In meno di un minuto
DI MICHELE SERRA
Le spiritosaggini udite in tivù a proposito dei grandi vantaggi che la censura avrebbe procurato ad Antonio Scurati (“una pubblicità formidabile!”) sono tipiche di un popolo, prima ancora che cinico, frivolo. Non è frivolezza, invece, è volgarità spiccia quella che la premier Meloni (dispiace per lei e per noi: presiede il governo del Paese), e in generale la vulgata di destra, hanno messo in campo imputando a “beghe economiche” la vicenda. Ah, l’avido scrittore di sinistra che voleva rapinare i soldi dei contribuenti!
La premier e i tre principali quotidiani di destra (spesso indistinguibili, come Qui Quo Qua) hanno finto indignazione, o sghignazzo, per il presunto compenso — fonte Rai, dunque fonte loro — di “1.800 euro per un minuto”.
Come se la prestazione di Scurati fosse quel minuto (volendo essere precisi: tre minuti) e non il lavoro che lo precede; nel caso di Scurati i tre libroni su Mussolini e sul fascismo, lunghi anni di studio e di scrittura. Se lo chiamano a parlare del 25 Aprile non è per estrazione a sorte, o per raccomandazione: è perché gli autori della trasmissione presumono che ne abbia speciale competenza.
È come dire a un cantante: possibile che ti paghino così tanto, per tre minuti di canzone? Ma quei tre minuti non sono tre minuti. Sono centinaia di ore di lavoro, la composizione, gli arrangiamenti, il fare e rifare, gli errori e la correzione degli errori, la costruzione lenta di una capacità professionale e di una figura pubblica.
Niente è più demagogico di questi calcoletti, falsi nei presupposti. Volendo, suggeriamo a Meloni e ai suoi centurioni di calcolare quanti milioni ha perso la Rai trasformandosi, in meno di un minuto, da servizio pubblico inhouse-organ del governo.
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