Il Draghi transformer farà il vigile alla Sordi
DI DANIELA RANIERI
Se chiedete a uno studente delle medie “chi è e che ruolo ricopre Mario Draghi”, egli o ella vi risponderà: “È il presidente del Consiglio italiano, ancora in carica per gli affari correnti da che il suo governo è caduto”. Beata ingenuità. Per i nostri giornali, specie dopo il suo intervento al Meeting di Cl di Rimini, Mario Draghi è molto di più.
Per Repubblica è il “garante della nuova stagione”, ma anche “della politica estera e della linea europeista”. Solo a questo titolo, confermatogli da Stefano Folli, Draghi “ha fatto intendere” che il prossimo governo “non avrà alternative se non quella di camminare lungo il sentiero tracciato nella stagione dell’emergenza”. Perché, sennò? Draghi non riconoscerebbe il governo che non dovesse camminare lungo il suo sentiero? Farà un colpo di Stato? Poche chiacchiere: Draghi ha detto che il prossimo esecutivo confermerà l’impegno a favore dell’Ucraina. “Se il governo si muoverà con prudenza e saggezza, senza cedere alle pressioni russe – che di sicuro ci saranno -, Draghi lo aiuterà in maniera discreta ma efficace ad accreditarsi presso i centri internazionali che contano”, dice Folli. Altrimenti? Draghi parlerà male dell’Italia all’estero? Chiederà alla Nato di bombardarci? Ci farà invadere dal battaglione Azov? Non si capisce. Quel che è certo è che “vigilerà perché il governo non fallisca”. Draghi è anche vigile. Figura inesistente nel nostro ordinamento, ma popolarissima nella commedia all’italiana, quella del vigile è solo una delle maschere del presidente transformer, che è altresì “personalità autorevole”, “elemento di raccordo con il mondo esterno”, “risorsa irrinunciabile”.
Quanto al nostro ordinamento, esso può essere agevolmente piegato per collocare questo leader osannato dalle folle (al cui giudizio elettorale egli si guarda bene dal sottoporsi), per cui si fanno modifiche costituzionali non scritte e in itinere. Si ricorderà quando Giorgetti auspicava che andasse al Quirinale e da lì facesse anche il capo del Governo; o quando un anno fa Sorgi su La Stampa invocava un golpe militare nel caso Draghi fosse costretto a dimettersi. A bordo della Moto Guzzi con indosso la divisa scricchiolante da vigile come Alberto Sordi nel film omonimo, Draghi ha ricevuto regolare investitura dalla platea di Rimini, senza neanche passare il concorso pubblico. Tutti sanno che sarebbe stato applaudito qualunque cosa avesse detto. Nel 2020 proferì colà frasi di assoluta banalità, pinzillacchere anodine, rimedi della nonna: il debito buono è buono, il debito cattivo è cattivo, viva la speranza e la ricostruzione, etc., e il giorno dopo i protodiaconi dei giornali annunciarono l’habemus Papam che diede il via alla stagione dei Migliori.
Per il Corriere, il vigile è soprattutto uno spingitore: ha dato una “spinta” all’Italia che “ce la farà”. Ha detto infatti: “Chiunque verrà eletto saprà conservare lo spirito repubblicano” (cioè non instaurerà la monarchia). Ce l’aveva con Meloni, destinataria il giorno prima di un’ovazione della stessa platea, accreditata di fatto tra gli usatori di forchetta e coltello (il presidenzialismo conserva lo spirito repubblicano?). In questa veste di profeta, garante, motivatore e mental coach di un’Italia di minorenni e minorati, Draghi infonde “ottimismo”, “fiducia”, “capacità di reagire ai momenti difficili”, come confermeranno i milioni di poveri a cui Meloni toglierà il Reddito di cittadinanza, con la sogghignante connivenza di tutti tranne Conte.
Anche sul Corriere Draghi è “la risorsa”. Molto lodata la sua invocazione a quella “coesione nazionale che è stato il tratto del suo governo”. Qui appare chiaro come i nostri editorialisti vedano una realtà parallela: al contrario, s’è visto che le ammucchiate generano mostri e che disinfettare la democrazia commissariando il Parlamento è una buona idea solo per i sedentari politici miracolati, i quali contano sull’anestesia generale di un popolo stremato, che infatti per metà manco va più a votare. Ma Draghi è anche “consigliere”: ha raccomandato a chi verrà dopo di lui di essere autorevole, “perché dall’autorevolezza viene il rispetto” (chi glieli scrive i discorsi, Schopenhauer? Kant?). Nel frattempo la mitologica “agenda Draghi”, incunabolo indecifrato, s’è mutata in “metodo Draghi”; metodo che include “un sorriso sornione e compiaciuto” e “un viso velato di commozione” per i 32 applausi. Nessuno dei laudatores fa cenno a un passaggio del suo discorso: “Mi associo alle parole del Santo Padre, si eviti il disastro nucleare in Ucraina”; avrebbero dovuto dire che viceversa Draghi si dissocia dalle parole del Santo Padre quando questi dice che la Nato ha abbaiato alle porte della Russia e che aumentare le spese militari è da pazzi.
Solidarietà ai colleghi per il lavoro usurante: non era facile far passare questa minestrina di frasi motivazionali e luoghi comuni come il Discorso della Montagna (del sapone)
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