Correttezza non è censura
DI MICHELE SERRA
Con una certa ottusità, che va capita e soccorsa, qualche polemista di destra ha accolto con spregio e sghignazzi la levata di scudi di scrittori e intellettuali contro la riscrittura dei libri di Roald Dahl. Il loro ragionamento è più o meno questo: avete difeso il politicamente corretto, come potete lamentarvi della censura su libri e film?
La risposta è semplice, ammesso che si abbiano la voglia e il tempo di ascoltarla. Il politicamente corretto nasce con l’intenzione di difendere il linguaggio pubblico da messaggi di odio e da grevi e volontarie parole offensive: delle quali è possibile avere un ricco campionario sfogliando ogni giorno i quotidiani di destra (tutti) e anche qualcuno non di destra (pochi). La “scintilla” del politicamente corretto è dunque la difesa della qualità della vita democratica; della dignità delle persone; del concetto di rispetto.
Questa legittima preoccupazione ha generato negli anni, soprattutto nel mondo anglosassone, una vera e propria paranoia censoria. Per giunta retrospettiva – come nel caso di Dahl. E come nel precedente caso di Philip Roth e di tanti altri, puntualmente denunciati in Europa come caccia alle streghe. Questa degenerazione del principio di “rispetto” è l’oggetto in discussione. Si può uscirne dicendo che è legittimo vomitare qualunque insulto, perché questa è “la libertà”. Oppure difendendo il principio di rispetto, ma combattendo il fanatismo cieco, censorio, bigotto che pretende di applicarlo distruggendo la parola, l’arte, la sua inevitabile irriducibilità a un paradigma “buono per tutti”.
In sintesi: gridare “frocio” a un omosessuale è violenza. Censurare un cartoon di cinquant’anni fa, o un romanzo di cento anni fa, perché nel cast non ci sono omosessuali, è violenza anche quella. Non mi sembra così difficile da capire.
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