martedì 1 agosto 2023

Domani ricorderemo

 

“Una strage fascista” La verità su Bologna che imbarazza la destra di governo
Domani è prevista la commemorazione del quarantatreesimo anniversario della strage della stazione in cui morirono 85 persone. Meloni non parteciperà Per il governo ci sarà il ministro Piantedosi
I processi hanno confermato la responsabilità dei neo fascisti. Ma gli eredi del Msi parlano ancora di “pista palestinese”
DI STEFANO CAPPELLINI
Come tutte le stragi commesse in Italia, anche quella alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 è stata presto seguita da tentativi di depistaggio e di falsificazione politica. La differenza è che grazie a più processi, alcuni dei quali ancora in svolgimento, è da molto tempo possibile ufficialmente associare a questa strage un aggettivo: fascista. Così c’è scritto anche sulla lapide commemorativa in stazione, dove domani sarà ricordato il quarantatreesimo anniversario: strage fascista. La verità, a molte e molti, non è mai andata giù.
Una parte della destra italiana, oggi al potere, non ha mai accettato che la mattanza di 85 persone fosse attribuita con doppia verità, storica e giudiziaria, ai terroristi neri e ai loro finanziatori (in uno dei procedimenti il mandante e finanziatore del massacro è individuato in Licio Gelli, il capo della loggia massonica P2, morto nel 2015). Negli anni il tentativo di riscrivere la verità allontanando le responsabilità accertate e partorendo funamboliche piste alternative - una sua tutte, quella palestinese - si è fatto forsennato.
Non era certo il primo, ma il più alto in grado a mischiare le carte su Bologna fu un presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che all’epoca della strage era presidente del Consiglio e due giorni dopo l’eccidio disse: «C’è il timbro fascista». Poco più di dieci anni dopo, dal Quirinale, Cossiga ritrattò pubblicamente: «Non fu una strage fascista – disse – all’epoca fui depistato e chiedo scusa al Movimento sociale». Che era il partito postfascista nel quale all’epoca delle dichirazioni di Cossiga militava ancora minorenne l’attuale premier Giorgia Meloni.
Fu un grande regalo ai teorici delle piste alternative. Perché Cossiga non si limitò a negare la matrice, suggerì l’idea che la strage fosse maturata nell’ambito di una vendetta palestinese contro l’Italia, rea di aver tradito quello che alla storia è passato come lodo Moro. Si trattava di una soffiata insidiosa, perché mischiava un fatto reale – l’accordo negli anni Settanta tra il governo italiano e la resistenza palestinese, che dava via libera all’uso del territorio nazionale per il transito di uomini e armi in cambio della garanzia di non realizzare attentati in Italia – con una fandonia, che ci fosse appunto lo zampino dei palestinesi e delle fazioni politiche di sinistra a loro vicine nella bomba a Bologna. Soffiata insidiosa due volte, perché quando Cossiga parlò non era nemmeno arrivata la condanna in via definitiva per Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, terroristi dei Nuclei armati rivoluzionari, che sarebbero stati giudicati colpevoli in Cassazione per la strage solo nel novembre del 1995. Sono stati recentemente condannati in primo grado in due diversi processi anche un altro ex Nar, Gilberto Cavallini, e un esponente di Avanguardia nazionale, Paolo Bellini, nel filone sui mandanti che ha ricostruito il ruolo di Gelli.

Già sulla condanna di Mambro e Fioravanti ci fu una mobilitazione innocentista, trasversale e affollata.Dopo la sentenza su di loro partì invece una campagna revisionista sempre più forte e subdola. Uno snodo importante fu la circense commissione Mitrokhin, insuperabile esempio di come le commissioni di inchiesta da noi servano per fini paralleli o opposti a quelli dichiarati. Quella sede istituzionale fu infatti usata da Alleanza nazionale, tappa intermedia dei missini prima della fondazione di FdI, per alimentare la tesi della pista palestinese. I dati a sostegno? Tutti falsi o parziali o tendenziosi: si cominciò con la presunta presenza a Bologna nel giorno della strage del terrorista tedesco Thomas Kram, legato al gruppo terrorista internazionale di Carlos lo sciacallo, quindi si accreditò il passaggio in città di Christa Margot Frohlic, sempre legata a Carlos, fatto ancora più fumoso e indimostrato. Infine si cominciò a sostenere che il vero attentatore potesse essere morto insieme alle altre vittime e che i suoi resti non fossero stati identificati perché distrutti dalla potenza dell’esplosione. Non era una ricostruzione originale. L’aveva suggerita anche Gelli in persona, nel libro Parola di venerabile : «Io penso che l’esplosivo fosse stato appoggiato come un comune pacco e che un banalissimo mozzicone di sigaretta buttato a terra ancora accesso abbia generato lo scoppio». Molti parlamentari, quelli di An in testa, condivisero la suggestione di Gelli. Uno di loro, Enzo Raisi, arrivò a identificare un responsabile tra le vittime: Mauro Di Vittorio, un ragazzo vicino a Lotta continua che aveva lasciato la politica attiva ed era finito a fare lavoretti a Londra. Il 2 agosto 1980 era a Bologna per puro caso, ma su di lui è stata costruita negli anni una abominevole narrazione intessuta di menzogne.
Anche tutte le speculazioni sul lodo Moro come movente sono state smentite. Per anni si è favoleggiato sulle carte secretate del capocentro Sismi a Beirut, Stefano Giovannone. Si puntava a dimostrare che in quei documenti c’erano le prove che la strage fosse stata compiuta o commissionata dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina come ritorsione per il tradimento del lodo Moro. Questo perché l’anno prima, a Ortona, alcuni esponenti dell’Autonomia operaia romana erano stati fermati per caso mentre trasportavano su un furgone un missile appartenente ai palestinesi e un membro del Fplp era stato perciò arrestato. Le carte di Giovannone, oggi interamente consultabili, rivelano che alla data della strage, servizi e palestinesi avevano già trovato un accordo per la soluzione della vicenda.
Oggi il partito che più si è speso per cancellare la verità su Bologna è al governo e la sua leader è a Palazzo Chigi. Meloni non sarà a Bologna. Il governo sarà rappresentato dal ministro dell’Interno Maurizio Piantedosi. La speranza è che le parole di Piantedosi non siano quelle usate da Meloni per il quarantesimo anniversario della strage, quando la futura premier disse che erano trascrosi «40 anni senza giustizia».

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