Al confine tra Tunisia e Libia
Quella mamma e la sua bambina morte di sete e stenti nel deserto
DI ALESSIA CANDITO
Il viso affondato nella sabbia, braccia aperte, come di chi crolla senza sapere o avere più la forza di proteggersi nella caduta: la donna è morta all’ombra di un cespuglio rachitico. La piccola le si è accucciata accanto, una mano infilata sotto il corpo della mamma, forse alla ricerca di un abbraccio o di un conforto che non le poteva più dare. Naufragate nel deserto, come tanti in mare, una donna e la sua bambina sono state ammazzate dalla fame, dalla sete, dal caldo impietoso al confine fra la Libia e la Tunisia. E stanno diventando il simbolo dell’ennesima crisi umanitaria sulla sponda Sud del Mediterraneo.
L’immagine che le ritrae come cenci abbandonati è stata diffusa da Refugees in Libya, rete che si sta strutturando sulle due sponde del Mediterraneo. «La politica europea uccide. Le autorità tunisine fanno soldi sui neri africani», denunciano gli attivisti, puntando il dito sui nuovi accordi fra il Paese di Kais Saied e l’Unione Europea, a partire dal memorandum siglato domenica scorsa. «Quando la potenza coloniale Unione Europea si accorda con chi ha venduto la propria coscienza per denaro, questi sono i risultati», tuonano dall’organizzazione gemellaRefugees in Tunisia. Nessun commento da Bruxelles, che ieri per bocca della commissaria agli Affari Interni Ue Ilva Johansson ribadiva: Cartagine è «un partner strategico fondamentale».
Qualcuno tra Cartagine e Sfax ha provato a mettere in discussione quello scatto, ma a confermarnel’autenticità ai microfoni diAl Jazeera è stato il tenente colonnello Khalifa al Senussi, della Guardia di frontiera libica, che il 19 luglio ha trovato i due corpi nella zona di Al Assa, a circa cento chilometri a Sud Tripoli. Da settimane ormai la sua e altre squadre pattugliano il confine con la Tunisia, dove la Garde Nationaleha deportato centinaia, se non migliaia di migranti subsahariani. Sparpagliati in gruppi più o meno numerosi, abbandonati senza né acqua né cibo né assistenza medica, sono in trappola, fra i libici che sbarrano loro il passo e i tunisini che li respingono violentemente quando tentano di tornare indietro.
«Ogni volta che tentiamo di rientrare in Tunisia, loro ci bloccano — spiega Joy, una delle donne bloccate in quella terra di nessuno in un audio inviato per chiedere aiuto — Ci dicono che fin quando dal governo non arriveranno indicazioni, non sono autorizzati a farci passare». Qualcuno ci ha provato. Ci sono stati spintoni, cariche, spari. Non solo in aria. «E qui non c’è assistenza medica, né cibo, né acqua. Neonati e bambini stanno morendo qui, donne incinte, tutti», si sente dire a un uomo, stremato, in un altro audio arrivato ad associazioni e ong che operano in Tunisia, che stanno tentando di raccogliere appelli e richieste di aiuto.
In tutti si racconta di donne, uomini e bambini costretti a sopravvivere a temperature impietose. Di giorno, l’unico modo per resistere — dicono — è stare distesi, limitare al massimo le energie, dimenticare la sete. «Quando qualcuno viene a distribuire l’acqua, un litro lo dobbiamo dividere in cinque», raccontano. Nelle zone in cui qualche scheletrico albero offre ombra, anche quella viene venduta a due dinari a giornata. Di notte, quando le temperature precipitano, ci sono serpenti e scorpioni a non dare tregua. Si fanno i turni, ci si protegge, si tenta di sopravvivere. Si aspetta una risposta, una speranza.
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