniziare dall'abituale "caduta delle calze", squillo di tromba femmineo annunciante le sgargianti giornate primaverili che a noi (non parlo in plurale maiestatis ma cercando complicità da consimili, oppositori alla linea), fieri ambasciatori dell'adipe, induce a ricorrere alla classica serie di accorgimenti utili per mascherare le bisbocce in seno a messer Inverno, le stravaccate in divano, le avviluppanti oziosità ben protette e giustificate da freddo e gelo. 
E inizio dalla camicia la quale, lasciando la ristrettezza che la cintola sempre più traforata impone, finalmente esce nella libertà ambientale, camuffando ad arte gli anelli "in baghis" rimembranti Saturno, assembramenti crassi ed immoti frutto di bulimie irresponsabili, di master in "struttologia applicata", di nefandezze gastronomiche indecorose. 
Ansimo però non solo nel salire pochi gradini, ma nel veder scoprire membra adornate artisticamente con disegni tendenti al verde cobalto, al blu profondo, osannanti amori, languori storici, latinismi, croci celtiche, rigurgiti di forze antiche, nomi di amori forse anche trascinati nel tempo per non far scadere l'eterno segno cutaneo: polpacci, avambracci, spalle, pance, colli, caviglie già abbronzate e tatuate m'insufflano quell'ansia tipica del minatore che avverte la montagna scuotersi, mi fanno in prima istanza rimpiangere cappotti, sciarpe, maglioni XXL, coprenti gli errori sul desco. Avverto l'approssimarsi della calura, la messa in mostra dei budini flottanti con cui da sempre convivo, il rimorso per non aver frequentato palestre, saune, piscine, la ripicca delle insalate abbandonate in frigo per abbracci calorosi in calorie, abiuranti precetti restrittivi l'arte gastronomica, da sempre condivisi ma quasi mai rispettati. 
Entrando nella mostra dei corpi che la primavera acconsente con il suo frizzante sfrigolio, m'accorgo di essere straniero in patria, non potendo che occultare le mie inezie, gli errori pacchiani da sempre compiuti con gli arti inferiori afflosciati sulla sedia; con la camicia fuori affronterò con meno tremore il ludibrio popolare presagendo, con annessa sudorazione in ascella, l'istante in cui per necessità e godimento dovrò liberarmi di tutto per andar, felice, da Nettuno ad assaporar il marino, sballottando il crasso fluttuante che è in me.  
Passato però questo breve, fino ad ora, lasso temporale in "adipose depression", giungerà al solito, lo spero, come i frutti del ciliegio e del pesco, la rabbonente, placida, serena constatazione che alla fin fine, senza alcun ritegno ed ombra, il "chicazzosenefrega" vincerà perpetuamente, al solito, su tutto e tutti, compreso i diversamente palestrati e tatuati! 
Vamos!  

martedì 17 aprile 2018

Mumble mumble


martedì 17/04/2018

Qualcuno osa sfidare la lobby della sanità?

Fate una prova: fingete di avere una spalla rotta e dover fare un intervento chirurgico per istallare una protesi. Ipotizziamo di essere in una Regione “virtuosa” come la Toscana: secondo le linee guida regionali (quasi identiche in ogni Regione), a ciascun paziente in attesa di un intervento viene dato un codice di priorità che varia da A1per i casi più gravi che necessitano intervento immediato fino a D per quelli che possono attendere.

Se avete la spalla rotta e la situazione è grave ma non gravissima vi assegneranno il codice B, massimo 60 giorni di attesa per l’operazione. Ma tale attesa è solo teorica, e nella realtà questo tempo non è mai rispettato: in una Regione “virtuosa” come la Toscana, per esempio, si prevede una attesa di almeno 1 anno e 2 mesi per questo tipo di interventi, sei volte quanto previsto dalla normativa regionale. Ma c’è una scappatoia: pagare. Se infatti siete disposti a spendere 23 mila euro (questo il costo di una operazione protesica di spalla al Careggi), lo stesso medico che vi ha visitato nello stesso ospedale pubblico dove siete in visita vi può operare quando volete, entro otto giorni dalla visita.

Questo sistema, disciplinato da ultimo dalla legge 189 del 2012, si chiama “intra-moenia” e consente l’esercizio di attività libero professionale intramuraria da medici di ospedali pubblici trasformando, così, il luogo pubblico in una clinica privata a disposizione del professionista.

Secondo la normativa vigente il paziente, in questo caso, deve pagare interamente l’equipe medica, il personale anche infermieristico di supporto, i costi pro-quota per l’ammortamento e la manutenzione delle apparecchiature nonché assicurare la copertura di tutti i costi diretti e indiretti sostenuti dalle aziende. Il medico e l’ospedale che ospita tale attività guadagnano sul paziente facendo leva sul suo stato di bisogno: il professionista sarà libero di farsi remunerare come un collega di una clinica privata e l’ospedale potrà chiudere i bilanci in attivo grazie al significativo contributo del paziente. Questo sistema pone una serie di problematiche giuridiche, economiche e, soprattutto, etiche.

Secondo il XX Rapporto Pit Salute di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato (Tdm) pubblicato a fine dicembre, le liste d’attesa negli ospedali pubblici si allungano sempre di più con attese medie di 13 mesi per una mammografia, un anno per una colonscopia, stesso periodo per una visita oncologica o neurologica.

A trarre un vantaggio diretto da questo stato di cose sono proprio i medici che esercitano la libera professione negli ospedali oltre agli stessi ospedali perché spesso il paziente, sconfortato dai lunghi tempi per un esame o un intervento, procedono in “intra-moenia” ricorrendo a prestiti e debiti pur di potersi operare.

Il meccanismo è perverso perché si basa su un doppio ruolo affidato dalla legge alla stessa persona: da un lato c’è il medico in quanto dirigente pubblico dell’ospedale che dovrebbe assicurare il rispetto delle linee guida regionali e che avrebbe come obiettivo per la propria performance la riduzione delle liste d’attesa; dall’altro c’è lo stesso medico in quanto libero professionista che ha interesse a tenere lunghe le attese così da incentivare i pazienti a ricorrere a lui privatamente. Si tratta di un meccanismo favorito dallo Stato stesso che, in tal modo, grazie al costo dell’intra-moenia, può coprire taluni costi del servizio sanitario.

È proprio in ciò la perversione di fondo di tale sistema che avvantaggia una specifica lobby a danno della tutela della salute dei cittadini.

È un punto che varrebbe la pena essere inserito nel programma del prossimo governo: ma chi governerà avrà la forza di fare gli interessi della comunità?


Martedì di Travaglio


martedì 17/04/2018
Mediaset Premier

di Marco Travaglio

Chi vuole sbirciare dietro le quinte della politica di questi giorni deve ricordare quel che accadde cinque anni fa. Anche allora si era votato da poco, le urne avevano partorito tre blocchi non autosufficienti e pareva quasi impossibile che due di essi facessero un governo. Allora però c’era un presidente – Napolitano, fra l’altro in scadenza – smaccatamente di parte (la sua), portatore di un progetto politico ben preciso: l’inciucio Pd-Pdl-Centro, già sperimentato col governo Monti e platealmente bocciato dagli elettori, per tagliar fuori i 5Stelle. Oggi invece c’è Mattarella, che applica la Costituzione e attende di sapere dai partiti quale maggioranza vogliono formare. Bersani puntava a un “governo di cambiamento” e di minoranza (almeno al Senato, dove neppure col Porcellum la coalizione Pd-Sel aveva i numeri), presieduto da lui con l’appoggio esterno dei 5Stelle, e giurava di non volersi alleare con B.: proprio come oggi Di Maio, pronto a governare col Pd o con la Lega, ma non con B.. Il quale nel 2013 smaniava per rendersi indispensabile a un governo purchessia, da ricattare per i soliti affari suoi: proprio come oggi. I 5Stelle, atterrati su un pianeta inesplorato, sospettavano di tutti e non volevano allearsi con nessuno: proprio come il Pd oggi.

In quello stallo – culminato nel famoso incontro-scontro in streaming fra Bersani & Letta e Crimi & Lombardi – si infilò B., con la complicità delle sue quinte colonne del Pd, che lavorarono con lui a logorare Bersani fino a scippargli il partito. In pochi giorni, complice l’iniziale ottusità degli inesperti grillini che si fecero usare dal partito dell’inciucio senza neppure accorgersene, il Caimano che aveva appena perso 6 milioni e mezzo di voti tornò protagonista e si riprese il centro della scena piazzando chi voleva lui prima al Quirinale e poi a Palazzo Chigi. Anche allora, come sempre e come oggi, a fare la spola fra i palazzi del potere c’erano gli eterni mediatori del Partito Mediaset: Fedele Confalonieri e Gianni Letta. Due fiduciari di un’azienda privata, mai eletti da nessuno né investiti di incarichi politici in FI, eppure regolarmente ricevuti con tutti gli onori come ambasciatori di uno Stato sovrano e alleato. Il loro obiettivo, tramontata la candidatura al Colle dell’amico Franco Marini (scelto da B. in una rosa di nomi proposti dal Pd), era lasciare Re Giorgio lì dov’era, per sventare la minaccia di un antiberlusconiano storico e impenitente come Prodi al Quirinale e il coinvolgimento dei 5Stelle nell’area di governo. Però B. non aveva i numeri per farcela: gli occorreva una sponda nel Pd.

Tantopiù che intanto il M5S era uscito dal freezer candidando Rodotà al Quirinale, appoggiato da Sel e molto amato dagli elettori di centrosinistra. E Grillo aveva dichiarato al Fatto: “Abbiamo proposte come l’anticorruzione, la legge sul conflitto d’interessi e quella sull’ineleggibilità della Salma (Berlusconi, ndr). Bersani ci pensi. Eleggere Rodotà insieme sarebbe il primo passo per governare insieme”. Non un governo di minoranza appoggiato dall’esterno, ma un governo politico con tutti i crismi: un incubo, per il Partito del Biscione e per tutto l’Ancien Régime, che avrebbero perso il controllo. B. mosse le sue pedine nel Pd, fece balenare a D’Alema un possibile appoggio per il Colle e allo scalpitante Renzi le elezioni anticipate che gli avrebbero consentito di candidarsi a premier. La mattina del 19 aprile, per tenere unito il Pd, Bersani propose Prodi all’assemblea dei suoi grandi elettori. Il Professore – in Mali per una missione Onu – conosceva bene i suoi polli: un pezzo del Pd era di proprietà di B., infatti il Corriere parlava di 120 parlamentari dem pronti a firmare un documento contro di lui. Dunque pregò Bersani di procedere con voto segreto. Ma appena il segretario disse “Prodi”, l’assemblea scattò in piedi: standing ovation, approvato per acclamazione. E Sel si accodò. Bersani avvertì telefonicamente il Prof, ma non lo convinse. Prodi chiamò la moglie Flavia, a Bologna: “Vai pure alla tua riunione tranquilla, tanto presidente non lo divento di sicuro”. La sua candidatura fu lanciata alla quarta votazione, la prima con maggioranza del 50% più 1. Bastavano 504 voti su 1007 elettori. Pd e Sel ne avevano 496: con una decina di centristi montiani in libera uscita era fatta. E infatti alcuni montiani e qualche grillino votarono Prodi. Al quale però mancarono 101 voti. Quindi i franchi traditori erano almeno 120. Tutti targati Pd: Sel aveva marchiato tutte le sue schede facendo scrivere dai suoi “R. Prodi”.

Renzi, da Firenze, fu il più lesto ad annunciare: “La candidatura Prodi non esiste più”. Anche perché, con Prodi, spariva pure il suo rivale Bersani, che si dimise subito. Fu un’operazione di killeraggio in grande stile, studiata a tavolino nei minimi dettagli, col concorso attivo di tutte le correnti (prodiani esclusi). Tanti sicari in simultanea, come i 12 pugnalatori dell’Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie. E un solo utilizzatore finale: B., che chiamò subito Napolitano per chiedergli di restare. Questi, che ancora il 14 aprile definiva “pasticcio ridicolo” l’eventuale rielezione, l’indomani accettò. Previo pellegrinaggio al Colle di tutti i leader sconfitti alle elezioni. Il Corriere riferì di un “lungo, caloroso abbraccio” fra B. e Re Giorgio, che lo ringraziò per il suo “comportamento da statista”. Così Napolitano fu rieletto il 20 aprile e il 24 incaricò Letta jr. per il governo di larghe intese. E l’Italia, dal possibile rinnovamento, ripiombò in piena Restaurazione. Chissà quanti di quei 120 traditori siedono ancora tra i banchi del Pd. Lo vedremo presto, quando dovranno scegliere fra un premier di cambiamento e un Mediaset Premier. L’ennesimo.