L’epoca delle tribù
DI MICHELE SERRA
Netanyahu all’Onu ha parlato come un capo tribù che combatte contro altri capi tribù. In questo non è affatto solo, e anzi è molto rappresentativo della nostra epoca: è sempre più raro sentire un leader parlare nel nome di ideali e interessi sovra-nazionali, o addirittura (accadde!) nell’interesse dell’umanità e dei diritti di tutti, come fecero Kennedy a Berlino, Obama al Cairo, Gorbaciov nell’estremo tentativo di restituire l’Est Europa alla democrazia, e il socialismo al suo destino umanistico. E come fecero i padri dell’europeismo sulle rovine fumanti della Seconda guerra mondiale.
Ora è il turno dei capotribù. Non solo i leader di partito, dunque di una fazione, anche molti leader di nazione affrontano il mondo come un nemico da domare, o un impiccio da snobbare. Il loro maestro indiscusso è Putin: o il mondo mi obbedisce, o lo cancello.
È una specie di egocentrismo su larga scala, come se ogni comunità umana si accontentasse del suo selfie. Se i telegiornali sono un bollettino di guerra (confesso: cambio spesso canale, il livello di odio e di stupidità delle guerre non è più sopportabile) è anche perché il nazionalismo ha stravinto, in tutte le sue forme, e tutte o quasi le istituzioni sovranazionali che l’umanità è riuscita a darsi nella seconda metà del secolo scorso stanno perdendo potere e autorevolezza. Lo sguardo piccino della politica, nel Terzo Millennio, rende dolorosamente improbabile ogni ipotesi di pace. Netanyahu all’Onu non sembrava un membro della comunità mondiale, ma uno dei tanti che andava a dire alla comunità mondiale: non conti più niente, faccio quello che mi pare.
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