venerdì 15 novembre 2024

Ciao Licia!


I funerali di Licia Pinelli: perché non potremo mai dimenticarla

di Gad Lerner

È un brivido che percorre le schiene dell’intera nostra generazione a condurci questo pomeriggio in una casa funeraria della periferia milanese, in via Corelli, proprio di fianco al Cpr in cui vengono rinchiusi i migranti più sfortunati per dare l’ultimo saluto a Licia Rognini, vedova del partigiano ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato il 15 dicembre 1969 dal quarto piano nel cortile della Questura di Milano, dov’era trattenuto in stato di fermo da tre giorni.
È il brivido di una generazione che 55 anni fa riempì piazza Duomo ai funerali delle vittime della bomba di piazza Fontana già gridandolo che “un compagno non può averlo fatto”; la generazione che dopo il colpo di Stato in Grecia avvertiva l’incombere, anche in Italia, di una strategia della tensione fondata sull’intreccio fra neofascismo e apparati dello Stato conniventi: violenza dall’alto per frenare il progresso sociale. Il senso di perdita e di straniamento che proveremo nel dire addio a Licia, donna umile e appartata ma testimone intransigente, ci farà tornare a quei giorni plumbei, quasi che la storia avesse fatto il suo giro. Perché oggi son tornati a comandare, impuniti, tracotanti, quelli là. Che urlano ancora al pericolo comunista (unica differenza: ci mettono anche i giudici, fra i comunisti) e rifiutano di ammettere qualsivoglia responsabilità nelle trame, nel terrorismo stragista, nei depistaggi per incolpare gli anarchici, nelle provocazioni ordite dentro gli uffici “affari riservati” e nei comandi generali da cui gli alti ufficiali uscivano col salvacondotto dell’elezione in Parlamento nelle file del Msi. Si dice che la storia la scrivono i vincitori. In questo caso ne fanno volentieri a meno ed è, al contrario, la famiglia Pinelli che oltre mezzo secolo dopo continua a tenere alta la verità scomoda di cui è testimone.
Oggi al funerale di Licia, accanto alle figlie Claudia e Silvia, sentiremo la presenza di personalità che questa destra milanese dei La Russa, sopraggiunta infine al potere, non ha mai smesso di detestare. Qualche nome, fra quelli che non abbandonarono a se stessa la famiglia dell’anarchico entrato vivo e uscito morto dalla Questura: Carlo Smuraglia, che divenne il loro avvocato, in seguito presidente dell’Anpi; Piero Scaramucci, giornalista Rai impegnato nella controinchiesta che produsse il pamphlet La strage di Stato, fondatore di Radio Popolare e coautore del libro di Licia, Una storia quasi soltanto mia; Dario Fo, futuro premio Nobel, che un anno dopo, nel 1970, era già in scena con Morte accidentale di un anarchico; Enrico Baj, cui si deve la grande tela 3 metri per 12 in cui è raffigurato Pinelli che precipita, la cui esposizione fu bloccata in seguito all’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Loro, insieme a Camilla Cederna, Giangiacomo Feltrinelli, Corrado Stajano, Giorgio Bocca, Marco Fini, esponenti di una borghesia democratica milanese, sono rimasti le bestie nere additate dal senso comune reazionario su cui Berlusconi costruì la sua egemonia culturale. I cui riflettori tutto son pronti a illuminare tranne che la storia maledetta di un potere piduista che in nome dell’anticomunismo reclutava anche criminali. Una reticenza diffusa, camuffata da desiderio di pacificazione, ha strumentalizzato il civile incontro fra le due vedove, Licia Pinelli e Gemma Calabresi, ripetutosi due volte, celebrandolo come se rappresentasse la sutura di una ferita che invece ancora sanguina. Oggi più che mai. Le ceneri di Licia verranno seppellite di fianco alla tomba del suo Pino nel settore anarchico del cimitero di Carrara. Lasceranno questa Milano che rivive l’onta dell’impunità. Giusto così. Chiedono ancora giustizia. Noi andiamo in via Corelli a promettergli che non dimenticheremo: le bombe le hanno messe i fascisti protetti da uomini dello Stato.

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