martedì 12 dicembre 2023

Attorno agli sciagurati

 

Te ne vai o no
di Marco Travaglio
Conte chiede alla Meloni di far dimettere Santanchè, Delmastro e Sgarbi. La Santanchè risponde con una risata e un bacio. Sgarbi dice parole a caso: “Conte, prima di parlare delle mie consulenze, si occupi delle sue: da Retelit ad Acqua Marcia” (perfettamente lecite e risalenti a quando Conte faceva l’avvocato, prima di chiudere lo studio nel 2018 quando divenne premier e mai più riaprirlo da leader 5S, mentre Sgarbi continua a incassare soldi da privati mentre è – o proprio perché è – sottosegretario). Crosetto, chissà perché, si sente chiamato in causa anche se nessuno lo nomina e perde un’altra occasione per tacere: “Io sono un garantista da sempre anche con gli avversari. Delmastro è stato rinviato a giudizio con la richiesta del pm di non rinviarlo a giudizio, il che mi dà l’idea di come potrebbe andare a finire (per il noto garantista il pm conta più del giudice, ndr). Santanchè non mi pare abbia nulla sul piano giudiziario (è solo indagata per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio, ndr). Su Sgarbi non mi pare ci sia nulla di giudiziario (a parte una condanna definitiva per truffa allo Stato, due indagini appena chiuse per sottrazione fraudolenta e per esportazione illecita di un quadro, ndr). Quindi bisognerebbe dimettersi per articoli di giornali amici di Conte? Ha una bella idea di democrazia…”. In effetti nelle democrazie – a lui ignote – ci si dimette anche per articoli di giornale, se i fatti sono gravi e certi: vedi Nixon sul Watergate svelato dal Washington Post.
Perciò pensiamo che Conte abbia torto su Delmastro: il livello di segretezza del documento passato a Donzelli è ancora controverso e comunque era già noto alla stampa. Invece Conte ha ragione su Santanchè e Sgarbi: per quanto è emerso dalle indagini giudiziarie e giornalistiche (le nostre), dovrebbero andarsene subito. Non tutti i pubblici ufficiali indagati o imputati o condannati in via provvisoria o inchiodati dalla libera stampa devono dimettersi: dipende dai fatti accertati e dalla loro compatibilità con la “disciplina e onore” imposti dalla Costituzione. E la compatibilità devono deciderla, con spiegazioni pubbliche e criteri trasparenti uguali per tutti (amici e nemici), i leader di governo e di partito: assumendosi la responsabilità e le conseguenze di una cacciata o di una difesa. Nel 2019 Conte era premier e si scontrò con Salvini mettendo alla porta il suo fido sottosegretario Siri: non perché era indagato, ma perché emergevano rapporti col socio di un prestanome di Messina Denaro. Subito dopo, il viceministro leghista Rixi fu condannato in primo grado per le spese pazze in Liguria e si dimise sua sponte. Poi fu assolto e ora è di nuovo viceministro. Persino l’Italia, dal 2018 al 2021, è sembrata una democrazia. Poi ha smesso.

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