martedì 18 ottobre 2022

Toh Merlo!

 

Spero solo che Merlo non abbia scritto questo articolo per dar inizio alla "fase di avvicinamento" al melonismo!
Il racconto
Silvio va a Canossa e chiude la stagione delle donne-contante
DI FRANCESCO MERLO
Alle 16 e 40 di ieri pomeriggio, l’unto del Signore ha consegnato all’unta del Signore la sua Italia, che non è mai stata la nostra Italia, e “la patonza ha smesso di girare”. L’uomo della provvidenza della destra ha infatti ceduto lo scettro alla donna della provvidenza della destra, una creatura che da 14 anni non capisce e disprezza, una bizzarria di cui non ammetteva neppure l’esistenza e addirittura, quand’era sua ministra, non ricordava neanche il nome. E perciò tagliava corto e chiedeva «dov’è la piccola?», ma non nel senso affettuoso di Fred Buscaglione, ehi, ehi, ehi le grido piccola , ma in quello della statura di una senza-nome. Giorgia lo ricambiò con un «non mi piace questo Berlusconi» dichiarato con impudenza a Retequattro. Era il Berlusconi che invadeva la politica con le Olgettine.
E invece ieri Berlusconi l’ha incoronata come fosse la regina del Trono di Spade che è nata nella tempesta postfascista e proprio come la piccola e bionda Khaleesi, madre dei draghi, mantiene un fondo oscuro nonostante la luce che cerca di propagare intorno a sé. E meno male che ci hanno regalato i presidenti mostri La Russa e Fontana, se no ci toccava recitare Kavafis: E ora, che ne sarà di noi senza Barbari? / Loro erano una soluzione .
È stato dunque falso, come può essere falsa solo la politica, l’allegro e sorridente duetto, il “vorrei e non vorrei” della cerimonia della pace, sorrisi e ministeri, con quel comunicato congiunto cha traduce in sordo burocratese la bugia di Mozart: là ci darem la mano, là mi dirai di sì . Il “là” ieri era via della Scrofa, presa d’assedio come una volta succedeva solo in via del Plebiscito quando il cavaliere si affacciava con la panza stretta al balcone di Palazzo Grazioli. Via del Plebiscito era la strada del potere romano, seconda sola ad Arcore, sangue e terra, dove, prima che diventasse il tempio del Berlusconi- Satyricon, si andava per scalare le classi sociali e per risolvere i conflitti: «Venite con le signore», diceva il padrone di casa, e addirittura Matteo Renzi ci andò per far carriera a sinistra. Via del Plebiscito rimase il Palazzo della metafora pasoliniana anche quel pomeriggio quando Berlusconi si mise a denunziare i magistrati nella sfigatissima ora della condanna e dietro il vetro si indovinava allegro solo il musetto di Dudù: «La gente è conme e non con loro».
Perciò ieri la giornata è stata storica pure per la via della Scrofa, la strada stretta e lunga che era già la tana dei fascistoni ai tempi di Piazza del Gesù, Botteghe Oscure e via del Corso, e oggi tutti dicono: «È Canossa, è Canossa, è Canossa». E vogliono dire che la stanza che fu di Almirante e poi di Fini è il castello di Matilde di Canossa dove si umiliò Enrico IV («Sono il solo che tutte le settimane va a Canossa», mi disse Maurizio Landini che lì vive con la moglie a San Polo d’Enza).
E però ieri non è stata una banale “andata a Canossa”, che dai tempi di Craxi-De Mita ne avevamo già viste tante, e neppure una resa all’avversario-alleato come fu tra Letta e Renzi. Berlusconi in via della Scrofa è, come dicevamo, “la patonza che ha smesso di girare”, la fine delle donne in politica come contante, come buca keynesiana, e va detto che nessuno in Italia ne aveva mai immesse e promosse così tante. «Ingrata», era già sbottato Berlusconi in quel lontano 2008 contro «la piccola»: «Viene a parlar male di me proprio a Retequattro, a casa mia». E già allora non era un’antipatia e neppure uno scontro di caratteri, ma l’incomunicabilità di Antonioni. Lei muoveva le truppe del congresso di Viterbo, primo trampolino della sua carriera, lui faceva muovere le Olgettine (dalla Ronzulli, dissero le intercettazioni) nel parcheggio di San Siro; lei saltava nel cerchio di fuoco e lui compensava le Olgettine con l’utilitaria, il mutuo, seimila euro,l’appartamentino, un posto di deputato e forse, chissà, di ministro per far pagare agli italiani il compenso — “il regalino” al “corpo speciale” dove ci si esercitava anche nel doppio gioco e nello spionaggio. Di questo “grande gioco alla matriciana”, dove Berlusconi era il Doctor No, Giorgia Meloni pensava malissimo ma le mancava il coraggio di dirlo anche se ogni tanto qualcosa le scappava.
E quando Forza Italia e An si fusero e lei divenne segretaria degli “azzurrini-neri”, le diversità antropologiche esplosero in disprezzo reciproco: i giovani per Berlusconi erano il Kindergarten e lei invece apriva le riunioni gridando «siamo i ribelli»; lui fondò la scuola per la svalvolata, per la scombiccherata, per la mitomane, e lei faceva i seminari Atreju sulla punta più alta del Colle Oppio. E figuriamoci come reagiva lui quando gliela raccontavano in jeans strappati e maglietta, maleducata, aggressiva e lontanissima dal “tipo” non solo della donna-capo, che nelle cene eleganti si esibiva alla pertica della lap dance in stivali neri, frusta in mano e cappello di poliziotta, ma più in generale della donna in politica.
Un giorno, per sedurre tutti quei ragazzi, azzurri e neri, Berlusconi si presentò senza doppiopetto di Caraceni e senza cravatta, in camicia nera, e si lanciò in un discorso nostalgico sulle cose buone del fascismo e sulla forza dell’anticomunismo. E forse la sfida iniziò proprio quella sera del 2010 quando i due mondi, che si erano formalmente fusi, entrarono davvero in cortocircuito. Il Secolo d’Italia perfidamente definì Giorgia Meloni la «leader dei giovani di Forza Italia» e lei, intervistata da Luca Telese: «Sono incazzatissima. Ma non per me. Per tutti quelli che sono qui, perché credono in qualcosa, nella politica, nella passione, nella loro storia, e si vedono scippati e irrisi. Il fatto è che io sono la leader di migliaia di giovani, e loro lo sanno benissimo». Le azzurrine in minigonna e borsetta tiravano i bigliettini con il numero di telefono al premier. Mentre le militanti nere lo interrompevano e fece scalpore l’intervento irridente di Carolina Varchi: «Ma davvero lei viene da noi a fare il nostalgico sul fascismo? ». Mai Berlusconi perdonò a Giorgia Meloni la risata collettiva che quella sera lo umiliò e mai Giorgia gli perdonò il voltafaccia del 2015, quand’era candidata a sindaco di Roma e Berlusconi all’ultimo momento cresimò o forse “scresimò” Alfio Marchini: «Piace alle donne e dunque appoggeremo lui». Vinse Virginia Raggi.
Ebbene sono tutti lì, i ragazzi che ridevano, sono il quartier generale di via della Scrofa, compreso il presidente La Russa che era già con Giorgia e non solo perché era la grande amica di suo figlio Geronimo. Berlusconi li sente ancora ridere: Donzelli era il responsabile degli universitari, Fazzolari era l’organizzatore dei congressi, Augusta Montaruli era responsabile degli studenti di Torino, e poi Carlo Fidanza, Carolina Varchi, sperduta militante catanese, Marsilio, il responsabile di Colle Oppio e oggi governatore dell’Abruzzo.
Berlusconi e Giorgia Meloni non si prenderanno mai e se a entrambi trema un poco il corè perché entrambi pensano l’uno dell’altra chepuò burlarmi ancor . Nella sua autobiografia Giorgia ricorda pure quel video divenuto virale, con la voce di Berlusconi che, rifiutandosi per l’ennesima di ricordarne il nome, chiede dov’è la piccola e «la voce veniva distorta per far diventare “piccola” “zoccola”». E «ancora oggi — conclude Meloni — stento a capire come una persona sana di mente abbia potuto ritenere che avrei accolto quell’insulto di fronte a milioni di persone sorridendo».
Ecco, chissà se Berlusconi ha capito che consegnandosi nella stanza di Giorgia ha dato l’addio al laboratorio che per quasi trent’anni è stato per Italia di destra al femminile quel che l’ Ecole Nationale d’Administration è stato in Francia. Comunque vada a finire, da ieri “la patonza ha smesso di girare”.

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