mercoledì 2 luglio 2025

Robecchi

 

Otto secondi. Le mine, l’Atomica e noi umani con la memoria del pesce rosso
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Dicono recenti studi, ampiamente rilanciati dai media di tutto il mondo, che la capacità di concentrazione su un testo scritto difficilmente supera gli otto secondi, cioè dopo otto secondi che leggete qualcosa vi siete già rotti i coglioni e pensate ad altro. Ora potrei dirvi qui quali istituti di ricerca e prestigiose università hanno condotto questi studi, ma perché dovrei, visto che state leggendo già da 15-20 secondi e non ve lo ricordereste manco morti?
Diciamolo subito: questa totale perdita di memoria e concentrazione – di cui più o meno sono incolpati gli aggeggi elettronici e i social network, oltre alla conversione di massa degli umani da lettori a guardatori di video – è un’evoluzione della specie che ha i suoi vantaggi. Per esempio, se il ministro degli Esteri Tajani si inventa lì per lì che la bandiera europea è blu per via dell’outfit della Madonna e che le stelle sono le dodici tribù di Israele, voi penserete che è una delle più grosse scemenze mai lette, ma lo penserete più o meno per otto secondi, mentre lui continuerà a fare il ministro degli Esteri, probabilmente per anni. Questo fatto di avere la memoria del pesce rosso ha anche un’aggravante: non solo non ci ricordiamo più un beneamato cazzo, ma la nostra memoria può essere piegata alla bisogna di questo o di quello, a seconda delle convenienze. Mi sembra illuminante, per fare un altro esempio, il caso della bomba atomica. Per anni e anni, tra scuola e letture varie, eravamo convinti che fosse una cosa molto brutta, anche se il fatto che l’avessero sganciata, nella storia dell’umanità, soltanto gli americani la rendeva un po’ meno brutta agli occhi dei sudditi. Ecco che ora, invece, viene innalzata a motivo di vanto e il presidente Trump può dire che il suo bombardamento dell’Iran “è stato come Hiroshima, una botta e via” e nessuno (o solo pochissimi) è inorridito al paragone. Del resto la bomba atomica piace molto, è trendy, e presso i teorici del riarmo globale se ne parla come di un must have, una cosa che è bello e giusto avere perché fa “deterrenza”, parola di moda che però non va bene per gli iraniani. Ragionamento complesso, mi rendo conto: deborda dagli otto secondi di concentrazione.
Allora proviamo così: Trump vuole il premio Nobel, ci tiene proprio tanto e dice che è colpa dei “comunisti” se non glielo danno. La nostra memoria, pur zoppicando, ci riporta a quando il Nobel lo davano a Kissinger, quindi diciamo che non ci sarebbe niente di male a darlo a Trump, ma nemmeno a Pol Pot (alla carriera) e al canaro della Magliana (ad honorem). Ma la nostra memoria non è abbastanza attrezzata per ricordare che il premio Nobel per la Pace lo diedero (1997) anche a un prestigioso istituto (l’International Campaign To Band Landmines) che si batté per vietare le mine antiuomo, quelle cose su cui un contadino, o un bambino, mettono un piede dopo dieci anni che la guerra è finita e saltano per aria. Ci vorrebbe un po’ di memoria, più di otto secondi, diciamo, ma siccome non ne abbiamo abbastanza, ecco che si applaude perché l’Ucraina esce dal Trattato di Ottawa e ricomincia a usare le mine antiuomo, quindi le industrie a produrle e venderle, quindi gli eserciti di mezzo mondo a comprarle. Magari rientreranno in quel 5 per cento del Pil che spenderemo per armi, missili, bombe e carri armati, di cui ci doteremo per sentirci più sicuri, scordandoci – otto secondi sono passati da un pezzo – che potremmo sentirci più sicuri con una Tac fatta in tempi decenti o con una pensione non da fame.

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