sabato 26 luglio 2025

Stipendificio

 

Ricci e gli altri che usano la ue come parcheggio e stipendificio
DI DANIELA RANIERI
Della vicenda personale e politica dell’europarlamentare Matteo Ricci, il cui agire da sindaco di Pesaro dal 2014 al 2024 è all’esame della magistratura, non si è sottolineato abbastanza un aspetto: è normale, e intendiamo eticamente irreprensibile, che un politico eletto dai cittadini per andare a Strasburgo, a (sperabilmente) rappresentare i loro interessi nel consesso europeo, sia pronto senza alcuna remora ad abbandonare quell’incarico dopo appena un anno per candidarsi alla guida della Regione da cui proviene?
Posto che il Parlamento europeo non conta niente e che le decisioni importanti di politica economica ed estera della Ue sono prese dalla Commissione, o meglio dalla sua capa tedesca Von der Leyen il cui precipuo compito è, ormai si è capito, quello di portarci alla guerra con Mosca, smontando “se necessario” (cit. Segretario della Nato Rutte) lo Stato sociale per riarmarci allo spasimo, non sarebbe stato più serio da parte di Ricci finire il mandato, rinunciando in tempo di guerre e genocidi alle ambizioni personali di diventare un “governatore” locale? Oppure: se proprio si sentiva di avere una missione come presidente di Regione, non poteva fermarsi un giro e non presentarsi alle Europee l’anno scorso? Comprendiamo la necessità di mantenersi finanziariamente, ma ci sono altri nobilissimi mestieri, oltre all’europarlamentare, che avrebbero consentito all’ex sindaco di non morire di fame fino a oggi.
Ricci è stato eletto con 106.482 preferenze: per quanto suoni stravagante, centinaia di migliaia di persone sono uscite di casa, l’8 e il 9 giugno 2024, per andare a mettere una croce su una scheda perché lui facesse l’europarlamentare. È corretto buttare questi voti nella spazzatura per dirigersi verso nuovi lidi professionali? C’è da presumere che, se dovesse ritirarsi dalla corsa alla Regione Marche perché indagato per concorso in corruzione, Ricci abbandonerà anche il seggio a Strasburgo per coerenza; o no? Non si offendano, poi, i nostri politici, se diciamo che usano il Parlamento europeo come un sondaggio su larga scala, o peggio come un parcheggio, intascando un rispettabile stipendio mensile di 15 mila euro netti più indennità varie e svolgendo la propria funzione pubblica come una seccante corvée per la Patria, a cui sperano di tornare presto per usufruire della sua nota generosità. Non che la casta dei parlamentari europei sia famosa per scaldare i cuori degli italiani: Salvini, vabbè, si recava a Strasburgo solo per collegarsi da Strasburgo con le Tv che lo ospitavano giorno e notte; Calenda fu eletto coi voti del Pd nel maggio 2019: ad agosto era già uscito dal Pd e si era già fatto un partito suo, continuando beninteso a fare l’europarlamentare del Pd, e un anno dopo, in preda a una delle sue famose bizze da ricco, già si era stufato e gli era preso l’uzzolo di fare il sindaco di Roma, pretendendo naturalmente l’appoggio del Pd. Meloni e Schlein, addirittura, si candidarono sapendo fin dall’inizio che non avrebbero mai accettato il seggio, solo per contarsi e pompare i voti al proprio partito.
Forse non è del tutto campata in aria l’impressione che i parlamentari europei siano punti di riferimento più per le lobby, specie le più danarose, che per i cittadini (vedi la Picierno, sempre Pd, che riceve la lobby sionista Israel Defense and Security Forum, che sostiene la colonizzazione illegale della Cisgiordania; e citiamo solo di striscio il cosiddetto Qatargate, lo scandalo di corruzione e riciclaggio in cui erano coinvolti anche italiani). Tutto a riprova che quando questi politici si disperano per l’astensionismo fingono, perché a loro va benissimo così, finché non c’è un quorum sulle elezioni. Basta sfangarla. Alle ultime Europee c’è stata in Italia un’affluenza del 48,31%, record di astensionismo: vista la faccia tosta di questi miracolati, è pure troppo.

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