Fuori i bimbi, dentro chi paga. Il museo bipartisan di Firenze
LA CITTÀ “SPREMI IL TURISTA E BASTA” - Quale cultura? Gli Uffizi di Schmidt e i musei targati Pd sono stati governati nello stesso modo per essere abbandonati al mercato: le scuole non sono gradite
DI TOMASO MONTANARI
Se davvero sarà l’ex direttore degli Uffizi Eike Schmidt a guidare la destra fiorentina contro la candidata del renzianissimo Pd fiorentino, sul piano della politica del patrimonio culturale si tratterà di un derby in famiglia. E non solo perché Schmidt reca impresso il “bacio della morte” che gli dette Dario Franceschini scegliendolo come uomo-simbolo della sua scellerata riforma dei musei (quella che Gennaro Sangiuliano continua ad attuare entusiasticamente), ma anche perché (al di là delle schermaglie di potere) gli Uffizi di Schmidt e i musei comunali di Nardella sono stati governati nello stesso modo: malissimo. Questo “modello Firenze”, che unisce destra-destra e sinistra-destra, prevede che i musei siano visti, e gestiti, come “macchine da soldi” (parole con cui Renzi sindaco illustrò il suo progetto per gli Uffizi), e dunque abbandonati al mercato e al turismo intensivo che ha fatto sparire Firenze come città.
La conseguenza è che i fiorentini sono espulsi dal loro patrimonio, e che la prima relazione a saltare è proprio la più vitale, democratica e carica di futuro: quella con la scuola. Le scuole, nei musei fiorentini, non sono oggi ospiti graditi.
Nei musei (comunali e statali) non sono ammessi gruppi più grandi di 15-20 persone: il che non permette la visita a una classe media. E i musei più frequentati, come gli Uffizi, accolgono prenotazioni per gruppi scolastici di sole 15 persone ogni 30-45 minuti. Dividere una classe in due gruppi a 45 minuti di distanza significa dover utilizzare due guide, uscire con 4 o 6 docenti e non poter spiegare le stesse cose a tutti, lasciando un gruppo ad attendere per strada per tre quarti d’ora. E per di più i musei rendono obbligatorio l’uso degli auricolari, che costano 1,5 euro l’uno e impediscono una vera lezione collettiva con i bambini. E, d’altra parte, non si può più far sedere educatamente per terra, a gambe incrociate e davanti alle opere, i bambini piccoli: perché “non è decoroso”, e perché i turisti non possono farsi selfie davanti ai quadri. A saltare è dunque quella relazione sentimentale – tra corpi, collettività, spazio museale e opere – la cui costruzione è di gran lunga più importante delle poche parole appiccicate ad ogni quadro visto. Alcuni (il Museo del Novecento, per esempio) aprono la mattina alle 11: ma i bambini della primaria alle 12.30 al massimo devono essere a mensa! Nelle chiese ormai musealizzate (alcune dello Stato ma date in gestione al Comune) si paga anche sopra gli 11 anni (6 euro a bambino!). A Palazzo Vecchio le prenotazioni dalle 9.45 alle 12.00, e dalle 14 alle 15.30 (le sole utilizzabili dalle classi della scuola primaria) da quest’anno sono riservate a coloro che fissano percorsi a pagamento con MuSE, la cooperativa renziana che gestisce le attività educative nei musei civici. E siccome per fissare il pulmino comunale e per avere il permesso di uscita dalla scuola serve indicare una data certa e un luogo certo da visitare, non si può neanche uscire di scuola per tentare la fortuna di accedere senza prenotazione nel palazzo di tutte e tutti.
Tanti anni fa, una anziana insegnante mi raccontò come il padre, contadino anarchico mugellano, ogni domenica mattina si mettesse il vestito della festa, caricasse la figliola sul calesse e la portasse non alla messa, ma agli Uffizi, dicendole: “Sono tuoi, e sono sacri”. Qualcosa di non molto diverso l’ha scritto Antonio Tabucchi, rivolgendosi proprio ai giovani fiorentini: “Mio zio mi prendeva per mano, e mi faceva camminare nel corridoio del Vasari. Questo è un luogo sacro, mi diceva, ricordatelo bene”.
L’articolo 3 della Costituzione affida alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”. Il patrimonio storico e artistico della nazione (menzionato – caso unico al mondo – tra i principi fondamentali della Carta) è precisamente uno degli strumenti che permettono di rimuovere quegli ostacoli. Ebbene, pensate ai bambini fiorentini che appartengono alle famiglie dei nuovi italiani: ospiti tollerati a stento nella città del lusso, e che proprio nella scoperta che i famosi musei di Firenze appartengono anche a loro potrebbero trovare una qualche fiducia in un futuro di giustizia e inclusione. È a questo che dovrebbero servire i musei: alla costruzione di una nuova coesione sociale, non ad alimentare un turismo di puro, rapacissimo, consumo. Ma mentre i musei di Nardella tenevano fuori le scuole, gli Uffizi di Schmidt diffondevano le foto di Chiara Ferragni davanti alla Venere di Botticelli, per “raggiungere i giovani”, trattati come compratori di pandori.
La morale è inquietante: nei musei di Firenze bisognerebbe cambiare tutto, ma visto il pensiero unico che vede il patrimonio non come ossigeno, ma come petrolio, il rischio concreto è che, chiunque vinca le elezioni, non cambi nulla.
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