Così chi vende armi starà più sereno
FINCHÈ C’È GUERRA - Con il Ddl 855 il governo rende opachi i controlli richiesti dagli organismi internazionali e cancella anche la trasparenza. In questo modo le banche potranno far affari senza turbare troppo i propri clienti
DI ALINA CARROZZINI
(Docente di Diritto Europeo, Vrije Universiteit Amsterdam)
“Piú armi per tutti, piú velocemente e con il favore delle tenebre”. Con queste parole – puntuali e suggestive – il senatore Marton (M5S) ha commentato il disegno di legge 855 di iniziativa del governo contenente emendamenti approvati lo scorso febbraio dal Senato alla Legge 185/1990, riguardanti l’import-export e il transito di materiali di armamento.
Tramite le modifiche – ora sottoposte alla Camera – si vorrebbero promuovere la flessibilità e credibilità dell’Italia in questo ambito. Ma la flessibilità e la credibilità dell’Italia con il ddl 855 non c’entrano nulla: l’effetto della nuova norma, se approvata, sarà solo quello di rendere più opaco e discrezionale l’iter di esportazione degli armamenti. In che modo? Rimuovendo obblighi di trasparenza rispetto alle attività degli istituti di credito; e depotenziando l’attuale apparato tecnico deputato a controllare a chi vengono mandate armi dall’Italia – compromettendo così anche il rispetto degli obblighi internazionali ed europei sottoscritti dall’Italia in questo settore.
Come mai? Evidentemente, l’attuale legge 185 pone troppi ostacoli alla corsa al riarmo. Ne è esempio la scelta del governo Meloni, nel 2023, di fare marcia indietro rispetto alle decisioni del governo Conte 2 (2021), con le quali si revocavano le licenze d’esportazione di armi per Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, visto il loro utilizzo nello Yemen contro la popolazione civile. Decisioni – quelle del governo Conte 2 – con conseguenze diplomatiche pesanti, ma adottate proprio in virtù della legge 185 e gli obblighi internazionali che rappresenta. Obblighi che impongono il diniego di licenze d’export per armi il cui uso può contribuire a violazioni del diritto internazionale o dei diritti umani – come per esempio è appena avvenuto nei Paesi Bassi rispetto al divieto di export di parti di jet F-35 per Israele.
Il dietrofront del governo è sicuramente anche motivato da pressioni politiche ed economiche sull’Italia: si pensi alla recente istituzione della missione navale Ue “Aspides” nel Mar Rosso (il cui comando è italiano). Una missione creata per difendere il traffico commerciale verso il Canale di Suez – al momento compromesso dagli Houthi, milizie Yemenite supportate, sì, dall’Iran, che però attaccano il traffico per Israele nel Mar Rosso in reazione ai bombardamenti nella striscia di Gaza. Insomma, garantire il diritto internazionale ci costa e le armi servono a difendere i nostri interessi commerciali e strategici. Così il governo Meloni si appresta a indebolire questo sistema di controllo. Altrimenti non ci si spiega perché, nel contesto del voto, il Senato abbia votato contro emendamenti che menzionavano gli obblighi internazionali che l’Italia ha sottoscritto nel testo della nuova legge.
Ma cosa prevede il ddl?
1) Piú discrezionalità sulle valutazioni. Al momento, l’autorità competente per il rilascio di licenze per import-export di armi è l’UAMA (l’Unità per le Autorizzazioni dei Materiali di Armamento), in seno alla Farnesina (art. 7bis legge 185). Con queste modifiche, l’UAMA sarà affiancata dal Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD), già previsto dalla legge 185 ma soppresso nel 1993 per semplificare l’attività di governo. Il CISD, reintrodotto all’art. 6, definirà gli indirizzi generali per le politiche di scambio, import ed export di armi – competenza per ora attribuita alla Farnesina dall’art. 7ter (ora abrogato). Sviluppo positivo? Non proprio. Sebbene il CISD sia tenuto a considerare gli obblighi internazionali sottoscritti dall’Italia, rimane un ente politico (composto dal presidente del Consiglio e da ministri), che non sarà supportato dallo stesso ramo tecnico: sono abrogati sia l’Articolo 7(3), che prevedeva che il Comitato Consultivo che formula pareri per la Farnesina sulle richieste di autorizzazione si potesse avvalere di consulenze tecniche di esperti; sia l’articolo 8, che stabilisce l’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento, che reperisce informazioni e formula pareri sulla conversione a fini civili di questi materiali. Ma non solo: spariscono le Ong come fonti d’informazione sul rispetto dei diritti umani a cui il CISD poteva far riferimento nelle sue valutazioni – cosa prevista nella versione del 1990.
2) Più opacità sui flussi finanziari. La flessibilità ricercata dal Governo viene facilitata da una cortina oscura che cala sulle banche. Per ora la legge 185 obbliga il presidente del Consiglio a presentare una relazione annuale al Parlamento riguardante le operazioni svolte nell’ambito della legge 185. Se così non fosse, verrebbe meno il sistema multilaterale di controllo dei materiali d’armamento creato dagli obblighi sottoscritti dall’Italia: la trasparenza é imposta dalla direttiva 2009/43/CE (sul transito di prodotti di difesa) e dalla Posizione Comune 2008/944/PESC (che introduce norme comuni sull’esportazione di armi e tecnologie militari). Con l’abrogazione dell’art. 27(4), si introdurrà però il segreto bancario: le attività degli istituti di credito operanti nel territorio italiano non saranno più oggetto di questo rapporto annuale: non si saprà più quali banche siano attive nel settore della difesa e commercio d’armi, né il loro ruolo al riguardo. Modifiche allarmanti anche perché lo Stato è attivo in questo ambito: il Mef è il maggior azionista di Leonardo, l’impresa italiana di vertice per la produzione delle armi. In virtù di ciò – come sottolineato dal senatore Magni (gruppo Misto/Avs) – il ddl 855 avrebbe dovuto incrementare il controllo parlamentare in questo ambito, non diminuirlo.
Dal dibattito in Senato emerge che questa modifica potrebbe rispondere al disappunto dell’AIAD (la Federazione Aziende italiane per l’Aerospazio la Difesa e la Sicurezza, di cui il ministro Crosetto era a capo fino a due anni fa), che lamentava “difficoltà a ricevere finanziamenti da parte delle banche, temendo un danno d’immagine se menzionate nel rapporto”. Lo scorso luglio, Crosetto aveva infatti criticato la legge 185 in quanto “ingabbiante” poiché sarebbe “un freno ad una attività industriale che è chiamata ad operare in un contesto internazionale molto competitivo”, criticando le “banche etiche” che “decidono di chiudere i rubinetti ad attività del tutto legali”.
Si cercherebbe dunque di venire incontro – a costo della trasparenza – alle necessità dell’industria. E questo si potrebbe forse rilevare da quanto detto dal Senatore Zanettin (FI) durante il voto sul ddl 855: “si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra). Non dimentichiamoci però che l’articolo 11 della nostra Costituzione ripudia la guerra, e che l’affondo alla trasparenza e alla legalità non rispondono al bisogno di una corsa alle armi, bensì a quello di celarne le conseguenze.
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