Aspettando il pettirosso
DI MICHELE SERRA
Il mendicante ammazzato di botte da un energumeno non è un segno dei nuovi tempi. Al contrario, è segno che il nostro tempo ristagna, e tutto ciò che ristagna si guasta e marcisce.
Negli anni Ottanta i due teenager nazisti di Verona che si facevano chiamare Ludwig bruciavano vivi i senzatetto e i drogati, una maniera spiccia per arianizzare il mondo. “Gli incendiarono il letto sulla strada di Trento, riuscì a salvarsi dalla sua barba un pettirosso da combattimento”, così la raccontò De André nella sua terribileDomenica delle salme(1990), ripreso da Maurizio Maggiani nel suo bel romanzo “Il coraggio del pettirosso”.
Il sadismo e la brutalità contro gli indifesi si passano il testimone da generazioni. Il problema non è dunque l’insorgenza inspiegabile dell’odio e della prepotenza; piuttosto è la sua implacabile sopravvivenza, come se la civiltà fosse solo una finzione. E a renderci ancora più tristi è la scomparsa, o piuttosto il mancato avvento, del pettirosso da combattimento: tutti che fanno video, tutti spettatori, ben pochi hanno il coraggio di entrare in scena. A Recanati (ma che succede nelle Marche, così belle e un tempo così pacifiche?), poche ore dopo la macellazione a mani nude del mendicante a Civitanova, un barista ha fermato un omaccio del posto che stava accoltellando un africano, difficile dire se per razzismo o per generica ferocia. Dunque si può. Non solo si deve: anche si può.
Sui media facciamo scialo della parola “eroi”, sbrodolandola su qualunque persona (infermiere, volontario, soccorritore, cane da salvataggio) che sta semplicemente facendo il suo mestiere. Ma non abbiamo bisogno di eroi, abbiamo bisogno di pettirossi. Non di retorica, ma di mani forti che sappiano disarmare.
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