domenica 12 maggio 2024

Ma dai?

 

Anche Repubblica se ne è accorta! Finalmente!

LA LOTTA ALLA CORRUZIONE
Le armi spuntate nella guerra alle nuove Tangentopoli
DI GIULIANO FOSCHINI
Se in questi giorni di inchieste e grandi scandali qualcuno vi racconterà che in Italia è tornata la corruzione, voi non credetegli. Perché in Italia la corruzione – dai tempi di Mani Pulite in poi - non se n’è mai andata. Genova oggi. Bari, Torino, Palermo ieri. E prima ancora Roma, Milano. Nel Paese che si prepara all’autonomia differenziata, se c’è qualcosa che non cambia a nessuna latitudine, ecco quel qualcosa è proprio la corruzione.
Secondo stime del centro di ricerca Rand, ogni anno all’Italia la corruzione costa 237 miliardi, circa il 13 per cento del Pil. Si indaga a Nord come a Sud, sono travolte giunte di destra e di sinistra. Si paga con le vecchie e care mazzette in denaro contante o con le “altre regalie” (viaggi, regali di lusso, escort), ci sono i facilitatori e i prestanome, corrompono i mafiosi e i piccoli artigiani, si ruba sui grandi appalti esulle sagre di paese.
Quello che è cambiato, però, è l’approccio dei governi che si sono succeduti. Il governo Meloni, in particolare, sta mettendo a punto tutta una serie di norme e provvedimenti che più che provare a contrastare un fenomeno endemico sembrano voler spuntare le armi a chi quel fenomeno cerca di combatterlo. L’abolizione dell’abuso di ufficio, la nuova formulazione dei reati sul traffico di influenze. E ancora: la limitazione di strumenti di indagine come i trojan per i reati contro la pubblica amministrazione e le norme “di semplificazione” sugli appalti pubblici, sempre auspicate e in parte già realizzate dal ministro Salvini, sono tutti tasselli di un grande mosaico che rende ogni giorno più difficile la vita delle guardie. Più facile quelle di corrotti e corruttori.
Il reportSu questi argomenti è difficile avere dei numeri affidabili che rendanol’idea della situazione. Spesso si racconta la favola secondo cui nessuna inchiesta finisca con condanne definitive. In realtà basta restare a quello che è accaduto negli ultimi mesi: l’ex parlamentare della Lega, Gianluca Pini, ha patteggiato un anno e 11 mesi per corruzione nell’inchiesta sulla fornitura di mascherine alle Asl dell’Emilia Romagna. E per corruzione hanno patteggiato (a un anno e 4 mesi) l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza, e il deputato Giangiacomo Calovini. Per corruzione è indagato (e ha chiesto di patteggiare a 2 anni e dieci mesi) anche il cognato del ministro Salvini, Tommaso Verdini, figlio di Denis. Insomma, la cronaca documenta come i processi spesso finiscono con condanne.
Tornando alle statistiche, da tempo viene considerato come autorevole il Corruption perception index, un indice realizzato da Transparency International che segnala appunto il grado di corruzione percepita in ogni singolo paese. L’indice è il risultato di una sintesi fra gli indicatori di 13 diverse fonti fra cui Banca Mondiale, World Economic Forum, società private di consulenza e gestione del rischio, ed è mirato alla grande corruzione pubblica. Quando si parla di percezione, quindi, si fa riferimento a quella della comunità internazionale e finanziaria. Bene. L’Italia è in 42esima posizione su 180, nove punti sotto la media europea. Va molto meglio di Paesi come l’Ungheria, che è ultima in classifica (14 punti in più). Ma molto peggio di Paesi come Finlandia, Norvegia e Svezia che sono ai primi posti nella classifica. Negli ultimi dieci anni il nostro Paese ha fatto importanti passi in avanti, registrando poi una frenata proprio con l’arrivo del governo Meloni: un posto in meno in graduatoria e nessun punto in più. Troppo poco, chiaramente, per emettere un giudizio definitivo (anche perché tra i parametri che vengono valutati ci sono problemi enormi, come la durata dei processi, che non possono essere risolti in pochi mesi) ma chiaramente un’indicazione importante.
Le nuove misure
Ancor più se viene letta nella chiave delle misure in tema di giustizia e appalti pubblici che il governo Meloni sta prendendo nonostante le proteste di magistrati e addetti ai lavori. Nelle prossime ore verrà pubblicato il nuovo dossier dell’Anac, l’Autorità anticorruzione, che seppur svuotata di capacità di incidere, rappresenta uno dei baluardi del nostro Paese: da tempo il presidente Giuseppe Busia denuncia – come è accaduto nel caso di Genova – il fatto che le nuove regole sugli appalti pubblici aprano strade ai predoni. E questo è ancora più vero oggi, con i grandi cantieri del Pnrr, per non parlare del Ponte sullo Stretto.
A preoccupare, poi, è il pacchetto di norme in parte già approvato e in parte prossimo al via libera che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha preparato. L’abolizione dell’abuso di ufficio è stata raccontata come l’eliminazione di un inutile orpello per gli amministratori. Ma in realtà, documentano le ultime sentenze di condanna in Cassazione (3.600 dal 1997 a oggi), rappresentava un argine importante: per dire, quei sindaci e assessori che erano stati condannati per aver annullato delle cartelle esattoriali a loro elettori, alla vigilia di una campagna elettorale, oggi non lo sarebbero più. Per non parlare dell’abolizione del traffico di influenze, misura nell’agenda del governo: dal caso Palamara a quello Alemanno, sarebbero tutti salvi senza quel reato. Così come l’inchiesta di Genova, e decine di altre, non sarebbe esistita se fosse stato in vigore l’emendamento Costa adottato dalla maggioranza di centrodestra: niente trojan, cioè microspie dentro i telefoni, per i reati contro la pubblica amministrazione. Perché la maniera migliore per non trovarla, la corruzione, alla fine è non cercarla.

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