Un luogo ideale per trasmettere i miei pensieri a chi abbia voglia e pazienza di leggerli. Senza altro scopo che il portare alla luce i sentimenti che mi differenziano dai bovini, anche se alcune volte scrivo come loro, grammaticalmente parlando! Grazie!
venerdì 30 giugno 2023
Eccolo!
Premier nervosa
L'Amaca
Demaniale
Proprietà e popolo Cosa dice la Carta e cosa fanno i governi
IL DISASTRO DELLE PRIVATIZZAZIONI - Il patrimonio dello Stato. L’articolo 42 della Costituzione assegna il Demanio alla “totalità” dei cittadini, perciò non dovrebbe esser dato in “gestione” ai privati
di Paolo Maddalena
La situazione economica italiana è in continuo peggioramento. Solo per fare qualche esempio, può ricordarsi che, secondo le statistiche ufficiali del 2022, i “poveri assoluti” sono circa cinque milioni e seicentomila persone, mentre sempre più carenti sono i servizi pubblici essenziali, specie quelli della sanità e della pubblica istruzione. Di questo si parla poco nei media, i cui programmi riguardano, di solito, ben altre cose, e soprattutto se ne parla poco tra la gente.
La causa di questo oscuramento delle coscienze è da ricercare, a mio sommesso avviso, nel predominio del pensiero economico unico dominante del neoliberismo, diffusosi in tutto il mondo occidentale attraverso una continua e battente propaganda, che ha indotto le menti di ciascuno a considerare l’economia del libero mercato come un dato di fatto irrefutabile e irrinunciabile, al quale non resta che assoggettarsi passivamente. È invero un pensiero balordo, poiché, come è da sempre noto, in economia il pesce grosso mangia il pesce piccolo, e avventurarsi in un mercato senza nessuna protezione di salvataggio, è pura follia. Lo si è sempre saputo e non si può fare a meno di ricordare che Gaio, giurista romano del secondo secolo dopo Cristo, pone come presupposto dell’esistenza di una sana economia la necessità della divisio tra le res extra commercium in proprietà pubblica del Popolo romano (e pertanto, inalienabili e inusucapibili, in quanto destinate all’uso gratuito di tutti), e le res in commercio, che potevano essere liberamente gestite da ciascuno. Questo perché Roma, sostanzialmente come la nostra Repubblica, era una “comunità” a fini generali, nella quale la ricchezza prodotta dal “territorio” doveva essere messa a disposizione del Popolo in modo da assicurare il miglior livello possibile di vita.
Contro questo dato innegabile, e facendo leva sull’oscuro concetto di “globalizzazione” (che i recenti eventi bellici sembrano porre in discussione), Milton Friedman della Scuola di Chicago, nel 1960, pubblicò un libro dal titolo Storia della moneta americana dal 1867 al 1960, che fece il giro del mondo, arrecando dappertutto danni immensi, con il quale affermò che: “L’essenza dell’ordine del mercato non sta nello scambio, ma nella concorrenza”; il suo obiettivo non è soddisfare i “bisogni individuali”, ma “il massimo profitto” del singolo; la ricetta per raggiungere detti fini è la seguente: a) deregulation; b) privatizzazione; c) riduzione delle spese sociali. Come agevolmente si può capire, una rovina per il popolo intero.
A questa teoria si ispirò Mario Draghi, il quale, dopo che già nel 1990 erano state privatizzate tutte le nostre banche pubbliche, il 2 giugno 1992, sul panfilo Britannia, con a bordo cento delegati della City londinese, chiese un forte aiuto politico per privatizzare l’intero complesso industriale e commerciale italiano, facendo in modo che i governi che si susseguirono da quella data privatizzassero i nostri Enti pubblici economici e le relative Aziende pubbliche. “Oggi, oltre 30 anni dopo, abbiamo il record di debito pubblico: 2.755 miliardi; l’Ocse certifica che l’Italia ha dal 2001 la più bassa produttività assoluta tra i Paesi industrializzati (secondo Eurostat in 20 anni di euro la produttività italiana è calata del 5%) con i redditi reali diminuiti del 3,8% a fronte di un aumento del 50% della Germania, e i salari più bassi dell’Ocse. Infine, secondo Bloomberg, tra il 1985 e il 2001, il Pil italiano è cresciuto del 44%, pari a 482 miliardi di euro. Nei successivi 20 anni – fatte le privatizzazioni – la crescita è stata del 2%, per 31 miliardi”. E si potrebbe continuare.
Un rimedio tuttavia esiste e riguarda sia i giuristi, sia i politici. Per quanto riguarda i giuristi, dico subito che, in generale, essi, nel passaggio dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana, non si sono accorti che la “forma di Stato” era cambiata, per cui si era passati da uno Stato “soggetto singolo”, la Persona giuridica Stato, a uno Stato “soggetto plurimo”, lo Stato Comunità e cioè il Popolo. Per cui sono mutate anche le forme di appartenenza, che nel primo caso, trattandosi di un soggetto individuale”, era la “proprietà privata” (anche se talvolta era chiamata “pubblica” per la natura pubblica del proprietario), mentre nel secondo caso, trattandosi di un “soggetto plurimo”, la forma di appartenenza è diventata quella della “proprietà pubblica”, come molto chiaramente si legge nell’art. 42 Cost., comma 1, primo alinea, secondo il quale “la proprietà è pubblica o privata”, intendendo la prima originaria e illimitata, e soggetta a limiti intrinseci ed estrinseci la seconda.
Si è trattato di un errore grave. Infatti, nel cogliere la reazione popolare contro le privatizzazioni (si ricordi il referendum contro la privatizzazione dell’acqua del 2011), la Commissione Rodotà, che tanto ha parlato dei “beni comuni”, ha finito per concepire questi come oggetto anche di “proprietà privata”, addirittura proponendo, nel disegno di legge delega appositamente preparato, l’abrogazione del “Demanio”, proprio di quell’istituto che l’Imperatore Federico II aveva creato con il Liber Constitutionum, emanato a Melfi nel 1231, per contrastare l’appropriazione privata e riportare nel suo dominium eminens quei beni di rilevante interesse pubblico, come le strade (diventate a pagamento), i fiumi, i porti, le rade, le spiagge, i palazzi di gran valore, ecc., che erano caduti, nel corso dei secoli, nel dominium utile dei singoli, e sottratti all’uso pubblico, che l’Imperatore riuscì a ristabilire.
Un altro disegno di legge, comunque, è intervenuto in proposito, quello presentato in Senato il 12 maggio 2022, n. 2610, dalla senatrice Paola Nugnes e altri, che fa luce sui “beni comuni”, giustamente considerandoli in “proprietà pubblica demaniale”, alla pari degli altri “beni pubblici” (del resto, anche l’aggettivo “comune” induce a ragionare in questo senso) . Ed è da sottolineare che la “proprietà pubblica”, appartenendo, per disposizione costituzionale (art. 42 Cost.), al popolo nella sua “totalità”, non può essere concessa in “gestione” a singoli, poiché ciò comporterebbe una “scissione” tra “titolarità astratta” del diritto e “contenuto concreto” del diritto stesso, come avviene per la proprietà privata, quando il proprietario riserva a sé la “nuda proprietà” e conferisce ad altri “l’usufrutto”. Dunque, la “gestione” di “beni pubblici” non può che essere affidata a “soggetti pubblici”, idonei a perseguire realmente interessi pubblici. E altrettanto vale per i “servizi pubblici essenziali” e le “attività” relative a “fonti di energia” o a “situazioni di monopolio, che l’art. 43 Cost. considera “proprietà pubblica” o di “comunità di lavoratori o di utenti”.
Insomma, come si nota, i confini del “demanio civilistico” appaiono nettamente superati ed è arrivato il momento di parlare di un nuovo e aggiornato “demanio costituzionale”.
giovedì 29 giugno 2023
Nano
Vive nel suo mondo dorato, si vanta di essere un imprenditore, di stipendiare centinaia di persone. Gli piace da morire questo mondo malevolo con un'inaudita forbice sociale che arricchente sempre di più pochi a scapito della maggioranza degli umani. Questa società che arranca per arrivare a fine mese ma che convive con riccastri che si possono permettere di stappare bottiglie da migliaia di euro nei suoi locali.
Università che orrore! Lo studio infatti molte volte apre la mente. E come si potrebbe vivere come lui vorrebbe se molti si svegliassero?
Chi apparecchierebbe al Billionaire? La sua amichetta del cuore Garnero in Santa(de)chè?
Eccezione
Per bastardi come Bellini, responsabile della strage alla stazione di Bologna, fascista della malora, ammetto che farei un'eccezione sulla democratica convinzione che la pena di morte debba essere abolita ovunque. Un'eccezione non guasterebbe il concetto.
La Strada
Su Santadeché
Pochi amici e trappole la trincea della ministra che odia le domande e si prepara a resistere
DI STEFANO CAPPELLINI
Nei giorni successivi alla nomina a ministra del Turismo, lo scorso autunno, Daniela Santanchè era raggiante. Ai suoi collaboratori ripeteva convinta di essere decisa a cambiare, se non proprio vita, almeno immagine: «Non vedrete più la vecchia Santanchè, basta vestiti esuberanti, basta tv, ora sobrietà, sobrietà, sobrietà». Si dice ci siano sempre un centinaio di imprevisti capaci di mandare all’aria anche il piano o il proposito meglio congegnato e che bisogna essere un genio per prevederne al massimo il venti per cento: difficile dire quanti ne avesse messi in conto Santanchè ma ne sono spuntati parecchi.
All’inizio della legislatura, in effetti, la ministra ha quasi smesso di andare nei talk show né ha più scomodato dagli armadi gli abiti compresi nello spettro cromatico, poco armo, dal fucsia al verde. Poi, però, è scoppiata la polemica per la campagna pubblicitaria “Open to meraviglia”, quella con la Venere del Botticelli influencer, e già lì è venuto meno il fioretto sulle apparizioni televisive, poi sono cominciati gli sfottò ed è saltata la continenza istituzionale, infine Report ha rimesso in fila impicci e imbrogli delle aziende di famiglia ed è quasi crollato tutto. Ora il mantra della ministra è un altro: resistere, resistere, resistere. Resisterà?
Nel nervosismo che Giorgia Meloni ha mostrato nelle ultime occasioni pubbliche il caso Santanchè ha una robusta quota di causalità. Meloni sa bene che un conto è blindare Donzelli e Delmastro in un vicenda, come il caso Cospito, nel quale tre quarti degli italiani facevano fatica a comprendere anche la materia del contendere, altro è legarsi mani e piedi alla tutela di una ministra in una storia dove, in attesa di eventuali sviluppi giudiziari, le questioni sono elementari: aziende spolpate e sull’orlo del fallimento, azionisti lasciati in braghe di tela, fornitori non pagati e messi in ginocchio, lavoratori licenziati e ancora in attesa del tfr. Pure gli alleati della maggioranza non paiono schierati a testuggine. Ieri la Camera ha approvato un ordine del giorno del Pd, su cui ha dato parere favorevole il governo, che chiede sanzioni per le aziende che hanno usato in modo fraudolento la cassa integrazione Covid, citando proprio la Visibilia di proprietà della ministra. Santanchè ha fatto buon viso sul parere del governo («Giusto così»), ma i fatti parlano chiaro: nessuno vuole incatenarsi per “Daniela”. Certo non il vicesegretario della Lega Andrea Crippa: «Sono curioso diascoltarla, se poi dovessero evidenziarsi irregolarità o illeciti, è giusto che si prenda le sue responsabilità». Questi sono gli amici. A Santanchè resta il supporto del concittadino cuneese Guido Crosetto, che in una intervista alCorriere della sera ha evocato lo spettro del dossieraggio generalizzato («C’è un dossier su tutti in Italia », le inquietanti parole del ministro della Difesa), la benevolenza di Matteo Renzi, che non vede problemi (Visibilia è concessionaria pubblicitaria del Riformista diretto dall’ex presidente del Consiglio), e soprattutto l’appoggio incondizionato di Ignazio La Russa,nella doppia veste di storico mentore e di attore per ora non protagonista della vicenda, dato che c’è la firma del presidente del Senato, in veste di avvocato di Santanchè imprenditrice, in un paio di documenti che riguardano le traversie delle società in questione. Bello scudo, in teoria. In pratica, negli spifferi parlamentari c’è chi ipotizza che proprio il coinvolgimento di La Russa potrebbe essere il peggiore degli affari per Santanchè, se le sue dimissioni dovessero rendersi necessarie per evitare che il caso si allarghi fino a creare imbarazzi alla seconda carica dello Stato. Poi resta lo staff di Santanchè al ministero, senza più la portavoce Nicoletta Santucci, ex di Lorenzo Guerini alla Difesa, che ha lasciato dopo appena tre mesi di lavoro e non per il caso Report. A guidare la squadra c’è il capo di gabinetto Erika Guerri, magistrato della Corte dei conti, quasi una ministra ombra, quindi il consigliere per i rapporti istituzionali Gianluca Caramanna, plenipotenziario di FdI sul turismo, e l’altra consigliera Luciana Scalzi, uscita dalla scuola di formazione di Denis Verdini. Dalla bolla del suo entourage la ministra trae sempre grande ottimismo: difficile che qualcuno le muova obiezioni.
Mercoledì prossimo è prevista l’audizione di Santanchè, non a caso in Senato e nella forma più protetta possibile, niente question time, solo un’informativa. Così ha deciso a maggioranza la capigruppo di Palazzo Madama. «È lo strumento più adatto per consentire alla ministra di spiegare. Il question time è strutturato in maniera tale che l’interrogato è sempre subalterno a chi interroga», spiega il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. Insomma, Santanchè si sente più a suo agio se non c’è nessuno che le fa domande.
Mieli travagliato
De Masi risponde
L'Amaca
mercoledì 28 giugno 2023
Direttore Comico
Autorevolezza da recuperare
di Matteo Renzi
Il Consiglio dei Ministri ha avviato le procedure per la nomina di Fabio Panetta alla guida della Banca d’Italia. Si tratta della scelta migliore possibile e siamo i primi a congratularci con Giorgia Meloni e con l’intero esecutivo. Si capisce adesso perché qualche mese fa Panetta rifiutò in modo netto la proposta di svolgere il ruolo di super ministro: chi lo conosce sa bene che il suo destino era già indirizzato verso Palazzo Koch.
Il compito che attende il prossimo Governatore è tutt’altro che banale. La BCE, il cui operato Panetta conosce bene avendo trascorso gli ultimi anni proprio a Francoforte, è in una fase molto difficile. Le tensioni internazionali spingono gli istituti centrali a intervenire ma diciamolo chiaramente: Christine Lagarde non è Mario Draghi. L’autorevolezza del nostro ex premier era tale da salvare l’Euro con una frase. La banchiera francese, comprensibilmente, non ha la stessa credibilità e forza. E purtroppo i mercati se ne sono accorti subito. Mentre rimane il dubbio su chi sostituirà Panetta nel board della Banca Centrale, possiamo immaginare che il compito del nominando Governatore sarà reso difficile dunque anche dalle incertezze della finanza europea.
Ma la verità è che i dodici anni di Ignazio Visco hanno minato l’autorevolezza e la credibilità di Banca d’Italia. Sono cresciuto come tutti quella della mia generazione con il mito della Banca d’Italia di Einaudi, Menichella, Carli. Fino ad arrivare alla stagione più recente ma comunque ricca di personalità di livello. Durante le consultazioni per la formazione del Governo – una volta accettato l’incarico con riserva – andai d’accordo col Presidente Napolitano a incontrare il Governatore convinto come ero di poter raccogliere suggerimenti utili per affrontare la guida del Paese. Per quelli come Banca d’Italia ha rappresentato in tanti momenti l’istituzione più forte e più credibile del Paese.
Visco non è stato all’altezza di questa storia, purtroppo. E lo dico senza alcuna difficoltà personale: quando abbiamo collaborato, come nel caso della riforma sacrosanta e storica delle Banche popolari, lo abbiamo fatto con successo. Ma Banca d’Italia nella testa di molti di noi era qualcosa di più di una istituzione burocratica. Banca d’Italia era la scuola di formazione della classe dirigente del Paese, era la nostra ENA, più autorevole di qualsiasi altra istituzione europea, capace di vedere prima i problemi e risolverli con visione e equilibrio. La gestione di Visco purtroppo ha instradato Palazzo Koch sulla strada di una banale mediocrità, senza alcun guizzo e senza quel contributo di qualità con cui Banca d’Italia aveva sempre arricchito il Paese. A Fabio Panetta insieme al doveroso augurio di buon lavoro affidiamo la speranza che possa riportare questa Istituzione laddove merita di stare, nelle eccellenze del Paese.
Ottima visione
Travagliato Figliuolo
L'Amaca
DI MICHELE SERRA
Circola un video (ulteriore) delle milizie cecene che presidiano un ponte con barbe lunghissime e occhi fiammeggianti. Si presta a ogni genere di parodia satirica (ridateci i Monty Python!) ma è purtroppo di bruciante evidenza: ci dice che non è tanto la democrazia, è la modernità a essere messa a repentaglio.
Molte delle notizie di questa guerra rimandano a tempi che precedono non dico i Lumi, ma gli Stati Nazionali. Ci sono i capitani di ventura, gli eserciti mercenari, gli oligarchi che si intestano (quattro amici al bar) la Siberia e il Cremlino, i pope che maledicono il nemico corrotto, i pope dirimpettai che ricambiano. C’è il favoloso Prigozhin, che viaggia con forzieri di banconote e usa lo smartphone come un mitra. E l’opaco Putin, dallo sguardo inesistente, che incarna con perfezione cinematografica l’impassibilità millenaria del potere, che si nutre di carne da cannone, di carceri piene e delle bugie della propaganda: tutto il resto è solo vuoto e morte.
Tutti maschi guerrieri (forse anche Zelensky, che è un attore, è sedotto dal copione), per trovare una donna bisogna aspettare i telegiornali con la speaker che elogia, commossa e patriottica, gli uomini in uniforme, la guerra è, tecnicamente prima che ideologicamente, il gioco del maschio. Le barbe cecene ne sono l’icona, come le stelle filanti a Carnevale.
Non si sa come ne usciranno, non si sa come ne usciremo. Può darsi che la democrazia e la modernità siano state solo l’illusione di un paio di secoli, al massimo tre. Può darsi invece che le milizie cecene saranno sconfitte dai Monty Python: ma è un’ipotesi molto ottimista. Fossi lo sceneggiatore, la scena madre sarebbe che i guerrieri, durante l’assalto, inciampano nelle loro barbe.
martedì 27 giugno 2023
Nell'abisso
Circondato da Maalox e Citrosodina, ieri sera ho guardato la puntata del fantastico Report, una delle poche trasmissioni che onorano la tv, incentrata sullo scandalo autostrade: un coacervo di nefandezze, di sciacalli infami, di marchettari, tutti dediti alla ricerca di un sempre più gigantesco lucro.
Venire a sapere che Castellucci, l'uomo della Famigliola che fa pure i maglioni - boicottatela! Non comprateci più una mazza, portatevi i caffè nel thermos e non entrate dentro i loro autogrill! Sfanculate la famiglia veneta che il giorno dopo il crollo del ponte, festeggiava il Ferragosto nella villona di Cortina!! - prese un premio risultato nell'anno in cui crollò il ponte di Genova, per un importo di 3.700.000 euro, uno schiaffo alla dignità nazionale, e che normalmente riceveva uno stipendio che gli faceva agguantare 14mila euro al giorno, 400mila al mese, 4,8 milioni all'anno, e che quando terminò il rapporto questo ribaldo venne congedato da Autostrade con una buonuscita di 13.125.000 euro, mi fa venire voglia di far minzione ad ogni casello che incontrerò urlando "Benetton vaffanculo!"
E c'è pure dell'altro: i Benetton dal 2010 in poi hanno guadagnato da Autostrade circa 6 miliardi! Sei miliardi gli abbiamo dato, grazie alla concessione aperta da Prodi e blindata dal Mausoleante Disastro Nazionale, che promulgò durante uno dei suoi sciagurati governi una leggina, unica nel suo genere, in cui veniva messo nero su bianco il fatto che nel caso vi fosse stata un'inadempienza contrattuale, anche grave, e la concessione fosse stata annullata, lo stato avrebbe dovuto risarcire i Benetton per tutti gli anni della durata della stessa, che sarebbe scaduta nel 2038!
E per finire ecco arrivare il tanto vituperato Toninelli che molti dileggiarono all'inverosimile: ebbene, fu l'unico a intraprendere la strada per buttare fuori i balordi dalle autostrade; avrebbe voluto annullare la leggina del Pregiudicato in Mausoleo, ed era intenzionato a farlo; solo che cadde il Conte 1 e nel Conte 2 il Bibitaro non chiamò più Toninelli e l'abrogazione delle norma rimase nel cassetto. Così oggi i Benetton hanno ricevuto da Cassa Depositi e Prestiti ben 8,18 miliardi di euro per uscire da Autostrade! Quindi ricapitolando: dopo non aver speso un cazzo in manutenzione grazie a quel ribaldo di Castellucci, ben sapendo che il ponte Morandi era a rischio grave di crollo, dopo essersi rimpinzati allegramente di nostri miliardi di euro, ne hanno presi otto per uscire dalla società Autostrade!
E poi ci vengono a rompere i coglioni se non paghiamo in tempo multe o spazzatura! E ci ammaliano, stordendoci, con nenie e filastrocche sul senso dello Stato, sui doveri del cittadino, su promesse di riduzioni di tasse! Ma vaffanculo!
Nel privato una gestione così miserrima provocherebbe una gragnuola di calci in culo e la riduzione in povertà degli idioti che per ipotesi commettessero una serie così ignobile di pacchianate ai danni della collettività.
Nel pubblico questi gnomi dell'umanità continuano a vivere alla grande alla faccia nostra, e in molti casi sono agevolati all'incensazione quali ottimi governanti.
Aborro l'idea di dimenticare! E spero che Castellucci sia condannato a una grave pena che lo porti in galera per il resto della sua vita di per sé già indecorosa. Ma come in tutte le tragedie nazionali, gli azzeccagarbugli che attualmente sta foraggiando, lo salveranno dalla cella. E chissà che non ce lo ritroveremo prima o poi in politica. Non mi stupirei più di tanto, visto l'andazzo mefitico. Una nazione che non protegge i propri martiri, come quella quarantina assassinata dal crollo del ponte, non è una nazione seria. Né sana.
Daje!
L'Amaca
La crocifissione della realtà
DI MICHELE SERRA
Come si fa a scatenare una polemica contro una cosa mai detta? Non sto parlando di una frase decontestualizzata (sui social la decontestualizzazione è materia prima di molte polemiche), né della distorsione malevola di una cosa davvero detta. Sto parlando di una cosa mai detta, eppure spacciata per detta.
I fatti. In un convegno all’Università Cattolica un vescovo, monsignor Sanchez, citando il Papa, dice che usare la croce come simbolo identitario significa banalizzarla. Dunque è meglio non erigere nuove croci sulle vette alpine. È presente il direttore editoriale del Club Alpino, Marco Albino Ferrari, che si dice d’accordo. È proprio il Cai che ha cura delle croci di vetta e si occupa della loro manutenzione perché “rappresentano un elemento culturale delle nostre montagne che va preservato”. Ma è giusto non aggiungerne altre, in sintonia con l’orientamento della Chiesa.
Come sia possibile che da questo scambio di opinioni sia sortito, su un quotidiano di destra, il titolo “Il Cai è contro le croci”, è un mistero. Ma il peggio è che questo titolo, e altri simili, abbiano indotto un vicepresidente del Consiglio e un ministro a rilasciare le seguenti dichiarazioni. Salvini: “Dovrete passare sul mio corpo per togliere un solo crocifisso da una vetta alpina”.
Santanchè: “Resto basita dalla decisione del Cai di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al ministero”.
Da ridere, ma anche da piangere. Non hanno, Salvini e Santanchè, portavoce e addetti alla comunicazione che li assistano, e li proteggano da se stessi? E più in generale, come accidenti funziona il sistema politico-mediatico italiano?
Normale essere geni!
Il progetto di Università di Pisa e Normale
La batteria quantistica che si ricarica all’istante Così una start up ha reinventato la pila
Questa è una storia che ci porta in un futuro che non abbiamo ancora neanche immaginato: “Nella terra dei qubit”. Un luogo in cui le batterie si caricano quasi istantaneamente. Ed anzi, più sono grandi e prima si caricano. Sono batterie quantistiche che prenderanno il posto di quelle chimiche, consegnando l’invenzione della mitica pila di Alessandro Volta ad un glorioso passato remoto. Questa è anche la storia di una goliardica rivalità che ha improvvisamente cessato di esistere: quella fra i ricercatori di due università pisane, la statale e la Normale, che hanno scelto di unire le forze — in questo caso i cervelli — per provare a cambiare il mondo. Ed è una storia che non sarebbe stata possibile se l’Italia sul fronte dell’innovazione non avesse finalmente battuto un colpo creando gli strumenti — e quindi l’ecosistema — che hanno reso possibile la nascita di una startup che dieci anni fa sarebbe rimasta in un cassetto e invece oggi è una azienda con due milioni e settecentomila euro di investimento appena incassati per realizzare il prototipo che può cambiare tutto.
Questa è la storia di Planckian, un nome che è un chiaro omaggio a Max Planck, uno dei padri della meccanica quantistica; ma “planckiani” sono detti anche alcuni metalli con proprietà che ancora non riusciamo a spiegare. Ecco, diciamolo subito: non vi sentite in colpa se di questa storia non capirete proprio tutto. Del resto un fisico da Nobel come Richard Feynman una volta disse: «Penso si possa tranquillamente affermare che nessuno capisce davvero la meccanica quantistica». Siamo perdonati.
Ma la forza di questa storia invece la capiscono tutti. L’inizio è il marzo 2018, quando sulla più autorevole rivista scientifica di settore, Physical Review Letters , vengono pubblicati i risultati di una ricerca sulle batterie quantistiche. Tra gli autori c’è Marco Polini, rientrato all’università di Pisa, dove aveva studiato, dopo impegni negli Stati Uniti e in Inghilterra. Un cervello di ritorno, lo chiameremmo oggi. L’idea fondamentale, l’intuizione da cui tutto è partito, è questa: «L’invenzione della pila da parte di AlessandroVolta, che ha posto le fondamenta dell’era elettrica, gestisce l’energia sulla base di principi elettrochimici che hanno dei limiti. Il primo è l’esaurimento, in forza del processo di decadimento degli elementi chimici che la compongono. Allo stesso modo, il processo di carica è, in termini assoluti, “lento”, perché vincolato al tempo necessario per lo svolgimento delle reazioni elettrochimiche». Con la fisica quantistica, tutto potrebbe cambiare.
Ora parte la costruzione del prototipo. Ci vorranno due anni per la prima batteria quantistica. Se funziona cambierà il mondo.
Rumiz e il Pronto
Sdraiato su un letto al pronto soccorso ho visto il lato bello della sanità pubblica
Da una barella è più facile apprezzare i pregi di un sistema solidale e democratico sempre più minacciato
DI PAOLO RUMIZ
Per mettere a fuoco un oggetto, a volte è sufficiente cambiare inquadratura. Per capire fino in fondo la trappola del liberismo spinto, basta assumere la posizione supina; lasciare per qualche giorno la tribù dei Verticali ed entrare in barella in un pronto soccorso. In un ingorgo di lettighe in attesa, aspettando il mio turno nell’ospedale di Trieste, ho assistito torcendo il collo allo spettacolo di un esercito di medici, infermieri e personale sanitario sfinito dai turni e travolto da una perenne emergenza, che, nonostante tutto, non mi faceva sentire un numero, si preoccupava di me, mi chiamava per nome senza conoscermi. Una confraternita dell’accoglienza davanti alla quale non ero un cliente ma venivo investito del rango di cittadino avente diritto.
È solo quando ti scopri inerme che capisci. Nel primo camice bianco, verde o azzurro che ti si avvicina, vedi lo Stato nella sua massima espressione, la società di diritto che ci è costata tante battaglie. E quella sera, in pronto soccorso, mentre la presidente del consiglio parlava delle tasse come «pizzo di stato», sentivo crescere in me l’orgoglio patriottico di tenere in piedi, pagando quelle tasse, sistemi che garantivano la civiltà del mio Paese — scuola, strade, sicurezza, ospedali — e la voglia di lottare per difenderli. Ero spiaggiato su una battigia dove la tempesta spingeva centinaia di vite, ma a differenza di un migrante mi sentivo accolto da un presidio di umanità, libertà, equità, solidarietà. Una trincea di resistenza alla liquidazione del welfare, oltre che alla mercificazione della vita.
Dalla mia postazione distesa pensavo: come possiamo essere complici di un simile smantellamento? In poche ore ero stato preso in cura da un affascinante sistema complesso: un laboratorio di analisi che aveva lavorato con controlli di qualità, la Radiologia, l’ortopedico, l’anestesista, il chirurgo, gli infermieri di reparto, quelli di sala operatoria e quelli della recovery room, poi di nuovo il reparto, i fisioterapisti, gli operatori socio-sanitari, gli addetti alla pulizia. Decine di professionisti, spesso mal pagati, talvolta demotivati, che il settore privato convenzionato è pronto a portarsi via in qualsiasi momento offrendo talvolta stipendi migliori.
Ero appena tornato dalla Germania con una pessima sensazione. Ore di ritardi dei treni, coincidenze saltate, aeroporti in tilt: avevo vissuto il crollo di un mito, quello di un sistema trasportistico modello nel cuore del Continente. Amici francesi nel frattempo si lamentavano con me per lettera del collasso di un sistema sanitario pubblico disumanizzato («En France il vaut mieux ne pas tomber malade»), mentre mail sconsolate da Madrid descrivevano scuole a pezzi, con insegnanti aggrediti da genitori o allievi fuori di testa. Il sistema Thatcher, che aveva portato l’Inghilterra alla rovina, trionfava e faceva danni ovunque.
Problemi? Certo che ci sono, riconosce un medico. «Affrontarli in emergenza non aiuta. Alcune rigidità organizzative sono un problema. Un processo di informatizzazione inadeguato che non rende immediato individuare le inefficienze e i rischi e che costringe operatori esausti e frustrati a compilare a penna chili di carte, i cui contenuti non sono poi sempre fruibili. Programmi di miglioramento basati su indicatori parziali e asimmetrici che, partendo dagli effetti finali e non dalle cause, allungano i tempi d’attesa in pronto soccorso o per interventi urgenti».
Il privato accreditato è il diavolo? «No. È complementare, ed è direi indispensabile dentro canoni di monitoraggio costante. Ma non può però essere un’insidia per la sopravvivenza del pubblico, perché è nel pubblico che l’equità e la solidarietà si esprimono sempre. È nel pubblico che l’urgenza e l’emergenza dovranno continuare ad avere risposte qualificate, tempestive, tecnologicamente avanzate in organizzazioni efficienti armoniche serene e umanamente attente».
A volte la solidarietà nella confraternita dei Distesi fa sì che a volte ci sia più sorriso in corsia che fuori. A volte accade che i Verticali che approdano al capezzale dei degenti appaiano dei visitors balbettanti, capaci a malapena di magre parole di circostanza, con un occhio incollato allo smartphone e soprattutto impossibilitati a immaginare se stessi malati, distesi a loro volta su un lettino e quindi capacissimi (come è accaduto in Lombardia e Friuli) di rivotare i demolitori della sanità pubblica pronti ad alzarsi gli stipendi e a finanziare iniziative megalomani tagliando la spesa corrente.
lunedì 26 giugno 2023
Possibile?
E quindi ci vorreste far credere che il mondo è restato col fiato sospeso perché un bandito irrorato di potere da un assassino ha deciso di puntare la prua dei suoi scagnozzi verso Mosca?
Che questo brigante avrebbe potuto dar scacco matto all'umanità?
Perché una cosa è chiara: ci sono seimila, forse 9mila, testate nucleari in Russia. E se cadesse l'assassino potrebbero finire in mano a nani barbari che non avrebbero nessuna remora a farne esplodere qualcuna.
Perché questo mondo così prossimo alla distruzione, tanto impegnato nello spionaggio, è vulnerabilissimo come mai nessun'altra epoca lo fu.
Sarà stato il pazzo ad innescare l'ex cuoco per saggiare la fedeltà dei suoi generali, oppure il bandito credeva che i militari lo avrebbero appoggiato. Non ha importanza.
Quello che lede la nostra intelligenza è vedere uno stato enorme che si credeva impenetrabile, titanico, finire in mano a dei ballerini della ragione, a una squadraccia di mercenari tronfi di sostanze illecite che per qualche ora hanno raggelato gli uomini di buona volontà sparsi, ancora si suppone, in ogni angolo di questo martoriato paese.
E' l'ora di finirla con questi idioti!
E' ora che la guerra cessi in ogni angolo, e che quel comico ingalluzzito da un'Europa prona ai voleri di un rimbambito americano, la smetta di rompere i coglioni ai quattro venti perché prima o poi l'assassino sparerà un confetto di quelli che lasceranno segni indelebili per migliaia di anni.
E allora vaffanculo a tutti coloro che credono ancora che con la violenza si possa scardinare le mire espansionistiche di un terrorista assassino russo!
Basta! Che si siedano ad un tavolo e trovino una soluzione.
L'aggredito ha i suoi diritti. L'aggressore ha i suoi errori da scontare.
Vogliamo vivere in serenità sulla Terra, godere del poco tempo che abbiamo a disposizione e vedere i cultori della guerra precipitare in un pozzo nero.
Ci avete rotto i coglioni con i vostri giochi da psicolabili!
Tomaso e il dipartito
domenica 25 giugno 2023
Punto di vista travagliato