I “liberal” alle vongole bombardano i pacifisti
DI DANIELA RANIERI
Assume toni sempre più veementi, farseschi e penosi insieme, la guerra dell’opinionismo mainstream contro i pacifisti. Chi vuole la pace e ha ancora l’ardire di dirlo pubblicamente, magari senza recitare la previa formula di rito stilata dal tribunale dell’anti-putinismo (“C’è un aggressore e un aggredito”), è già un fiancheggiatore e collaborazionista. Se poi dichiara di partecipare a una manifestazione per la pace, vale a dire per il cessate il fuoco e la convocazione di una conferenza internazionale, la ronda social-mediatica dei cultori della guerra a oltranza lo pesta: è la manifestazione topograficamente corretta, cioè parte dall’Ambasciata russa sita in via del Castro Pretorio? Chiedete voi il ritiro immediato delle truppe russe dall’Ucraina come prima condizione per un negoziato? E allora vedete che siete putiniani?
Da quando la Rete Pace e Disarmo ha annunciato una manifestazione nazionale per il 5 novembre a Roma, a cui hanno aderito sigle e associazioni pacifiste e solidariste tra cui Anpi, Emergency, Gruppo Abele, sindacati etc. (con piazze e percorsi ancora da definire, ahiloro), la corsa a delegittimarla tiene impegnate le menti migliori dell’arco costituzionale e del giornalismo. Prima c’è stato un sit-in il 13 ottobre proprio sotto l’Ambasciata russa, a cui hanno partecipato una manciata di persone e Pd, Italia Viva, Azione, +Europa, per chiedere “il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese” al grido di “Siamo tutti ucraini, siamo tutti europei” (come dice Chomsky, il mondo ci conosce bene come modello di devozione alla sovranità, soprattutto nei casi di Iraq, Libia e Kosovo-Serbia). Costoro sono di quelli convinti che le manifestazioni servano a fare pressione su Putin (che inspiegabilmente dopo il sit-in non si è commosso e non ha ritirato le truppe) e non sui governi europei perché cerchino alternative al continuo invio di armi.
Ieri è venuta alla luce un’altra specie di obiettore di pace: quello che, appena Conte pubblica un video in cui dice che il M5S parteciperà alla manifestazione del 5 novembre, annuncia una contro-manifestazione a Milano nello stesso giorno. Così Calenda: “Scenderemo in piazza per ribadire il sostegno all’Ucraina contro l’invasore russo. La pace non può nascere dalla resa degli ucraini”, che però i promotori della manifestazione di Roma non hanno chiesto (anzi, il manifesto recita: “Condanniamo l’aggressore, rispettiamo la resistenza ucraina, ci impegniamo ad aiutare, sostenere, soccorrere il popolo ucraino, siamo a fianco delle vittime”); poi, nei cieli della vanagloria, cita il Discorso di Pericle agli ateniesi. Per gli organi online del renzismo, la manifestazione di Roma è “pro-Putin” tout court; quella di Milano, indetta dal “Terzo Polo” ovvero dal Sesto, è l’unica “sensata” (infatti aderirà anche Cottarelli, punta di diamante del Pd, uno per cui Putin è come Hitler e dunque niente negoziato). Il tutto per “non lasciare il monopolio della pace a Conte” (come suggerito da Giannini, La Stampa). Contro i pacifisti mollicci e vili, si muove l’ala intellettuale dell’establishment. Panebianco sul Corriere contraddice Bergoglio sulle guerre come “pretesti per provare le armi” e dice: “Se anche, per ipotesi, il commercio delle armi venisse limitato, le guerre non cesserebbero”. Ergo, ben vengano più armi, anche se il nemico ha l’atomica. Sul Foglio Sofri critica l’appello per un negoziato in sei punti firmato da 11 intellettuali (e pubblicato dal Fatto) perché “sembra mirare soprattutto a piegare l’intransigenza del governo ucraino, che ora ha votato di non negoziare finché a capo del Cremlino ci sia Putin, con ciò implicando che la guerra non possa finire se non col cambio di regime in Russia, dunque con la vittoria dell’Ucraina”. Proprio così: se Zelensky si vieta per decreto un negoziato che non preveda il rovesciamento di Putin, ne consegue logicamente che l’unica via d’uscita è combattere fino all’ultimo ucraino, sacrificato alla sete di vittoria di Nato-Usa diventata nostra per contagio. Se perdiamo, pazienza. Ai liberali in trance bellica sembra sensato il rischio apocalittico e insensato l’appello dei manifestanti all’Onu affinché convochi una Conferenza internazionale di pace, come se il verbo di Zelensky fosse Cassazione mondiale. A loro piace l’approccio bullesco della premier finlandese Marin, aspirante membro Nato, che ai cronisti ha detto: “La guerra finisce quando la Russia se ne va dall’Ucraina”. L’avvenenza della premier (lodata per la liquidatoria risatina finale) ha impedito ai nostri commentatori di attivare il cervello: e se Putin non se ne va? Davvero vale la pena di andare a vedere se il suo è un bluff e farci liquefare in sei secondi da un’esplosione nucleare per la cieca ostinazione di capi di Stato e di governo in piena sindrome di Stoccolma-Usa? Non chiedeteglielo: se rispondono no, è solo perché non ragionano.
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