giovedì 15 giugno 2023

Trapasso Travagliato

 

Funeral Party
di Marco Travaglio
È un peccato che un giornalista intelligente come Enrico Mentana si associ al racconto demenziale degli “ultimi 30 anni” come “un referendum pro e contro Berlusconi” e dell’“antiberlusconismo” come “il grande male della sinistra italiana”, per concludere che è giunta l’ora della “pacificazione”, specie dopo che la presenza di “Mattarella, fratello di una vittima di Cosa Nostra”, alle esequie avrebbe cancellato le “ombre” di mafiosità dal curriculum di B. Intanto Mattarella può fare ciò che gli pare, ma non siamo noi a dover spiegare perché il fratello di una vittima della mafia celebri un finanziatore della mafia (non in base a “ombre”, ma alla sentenza definitiva della Cassazione su Dell’Utri del 9 maggio 2014): è lui. Se Mentana vuole pacificarsi con qualcuno, faccia pure; noi “antiberlusconiani” non dobbiamo pacificarci con nessuno: stiamo bene dove stiamo e siamo sempre stati. Tantopiù che gli esiti devastanti della carriera politica, finanziaria, imprenditoriale e giudiziaria di B. danno ragione a noi, non a lui.
La parola “antiberlusconismo” non avrebbe alcun senso in una vera democrazia, dove se mai un criminale piduista amico della mafia e in conflitto d’interessi riuscisse a governare incontrerebbe l’ostilità di un fronte trasversale che sarebbe chiamato “opposizione”, “libera stampa”, “pensiero critico”, “rispetto delle regole”, “democrazia liberale”, non “antiberlusconismo”. Il nostro guaio non è solo che qui, salvo sparute eccezioni, tutto ciò è avvenuto senza incontrare ostacoli decisivi. Ma anche che il berlusconismo sopravvive a B., come dimostra il Funeral Party da repubblica sudamericana, dove l’arcivescovo celebrante è molto più critico dei “giornalisti” concelebranti a reti unificate (ma anche la possessione berlusconiana della Meloni, che chiama le tasse “pizzo di Stato” e vuole intitolare al de cuius una schiforma della giustizia persino peggiore delle sue). Perciò l’“antiberlusconismo” non è un “male” da archiviare, ma un altissimo valore etico-politico da mantenere ben saldo. E non c’entra nulla con la “sinistra”. Che non è mai stata antiberlusconiana neppure per un giorno, anzi. Nel 1996 D’Alema garantì Mediaset (“un patrimonio per l’Italia”) con una visita a Cologno Monzese, presenti Confalonieri e il Gabibbo. Poi Prodi batté B., andò al governo e l’Ulivo non lo dichiarò ineleggibile, anche se lo era in base alla legge Scelba n. 361/1957; non fece alcuna legge contro il conflitto di interessi e non applicò la sentenza del 1994 della Consulta che imponeva la vendita di una delle tre reti Fininvest o il suo trasloco da terrestre a satellite; e ogni volta che tornò al potere perseverò, riuscendo a non cancellare una sola delle 60 leggi ad personam di B..
Nel ’97 promosse B. a padre costituente nella Bicamerale, mentre fioccavano le prime tre condanne in primo grado. Il ministro Maccanico prorogò sine die le frequenze a Rete4, che aveva perso la concessione su terrestre. Il 28.2.2002 il capogruppo Ds Luciano Violante se ne vantò alla Camera: “L’on. Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994… – che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’on. Letta… Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto d’interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni… Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte!”. Era la parafrasi seria dello sketch di Corrado Guzzanti nei panni di Rutelli: “A Berlusco’, ma perché cell’hai co mme? Ma io sto a lavora’ per te! Mannaggia l’ingrato, ahó! So’ cinque anni che te portamo l’acqua co’ le recchie! … Manco t’avemo toccato le televisioni… D’Alema ’a prima cosa che fa è annà a Mediaset a di’ che è ’na grande industria culturale e che te sei ’n grande statista europeo, e pubblica tutti i libri co la Mondadori… Er Paese nun è de destra e manco de sinistra: er Paese è de Berlusconi!… Berlusco’, se vinci ricordate de l’amici! Ricordate de chi t’ha voluto bbene!”.
Prodi tornò al governo nel 2006 e ancora una volta B. non ebbe nulla da temere sulla giustizia e sulle sue tv, presidiate da Paolo Gentiloni, grande amico di Confalonieri, che alla Ue difese addirittura la legge Gasparri contro Europa7. Poi nacque il Pd di Veltroni, che teorizzò la pacificazione con B., gli propose le “grandi riforme insieme” e in campagna elettorale non lo nominò mai per non disturbare (“il principale esponente dello schieramento avverso”). Infatti vinse B., a colpi di anticomunismo fuori tempo massimo. Nel 2011 il Pd era così antiberlusconiano che entrò con B. nel governo Monti e nel 2013 se lo portò nel governo Letta. Renzi completò l’opera del Caimano col patto del Nazareno sulla schiforma costituzionale ed elettorale, abolì l’articolo 18 e provò pure a depenalizzargli la frode fiscale per cui era stato condannato e cacciato dal Senato. Furono i 5Stelle, nel governo Conte-1, a cancellare le prime leggi vergogna con la Spazzacorrotti e la bloccaprescrizione di Bonafede. Perché l’“antiberlusconismo” è sempre rimasto confinato in una ristretta cerchia di giornalisti e intellettuali (spesso di destra liberale, come Montanelli e Sartori), nei movimenti dei Girotondi, del Popolo Viola, di “Se non ora quando” e infine di Grillo. Se la cosiddetta sinistra ne fosse stata contagiata almeno un po’, in questi tre giorni le tv e i giornali ci avrebbero fatti sentire in Europa, non in Sudamerica.

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