Sguardi e sopraccigli quei rancori complici alle spalle della leader
DI STEFANO CAPPELLINI
La potenza del sopracciglio. Può esprimere stupore, sarcasmo, dileggio e molto altro. Quelli di Silvio Berlusconi, entrambi, scattano puntuali e fulminei verso l’alto proprio mentre Giorgia Meloni, appena uscita dalle consultazioni con Sergio Mattarella insieme alla delegazione del centrodestra, pronuncia l’espressione «designazione unanime» e tornano giù prima ancora che Meloni ci attacchi le parole successive, «della sottoscritta». Nell’istante in cui i sopraccigli sono ancora tesi verso l’alto, lo sguardo di Berlusconi si incrocia con quello di Salvini, un lampo di complicità maschile alle spalle di Meloni, letteralmente, perché la presidente del Consiglio in pectore sta al microfono, dunque un passo avanti a loro che le stanno uno a sinistra di chi guarda, Berlusconi, l’altro a destra, Salvini, come due carabinieri, come due angeli poco custodi, come un gatto e una volpe.
Per la breve durata del discorso di Meloni, poco più di un minuto e mezzo, il linguaggio del corpo dei due leader è una sincopata coreografia di ghigni, occhi mobili, scatti delle spalle, teste inarcate. Quello che paiono esprimere è un dissimulato ma incontenibile fastidio. A un certo punto Berlusconi non sa dove mettere le mani, sembra volersi mettere a braccia conserte, poi le rimette subito giù senza trovare una tasca come rifugio. Salvini, che in altezza sovrasta Meloni come un corazziere, pare non capacitarsi che il divario di statura fisica non rispecchi più un pari divario di consensi, anzi che i voti dei rispettivi partiti siano inversamente proporzionali allo scarto fisico. Ma è il totale, la foto di gruppo dei dodici membri della delegazione, che racconta lo stato della coalizione vincente alle elezioni meglio di un editoriale o un retroscena. Disvela i rancori, i tradimenti, le delusioni, i vinti che sperano di tornare a essere vincitori e i vincitori che si guardano le spalle dai vinti.
Se fosse una vecchia foto di famiglia, come si scattavano prima dell’era degli smartphone, sarebbe di quelle dove allo sviluppo e stampa spuntano le corna sulla testa di uno zio o le boccacce sulla spalla della nonna. Se fosse un quadro, sarebbe un Rembrandt, un gruppo di corpi ammassati con una logica apparentemente casuale e in realtà precisa e spietata, dove ogni posizione ha un significato, ogni volto una storia, ogni espressione un destino.
Nello scatto pubblicato sui social da Berlusconi c’è Antonio Tajani, terreo, al margine estremo del gruppo, tanto che nei video ufficiali del Quirinale non si vede nemmeno, inevitabilmente tagliato dall’inquadratura, sbianchettato come un trotzkista in una foto di era staliniana. Al posto suo, al fianco del Cavaliere, c’è la neocapogruppo al Senato Licia Ronzulli, la grande esclusa dal ballo dei ministeri per volere di Meloni, la scatola nera della prima crisi della destra, un sorriso sfingeo cheper tutto il tempo in cui parla la leader di Fratelli d’Italia resta fisso come un fotogramma di Dazn in tilt.
Al Colle Tajani è salito da solo, persino al tavolo con Mattarella era in disparte: c’erano cinque sedute a destra di Meloni e quattro a sinistra, Tajani era sistemato sul lato del tavolo, da solo, il più distante dal Cavaliere, come il meno blasonato capogruppo meloniano Luca Ciriani. Scavalcato nelle gerarchie anche dall’altro membro di Forza Italia, l’ex sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo. È lui, insieme a Ronzulli, a prendere sotto braccio Berlusconi quando il gruppone si muove per guadagnare l’uscita, dove il guastatore tv Enrico Lucci attende che i leader gli sfilino davanti per chiedere: «Lo mangerete il panettone o litigate prima? Ci arrivate alla colomba di Pasqua?».
Meloni ride, Berlusconi gli dà un buffetto, mentre Tajani si accoda mesto ai colleghi di Noi moderati e, a volerci vedere almeno un’utilità, pare un ultimo messaggio subliminale agli amici del Partito popolare europeo che hanno garantito per lui e il suo atlantismo conservandogli il posto alla Farnesina, messo a rischio dalla vodka e dalle nostalgie putiniane del capo. Solo che, da oggi, il ministero di Tajani è molto suo e poco del partito, meno ancora di Berlusconi. Ricorda da vicino i posti che Mario Draghi aveva concesso a tre esponenti forzisti scegliendoli a dispetto di Forza Italia. Un anno e mezzo dopo nessuno di quei tre ministri — Renato Brunetta, Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini — è più nel partito.
Nella foto pubblicata da Berlusconi, dietro Meloni c’è il cognato Francesco Lollobrigida, il Daniel Craig di Fratelli d’Italia, impettito e composto neanche fosse un ministro della Repubblica, status che in effetti guadagnerà ufficialmente di lì a qualche ora. Accanto a Salvini, invece, il centrista Maurizio Lupi è immortalato a capo chino mentre fissa il pavimento, come fosse un escluso dalla lista dei ministri, condizione che si realizzerà anch’essa nel volgere di poche ore. Della delegazione, Lupi è per tutto il tempo il più triste, accenna un paio di volte un sorriso che gli esce simile alla smorfia di dolore per un crampo di stomaco.
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