Il fascino del passato
DI MICHELE SERRA
La campagna elettorale pullula di dichiarazioni, post, tweet degli anni passati che vengono riesumati allo scopo di svergognare i loro autori.
Si tratta, in larga parte, di scemenze giovanili, voci dal sen fuggite sotto l’influsso dell’alcol o della vanità, o ancora di veniali intemperanze delle quali l’autore, puntualmente, si scusa imputandole alla giovane età (viviamo nell’Evo delle Scuse).
Nei casi più gravi (pochi) si viene retrocessi da candidato a ex candidato, e si maledice il giorno nel quale, quindici anni fa, si scrisse qualcosa che, quindici anni dopo, non si riscriverebbe più.
Al di là dell’inevitabile effetto inquisitorio, mai gradevole, la cosa più grave è che il peso complessivo di questo revisionismo da scavo rischia di fare ombra al giudizio sul presente. In parole semplici: una cazzata detta nel 2003 minaccia di fare più clamore di una cazzata detta stamattina. Così che la flat tax, ingiusta nonché insostenibile, amica dei ricchi e però sbandierata da noti amici del popolo come il Salvini e il Berlusconi, fa discutere meno del comportamento del senatore Pavolacci nel 1994, quando alla festa di laurea si presentò vestito da Nerone e appiccò il fuoco al chiosco delle angurie.
Detto e ripetuto che non bisogna mai lasciare tracce (un falò di gran parte dei miei scritti mi accompagnerà, più sereno, alla morte), ci si domanda come mai la confutazione del presente sia meno in voga della confutazione del passato.
Forse è il segno, ulteriore, di una società invecchiata, che non potendo più litigare sul futuro, dato oramai per morto, litiga su quella volta che Tizia rubò il fidanzato a Caia. Come se, disperando di poter fare errori in futuro, ci rimanga solo il gusto remoto di quelli fatti in passato.
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