L’articolo 11 è ancora in vigore: poveri falchi
DI DANIELA RANIERI
Con l’aggravarsi della situazione in Ucraina, un Paese distrutto dalla spietatezza di Putin e dall’incoscienza dell’Occidente, si fanno più grandi e più disperate anche le panzane della propaganda, che fanno eco alla chiamata alle armi di Macron: Putin attaccherà un Paese Nato “entro 3 o 5 anni” (chissà perché non 4); l’Ucraina sta perdendo perché non le abbiamo mandato abbastanza soldi e armi (Crosetto su questo ha smentito sia Repubblica che Corriere); in Italia ci sono agenti al soldo del Cremlino da stanare con “strumenti ben più efficaci”, forse di polizia (come dispone un dissidente oligarca russo su Rep); prepariamoci alla guerra.
Forse questo clima ha spinto il presidente Mattarella, durante la commemorazione dell’80esimo anniversario della distruzione della città di Cassino, a ricordare l’argine ultimo, la diga etica e statutaria all’ipotesi della guerra: l’articolo 11 della Costituzione. Del resto, Mattarella citò questo articolo nel discorso d’investitura al Parlamento nel 2015: garantire la Costituzione, disse, significa tra l’altro “ripudiare la guerra e promuovere la pace”, ciò che non ci ha impedito di partecipare serenamente a tutte le guerre della Nato per esportare la democrazia, dai raid aerei sulla ex Jugoslavia ai bombardamenti anti-terroristi in Iraq e Afghanistan (1 milione di morti civili), Libia, Siria.
Per due anni i fanatici di missili e lanciarazzi – liberali, draghisti, terzopolisti, opinionisti e studiosi foraggiati dai fabbricanti di armi – hanno cercato di convincere gli italiani che quell’articolo fosse composto di due parti: una che sancisce il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; l’altra che stabilisce delle deroghe al principio generale. Affamati di retorica e di nullità semantiche, i giornali padronali hanno dato a intendere che poiché Putin era “un pazzo”, “un animale”, “un despota sanguinario” etc., l’art. 11 non fosse applicabile: tirarlo in ballo era inopportuno (anzi, era “putiniano”) perché la guerra russo-ucraina era un “crimine”, una “mattanza”, etc., non una “controversia internazionale”. Invece la guerra della Russia all’Ucraina rientra pienamente nella fattispecie della controversia internazionale, ma loro sono ancora convinti che i Costituenti abbiano scomodato un articolo della Carta per bagatelle, dispute verbali, incidenti diplomatici.
Siccome quel “ripudia” non è abbastanza forte, poi, e crederlo tale è una mollezza da “pacifinti”, i bellicisti ci hanno spiegato che l’art. 11 “bisogna leggerlo tutto”: la seconda parte, quella in cui si dice che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, secondo loro è il via libera alla guerra alla Russia in accordo con altri Paesi. Se gli si fa notare che lì si parla di “pace”, non di “guerra”, tirano fuori l’art. 52, “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”, sicuri di metterci nel sacco. Quell’articolo, in effetti, legittima la guerra, ma solo se la Patria da difendere è la nostra, non un’altra. Non importa: i trattati internazionali, dicono, hanno la preminenza sulla Costituzione; messi di fronte all’evidenza che non c’è scritto in nessun trattato internazionale che dobbiamo difendere un Paese non Ue e non Nato, ci spiegano che è un dovere morale difendere tutti gli aggrediti. Se gli si obietta che, stante la nota filantropia dell’Occidente a guida Usa, non stiamo difendendo nessun Paese o etnia aggrediti da forze ostili (i curdi perseguitati da Erdogan, lo Yemen bombardato dall’Arabia Saudita, patria morale e pecuniaria di Renzi, etc.), rispondono che difendendo l’Ucraina stiamo difendendo “la democrazia” (così Meloni, la finta patriota che si fa baciare in testa da Biden), o aggiungono, sulla scorta di un’uscita dell’ex presidente della Consulta Amato, che il vincolo Nato ci impone la guerra, sancendo di fatto l’invalidità della Costituzione.
L’altro giorno Mattarella ha ricordato che è ancora in vigore. Ma nelle ore successive ecco ricomparire l’articolo 11-ombra dei giornali d’establishment: per Panebianco sul Corriere gli europei “credono di vivere ancora nel Paese dei balocchi” e “fanno gli struzzi” (e pensare che l’ombra della guerra atomica è così rassicurante) e a Otto e mezzo Severgnini, profeta dell’arrivo di Putin a Lisbona in caso di sconfitta dell’Ucraina, registrava con rammarico che per noi italiani la guerra “è inconcepibile” e “pur di avere la fine della guerra siamo disposti alla fine dell’Ucraina”. Che l’Italia ripudi la guerra è insomma un disdicevole segno dei tempi e una vigliaccata, non un comando costituzionale. Ai nostri falchi non resta che sostenere che l’art. 11 in realtà significa “L’Italia ripudia la pace”. La faccia per farlo ce l’hanno.
Nessun commento:
Posta un commento