Il ministero dell’offesa
di MICHELE SERRA
Uno dei pochi vantaggi di quella catastrofe umanitaria che è Donald Trump è che la sua violenza politica aiuta a mettere in chiaro, senza possibilità di equivoco, qual è la posta in palio. La posta in palio è l’intero edificio di diritti individuali, di tutele sociali, di rapporti tra gli Stati, di collaborazioni sovranazionali che il nostro mondo (quello che chiamiamo, con una certa approssimazione, Occidente) ha costruito, a sua stessa tutela, dopo la Seconda guerra mondiale.
La posta in palio è ribaltare il Novecento — la sua seconda metà — facendogli rimangiare i suoi propositi di pace, di giustizia sociale e di democrazia; e tornare al mondo com’era prima: il mito della Nazione, della forza militare e del dominio economico rimixati in salsa tecnologica. Il resto, tutto il resto, sono balle buone solo per la decadenza e la svirilizzazione, che sono il brodo di coltura dei dem.
La decisione di tornare a chiamare ministero della Guerra quello che (in tutto l’Occidente post-bellico) dopo l’ecatombe venne ribattezzato ministero della Difesa, dal punto di vista trumpista è perfetta. Il concetto stesso di “difesa” è imbelle, effeminato, ipocrita, insomma è woke. Se avete creduto che nel mirino della guerra (appunto) anti-woke della destra reazionaria ci siano solo gli eccessi del politicamente corretto, vi siete sbagliati. Woke, per loro, è tutto ciò che odiano. Woke è il diritto dei deboli a non essere schiacciati, woke è il femminismo nella sua interezza, woke è il Welfare, woke il pacifismo, woke l’ambientalismo, woke (terribilmente woke) la cultura, con la sua insopportabile aura di complessità e di dubbio. Quando sarà chiaro che woke, per questa consorteria di oppressori, è anche la libertà, speriamo ce ne sia ancora abbastanza da poterla difendere.
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