venerdì 22 marzo 2024

Attorno alla Ducetta


Meloni diventa buffona per nascondere la fuffa
DI DANIELA RANIERI
Al Fatto abbiamo assoldato un pool di medium per evocare l’anima di Umberto Eco e farci spiegare direttamente da lui a quale strategia politica possano mai rispondere la prossemica insulsa e l’eloquio dozzinale di cui si è resa protagonista Giorgia Meloni l’altro ieri alla Camera, incomprensibili persino con questi chiari di luna di dignità e di decoro.
Chissà se Meloni consulta qualche sondaggista o si fa bastare sua sorella Arianna per definire il piano per recuperare i voti popolari, piano che, come s’è visto, consiste nel fare la buffona nelle sedi istituzionali. Avendo fatto carriera sul contrario della temperanza e del buon gusto, ed essendo costretta ultimamente ad accompagnarsi con l’azzimata Von der Leyen piuttosto che con i camerati del Colle Oppio (i quali cantarono in lei il “coatto antico nel corpo da bambina”), è comprensibile che l’asserita underdog cerchi di ribadire la sua distanza dal “palazzo” e le sue origini modeste, a garanzia di uno stile di governo immune dalla mollezza decadente e affettata dei poteri forti. Può anche darsi che ci sia qualcuno, tra i suoi ex elettori, che si sganascia dal ridere e dunque la rivaluta politicamente, sentendola chiamare “ragazzi” gli onorevoli parlamentari e vedendola recitare tutta la sequenza delle faccette beffarde, degli ammiccamenti gaglioffi, delle risatone sarcastiche e dei gesti popolareschi mentre parlano Conte e Bonelli, così da distogliere l’attenzione generale dalle loro accuse; magari proprio tra quei poveri a cui ha tolto il Reddito di cittadinanza (contrariamente alle fandonie raccontate dai giornali padronali, infatti, il partito più votato dalle persone in difficoltà economica non è stato il M5S grazie al “voto di scambio”, ma Fratelli d’Italia) o tra coloro che si stavano giusto accorgendo che mentre gli ospedali e la Sanità pubblica collassano, la spesa per il riarmo aumenta allegramente.
Stante l’incontrovertibile fatto che Meloni non è una povera stupida e dunque non gode di attenuanti come invece molti suoi colleghi, a vederla gigioneggiare a quel modo evaporano nel nulla tutti i bei discorsi sulla “fuoriclasse”, sulla “tigre della comunicazione” sulla “nuova Merkel” o a scelta “nuova Thatcher” (stra-citata dalla stessa Meloni, che forse ignora che l’epiteto più dolce riservato a Maggie dagli inglesi era “ladra di latte” perché la signora aveva tolto il latte gratuito nelle scuole ai bambini poveri sopra i 7 anni) e sul tetto di cristallo sfondato, se poi la prima presidente del Consiglio donna, che ridicolmente si fa chiamare con l’articolo maschile distruggendo la bella lingua d’Italia di cui si dice patriota, si comporta come un leghista di quarta fila al consiglio comunale di Cazzago Brabbia. Pare che paradossalmente sia proprio il genere a concederle quello che il genere dovrebbe impedirle: degradare la propria persona pur di sminuire un avversario, non curandosi al contempo di squalificare l’istituzione che dovrebbe servire. Salvini a torso nudo al Papeete resta un iconico non minus ultra del decoro di un politico, ma era in uno stabilimento balneare, e poi era Salvini. Quando Renzi in Senato tenne il discorso di insediamento con le mani in tasca, ai raziocinanti sembrò quel che in effetti ha poi dimostrato di essere: un guascone che avrebbe portato rogne (ai fanatici della post-politica piacque invece moltissimo, per gli stessi motivi). Ricordiamo piuttosto quando un ritardo di 20 minuti di Conte alle conferenze stampa sulle misure contro la pandemia (con mille morti al giorno e 60 milioni di persone da chiudere in casa) era per i giornali d’establishment un’inaccettabile “mancanza di serietà”, anzi un “vulnus democratico” come e più dei Dpcm, uno “show” e un “Grande Fratello” che scompaginava le dirette dei tg e costringeva i giornali a deprecabili dilazioni: uno sgarbo istituzionale, insieme alla pochette, che i nostri editorialisti non gli hanno mai perdonato (ancora ieri su La Stampa, pur biasimando bonariamente lo stile macchiettistico della Meloni, si disapprovava la persistente pochette di Conte).
La comicità da Bagaglino della Meloni distrae dai fallimenti del suo governo di pericolose macchiette: voluttà di guerra, Sanità allo sfascio, favori agli evasori, famiglie sul lastrico. Meloni senza nemici non esiste: un giorno è Saviano, un giorno è la Ferragni, un altro sono i pericolosi quindicenni pro-Hamas, talvolta è chi dall’opposizione le ricorda che una volta era sovranista e populista e adesso è un’atlantista anti-popolo.

Ps. Ha risposto l’anima di Umberto Eco: dice che di solito i politici cercano di coprire con parole nobili le verità disonoranti (o, come faceva Renzi, di intortare l’interlocutore con una nube tossica di fallacie, slogan, calembour); Meloni invece abbassa ancora di più, se possibile, il livello della forma, così che la sostanza appaia al confronto tutto sommato decente. 

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